quando inizia la cena, Claudia Schiffer non è fra noi, ma comincia a fare capolino verso la fine, quando oramai due bottiglie di vino italiano di Puglia a forte gradazione hanno dissetato la tavolata abbastanza parca di commensali e l’amaro Averna alza, se ce ne fosse ancora bisogno, i tassi di gradazione alcolica dei presenti.
fra questi un medico tedesco, grande radiologo, si dice, che ha iniziato a studiare medicina a Firenze anni fa per aggirare il numero chiuso tedesco che non lo ammetteva all’Università, e poi ha continuato qui.
ed un altro medico italiano, uno più piccoletto di me (cosa non comune), con una grande panza a tamburo, pochi anni meno di sessanta, capelli grigi già radi, arruffati, voce profonda, occhi inquieti, che esercita in Germania attualmente: curioso personaggio dalla vita talmente romanzesca da confinare con la mitomania agli occhi degli ascoltatori che non si rassegnano a pensare che la loro è tanto grigia al confronto.
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collegato a “Medici senza frontiere” il dottor P. ci racconta prima della sua esperienza in Somalia, fra i cacciatori di teste: veramente a nessuno risulta che si siano dei cacciatori di teste in quel paese, ma lui racconta che vi sono dei mercenari, e anche degli italiani fra questi, che venivano pagati dai capitribù locali per garantirgli la sicurezza e che arrotondavano un tanto a nemico ucciso, facendo gli straordinari.
i nemici, dal punto di vista dei capitribù committenti, erano semplicemente i maschi adulti delle tribù rivali, e per conteggiare i cadaveri della giornata vi era un metodo più spiccio che portare a casa le teste: bastavano i testicoli.
così ogni mercenario ogni tanto faceva una razzia, ammazzava 40 o 50 persone e gli tagliava i coglioni, poi andava dal suo datore di lavoro a riscuotere sulla base dei coglioni di negro nemico che gli buttava sul tavolo.
il dottor P. una mattina arrivò in un villaggio e dovette contare 49 cadaveri, molti addirittura bambini, i maschi tutti mutilati nelle parti basse, e aveva deciso di smettere di fare il medico.
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il dottor P. è stato anche in Amazzonia, anzi racconta di averci portato anche il figlio adolescente, che stava diventando “troppo egoista” secondo lui, e dopo due settimane passate a scavare radici amarissime e a mangiare serpenti per sopravvivere, ora è diventato un benefattore del terzo mondo.
hanno dovuto farsi bendare per riuscire ad andare a vivere con la tribù, dice lui, perché gli indigeni avevano paura che potessero essere spie che poi avrebbero guidato i massacratori locali di indios sulle loro tracce.
lo metto alla prova facendomi descrivere il sapore della carne di serpente e confronto la sua descrizione con una mia recente esperienza cinese: effettivamente il dottore ha gustato quel sapore, l’unica differenza é che lui ha mangiato boa o pitoni, serpenti grossi, e io in Cina un serpentello molto saporito ma sottile: in ogni caso alla fettina trasversale di serpente tanto gli indios quanto i cinesi tolgono l’osso alla stessa maniera.
nella giungla amazzonica un serpentello non velenoso, non ancora cotto, ha morso il dottor P. a un calcagno e lui ha rischiato brutto per un’infezione nata da quei denti affilati.
tutto si infetta facilmente nell’Amazzonia, si vive nel viscidume del poprio sudore che si confonde come l’umido che tutto appiccica col calore insopoortabile; lavarsi è peggio, perché l’acqua ti ristagna addosso e dunque ti rassegni ad essere qualcosa di sordido ed unto, che tende a confondersi con le muffe afose.
