credo che il motivo principale per cui il racconto del mio secondo viaggio in Cina, appena cominciato, si sia poi immediatamente bloccato sta nel fatto che sulla seconda parte della giornata del mio arrivo, il 20 maggio, nel blog notes trovo scritte solo quattro righe.
meno di un riassunto, e assolutamente inutili, dato che a questa funzione di promemoria senza aggettivi adempie molto meglio la macchina fotografica, a questo punto.
provo ad aiutarmi con questa, allora, considerando che dal momento in cui ho incontrato mia figlia al momento in cui l’ho lasciata due giorni dopo a Shanghai mentre andava all’aeroporto per tornare a casa, il demone della scrittura mi ha abbandonato, sostituito da quello della paternità.
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quattordicitre 20 maggio 2010 21.48
Hai capito l’oggetto in numeri?
Sono i giorni che mancano per il tuo ritorno.
Forse sei ancora in treno per il lungo viaggio.
Ma lo devi fare anche al ritorno?
Vado a dormire buon proseguimento.
21 maggio 2010 13.28
no no, in aereo tornero’ da Shanghai.
mi sento stranamente in forze, anche se abbiamo girato molto oggi, e anche ieri, aspettando Sara, ho visitato un insieme di templi buddisti molto belli a Pechino, che mi mancavano.
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è la ragazza delle farfalle che mi aspetta all’uscita del Tempio dei Lama, mentre riprendo la strada per il metrò: sta incollata nella sua pura multicolore bellezza su un manifesto sotto una loggetta che dà un’idea incredibilmente antiquata di Beijing, perché è affiancata da vecchi bicicli arrugginiti che poco hanno a che fare con la Cina rampante di tutto il resto del paesaggio; l’immagine però sorride e la ragazza dà l’idea di essere vestita solo di farfalle.
ho in tasca l’indirizzo a cui devo recarmi, sarà il marciapiede davanti all’ingresso solenne dell’università per stranieri, il cui nome sta sia in un foglietto faticosamente trascritto a mano in un momento in cui non riuscivo a fare stampare dal computer i caratteri cinesi, sia finalmente in una nitida stampa laser.
首 都师范大学 国际文化学院
i taxi a Beijing sono ancora relativamente economici e la tariffa è modesta, nonostante ci siano diversi chilometri fra la stazione del metrò e la mia meta, in un paesaggio urbano di grandi grattacieli che conosco già da due anni fa e che fotografo a caso.
Sara è ancora a lezione e io mi dedico ad una osservazione dei passanti prettamente cinese, cioè priva di apparente emozione: conosco già questo quartiere a metà strada fra modernità e decadenza: sono le strade quotidiane di mia figlia segnate da una modestia che lei ama, di venditori ambulanti di fritto, di tortellini cinesi scodellati sui banconi per strada, che ti catturano con la loro insipidezza, di spiedini arrostiti profumatissimi.
Sara arriva senza amiche intorno e solo un paio di centinaia di metri ci separano dalla vecchia casa a ringhiera dove sta: in casa non c’è nessuno, svuoto la sacca con qualche rada leccornia tedesca, le Bretzel, i due vasi di mousse di mela, che per fortuna non si sono rotti, cioccolata e dolci, lei è felice della sorpresa (poi solo di dettaglio, perché la sua richiesta via mail era stata esplicita).
io giro qua e là cercando di entrare nello spirito della sua quotidianità, le finestre fittamente schermate da una retina che nasconde vecchie ciminiere e una torre che mi colpisce particolarmente perché è identica a quella che vedo io dalla mia finestra di Stoccarda, fiori di magnolia molto letterari e blasé, una vista schermata da facciate di mattoni rossi, le sue caricature sul muro incollate dalle sue amiche.
non occorre che passi molto tempo prima che lei mi dica che non vuole più tornare in Europa, e a me neppure passa per la mente di disapprovarla; arriva un suo amico, un ragazzo dolce e apparentemente timido, chissà se è il suo ragazzo, adesso.
noi corriamo in banca, scendendo le scale consunte che mi ricordano irresistibilmente San Pietroburgo dopo la perestroika e quindi il comunismo, a cambiare la discreta sommetta che le ho portato; l’euro si cambia malissimo, ma Sara è così poco interessata al denaro che non si è accorta che, giocando sul cambio e azzeccandoci, in questi mesi di crisi finanziaria globale che risparmia la Cina avrebbe potuto fare guadagni del 40%; in ogni caso questo è il momento più sbagliato per cambiare gli euro a Beijing.
le banche cinesi, mi informa Sara, sono aperte ogni giorno della settimana: vedi i vantaggi dell’ateismo di stato, sogghigno io tra me; per il resto barcamenarsi col bancomat appare davvero problematico.
(bene questa era la parte dei miei appunti della prima riga, “la casa di Sara”, suppongo).
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la seconda riga accenna al fatto che riprendiamo il metrò: meta la stazione nuovissima di Beijing Sud.
la gente sul metrò mi pare più cordiale ora che mi vede con mia figlia, e il fatto che lei parli cinese suscita una compiaciuta curiosità.
un ragazzo tatuato che ha fatto del suo braccio un drago vivente mi sorride e si lascia fotografare.
una donna molto galante con me trova il modo di dire a mia figlia che mi riferisca che ho l’aria di chi pensa molto; le sorrido e perfino lei capisce che le sto dicendo che è stata molto brava ad azzeccare.
e questo era il concetto base del secondo rigo di appunti.
solo qui, in questo resoconto letterario, e quindi bugiardo, io non solo ho sorriso alla donna, ma le ho detto anche che per fortuna il mio pensare molto non mi ha sinora portato da nessuna parte speciale: penso molto come uno che suda molto, c’è forse del merito in questo?
direi di no, non posso nascondermi che questo è un borforisma, posso forse fidarmi a dirglielo? direi di no, che tipo di reazione può suscitare un borforisma in Cina?
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