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il dottor P. è oncologo e i racconti sugli ultimi momenti dei suoi tre- o quattrocento pazienti che vede morire ogni anno sono altrettanto densi di questo umore virile e selvaggio delle sue esperienze, ad esempio nel racconto del bambino di otto anni che gli domanda “mi sai dire perché tocca a me morire e non a tuo figlio?” e poi però se la cava con un trapianto del midollo, nonostante tutto, e oggi, più che ventenne, quando lo incontra si scusa con lui per quella frase menagramo.
oppure ci racconta di trappole incredibile, imparate in Amazzonia, con le quali ammazza in Germania uccelletti e volpi, senza farsi scoprire mai, e noi vorremmo fare a meno di credere che un chirurgo che salva tante vite umane, poi ne sopprima cinicamente tante di animali con una fredda ed efficiente ferocia volta ai buoni arrosti.
del resto, aggiunge, in sala operatoria bisogna stare attenti a non grattarsi la fronte, perché se noi poi devi lavarti mani e braccia per 20 minuti, secondo i protocolli locali, mentre ascolti la musica a tutto volume e parli di donne se il paziente è in anestesia generale, quando l’operazione è lunga, e se ti scappa da pisciare la fai semplicemente nel camice, tanto non hai niente sotto e le infermiere che lo sanno a volte se ne approfittano per toccare il chirurgo mentre sta operando.
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è a questo punto che nella cena compare Claudia Schiffer.
lui l’ha conosciuta 12 anni fa; era stato chiamato in una discoteca dove c’erano dei ragazzi che stavano male per essersi impasticcati di chissà che cosa, e lei era lì a cercare di rianimarli; hanno lavorato un poco gomito a gomito, fino a portarli fuori pericolo, poi lei gli ha chiesto se sapeva chi fosse: lui ha pensato mentalmente “una gran figona” (pensieri suoi) e le ha risposto che no, non lo sapeva.
deve essere questo che l’ha spinta a innamorarsi di lui?
non lo sappiamo, lui dice che la storia è durata sei mesi, poi lui si è stancato, perché lui è fatto così, le donne dopo un poco lo stufano.
ma non pensiate che sia fredda in amore la Claudia Schiffer, ha una fantasia…; è fredda con lui solo dopo che si sono lasciati e se lui la chiama ancora lei resta adesso sulle sue.
gli altri tre commensali maschi davanti ai bicchieri vuoti lasciano che la bionda e glaciale Claudia, alta 1,82, si materializzi, e la vedono passare flessuosa ed elegante e voltarsi verso di loro strizzando l’occhio alle spalle di quel cornuto di 1,64, che non si accorge di niente…
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Dalila Di Lazzaro invece il dottor P. l’ha conosciuta come medico: si era fatta curare il mal di schiena in Italia, ma non era rimasta contenta e quindi aveva deciso di farsi ricoverare ad Heidelberg: lì avevano cercato nei dintorni un medico che sapesse parlare l’italiano e fare un po’ da interprete e chi altro che lui?
dal letto d’ospedale a quello matrimoniale il passo era stato breve, la storia è finita da poco, lui l’ha anche portata a farsi le vacanze nel Cilento a casa di sua madre che gli ha fatto una scenata per questo.
come gli è rimasta attaccata, quanto è affettuosa quando si sentono, come lei vorrebbe ancora riprendere la sua storia.
ma lui ora ha Sabine: Sabine non sappiamo chi, che infatti lo chiama al cellulare: vuole che vada a passare la notte da lei, dice lui, ma domattina mi devo alzare alle 4: siamo tutti testimoni.
sarebbe già l’una, veramente, e lui ha ancora 120 km d’autostrada da fare per tornare a casa…
dalla moglie.
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“anche la Di Lazzaro”, anche Sabine, ci maceriamo al telefono l’indomani mattina, due spettatori della incredibile performance di quell’uomo totalmente sguarnito di un fisico adatto al ruolo.
questo è troppo!
eccomi su internet a compulsare la biografia di Claudia Schiffer.
1998, la Schiffer era al culmine della carriera, aveva lasciato da poco David Copperfield, l’illusionista di Las Vegas; aveva appena finito di recitare nel film Black Out di Abel Ferrara, e stava girando diversi telefilm.
negli Stati Uniti.
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sta per uscire la nuova edizione del “Manuale diagnostico e statistico” redatto dall’American Psychiatric Association.
il Corriere della Sera anticipa che secondo l’impostazione degli ultimi studi in campo psichiatrico, tutti gli esseri umani sono diversamente pazzi e un poco disturbati mentalmente.
posso solo dire che lo sapevo già?
e aggiungere che questa consapevolezza non mi ha impedito di credere alla straordinaria forza illusionistica delle parole, capaci perfino di farci materializzare la Claudia durante quella cena abbondantemente innaffiata dal vino del Salento?
e che quella consapevolezza non mi impedisce di dover considerare un poco suonato anche me, se non altro per avere scritto questo post?
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Ci poteva mai essere un esempio più calzante, e mi trattengo a fatica dalla danza Apache della vittoria, di quello che accade a chi ignora l’esistenza di simboli nell’interiorità, lasciandone inselvatichire la potenza? Che è sempre ridicolizzante, talvolta distruttiva.
Voilà, mitopiesi spontanea (è giusto, prof?): Anchise sedotto da Venere nelle più varie e affascinanti incarnazioni!!!!!
eh no no, qui stai tirando troppo l’acqua al tuo mulino.
a parte che neppure ho capito troppo chi sia questo insevificatore dei simoboli… io? il dottore?
visto il riferimento ad Anchise il vegliardo, temo che la stilettata possa arrivare a me, ma è vero che poi si parla di un Anchse giovane, e allora neppure il dottore sta troppo bene nella parte…
🙂
A parte che insevificatore è sconosciuto al mio amico Oli Devoto, e inseverire non concorda con il senso della frase, preciso con stupore: ma certo il dottor P. !!!! Lui si vive come mortale posseduto dalle dee, un pastorello di Arcadia concupito dalle ninfe, mescolandosi anche un po’ al dio Pan che queste di solito insegue negli ozi pomeridiani.
Questa malattia dell’immaginazione è endemica, stando vicino a chi ce l’ha in fase acuta si rischiano episodi marginali, ma rivelatori. Ai commensali appare la dea ed è complice e sorridente, come a dire: da quel fesso non andrei mai, ma da voi … chi lo sa…
Bastano una doccia fredda e due aspirine, a questo stadio la malattia può ancora guarire. 😆
scusami, ero molto di fretta e non volevo lasciarti senza risposta dopo la cancellazione di un commento che aveva portato via almeno mezzora ed avevo dovuto provare a ripetere altrettanto frettolosamente.
avevi scritto “inselvatichire la potenza”, espressione creativa forte, e voleva coglierla di nuovo nella forma “inselvatificatore”, poi la mia disgrafia endemica, collegato alla fretta con cui digito con due dita soltanto, ha fatto il resto, e me ne scuso.
bellissima l’analisi, spiritosissima e acuta, mi ha lasciato a bocca aperta (in un sorriso che confina già con una piena risata!)
Veramente ci potevo arrivare da sola! Ecco un esempio di contagio: tu ami rilevare gli errori di scrittura, tuoi o degli altri, e volgerli in scherzo, così stavolta è venuto spontaneo anche a me.
((divagazione sui collegamenti internet instabili: Rispondere in corso di collegamento costa molto, se pagato a tempo, e quando si interrompe è una stressante perdita tempo/ denaro. Si potrebbe fare un copia incolla dei commenti su dei documenti del programma di scrittura, leggere e rispondere offline, ricollegarsi e distruibuire le risposte nei vari post. A dirlo sembra lungo e noioso, a farlo no, è perfino… più gustoso perchè separa i momenti creativi da quelli tecnici.)))
e ci vuole sì la doccia fredda con questa foto…
ma, scusa, l’avatar l’hai creato tu?
perché non poteva essere più azzeccato di così! 😉
(torno al lavoro…, più tardi rispondo sulle cose serie)
Ma Claudia Schiffer non può condurre il primo ministro italiano in Germania e tenerselo lì per anni? http://calogeromira.wordpress.com
mah! tieni conto che ha già quel medico italiano disponibile che fisicamente gli somiglia molto e ha vent’anni di meno, comunque!
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