265. X, 5. buchi fotografici e relativi surrogati.

in una cronaca di viaggio come questa ci sono pezzi che si scrivono solo perché si sono fatte molte fotografie e adesso si devono commentare, perché ci si è fatto un video, in fondo così così, per il quale ci si è dovuti lambiccare a trovare un senso e, ad un certo punto (in contraddizione con quanto appena detto) perfino dei materiali per farlo.

ci sono infatti alcune foto, rimaste dal precedente video perché mal vi si combinavano, del Museo Nazionale di Shanghai: diciamo la sezione antropologica, con i costumi e gli oggetti quotidiani di una Cina antica straordinariamente colorata e capace sempre di più di stamparsi nella mente come un mondo a parte, o forse come il vero Impero di Mezzo, di fronte al quale mondi a parte sono solamente gli altri.

e poi ci stanno le immagini originali mescolate della periferia un po’ torpida, dove alloggiamo Sara ed io, prese un po’ dalla giornata dell’arrivo a Shanghai, il 21, un poco dalla giornata successiva, nella quale ci svegliamo nella pioggia per andare alla Esposizione Mondiale, affacciandoci su una strada dove un grosso telone con l’immagine di un rapper di colore protegge una qualunque catapecchia dall’acqua.

folklore di ieri, già museizzato, folklore di oggi, senza prestigio né memoria.

* * *

ma il capitolo serve anche a riempire un buco fotografico (e qui sta la contraddizione).

al Museo Nazionale, infatti, i clic sono stati tanti che
fine delle fotografie

le ultime sono state quelle ai grattacieli che circondano il Museo Nazionale, infatti.

eccomi, stampato nell’hard disk della memoria mentre giro frenetico fra le bancarelle sul bordo del laghetto tra la casa da tè di legno e i giardini YuYuan alla ricerca di una batteria da comperare, per continuare i miei clic compulsivi: e la trovo anche!

ma non funziona…

ed ecco perché c’è come un buco fotografico che chiude la giornata:
l’Old Town e il Garden
il Bund
la nebbia
finiti i primi 100 euro la cena dei gamberoni
tutti momenti rimasti esclusi da rito frenetico dell’immortalamento dello straordinario, come del banale, reso possibile dalla digitalizzazione della fotografia e del video…

* * *

sembra quindi che si possano lasciare all’intuizione del lettore sia il quartiere Old Town, decisamente kitsch, dove Shanghai simula una antichità che non ha mai avuto, essendo sostanzialmente una città inventata per gli occidentali nell’Ottocento, sia il giardino tradizionale cinese (Yuyuan Garden) in esso contenuto e straordinariamente affollato.

ma l’intuizione del lettore in epoca di internet si chiama Google, e quindi ecco che, dopo adeguata ricerca, trovo che altrove molte macchine fotografiche reali in tempi differenti, diventando ora per me virtuali, hanno egualmente fissato, con altri occhi le stesse immagini che si sono registrate (di sicuro in modo diverso) nella mente mia e in quella di Sara: può cambiare forse la sfumatura di un approccio o il gusto di un colore, che importa? con fotoshop posso fare queste foto più mie delle mie, o insomma cercare almeno di avvicinarle al mio gusto fotografico…

il mio montaggio quindi continua, con fotografie che solo apparentemente non sono mie, perché le avrei fatte uguali, e questo mi permette di accogliere con un sorriso paradossale il complimento che mi arriva per mail: le tue ultime foto di questo video sono bellissime!

sconcertante paradosso della proprietà intellettuale in tempo di internet, che in questo caso consente di rimediare ad un inconveniente tecnico, ma altrove consentirebbe persino di immaginarsi, di vivere e far vivere al lettore del blog un viaggio assolutamente immaginario e solo mentale…

* * *

l’ostello e il circondario, noto il ristorante di pesce

questa nota, riferita alla mattina e all’arrivo all’ostello, ci introduce alla nostra prima, quasi sontuosa, cena, che va a svolgersi nel luogo prescelto a colpo d’occhio e di acquolina in bocca.

all’arrivo al Museo Nazionale ci eravamo sfamati a un botteghino che vendeva piccantissime frittate, ma la sera siamo poi andati proprio al ristorante di pesce con una grande aragosta al neon che campeggia all’angolo della strada un poco decrepita dove si trova il nostro ostello con un vialone a grande traffico.

attento lettore (o lettrice): se questo fosse un giallo, e non è detto che a un certo punto non lo diventi – perché non mancheranno a questo racconto il sangue, una stazione di polizia e una ricerca affannosa con gli agenti -, qui ti sarebbe stato gettato quel dettaglio insignificante che diventerà la soluzione dell’enigma successivo e permetterà al protagonista di salvarsi da un grave pericolo e al narratore di congiungere, in una stupefacente simmetria, l’ultimo al primo giorno del suo viaggio a Shanghai e dintorni.

* * *

il ristorante occupa due diversi locali che si affacciano l’uno di fronte all’altro ai due lati della strada e, come scopriremo domani sera, quello scelto da noi oggi è quello più economico e popolare, con una televisionaccia che trasmette una partita di calcio, una cameriera che vorrebbe essere cordiale, ma resta molto sciatta, delle bacchette di plastica chiuse in un involucro trasparente e subito ballerine fra mani incredibilmente impacciate, mentre Sara mi mostra paziente, ancora una volta, come si fa: la prima bacchetta fissa, stabile, nell’incavatura della mano che congiunge il pollice al resto, la seconda mobile, avventurosa, esploratrice e pirata, che si spinge nel mondo a raccoglie e portare a casa.

già, facile da descrivere, ma mica altrettanto da praticare, per fortuna stasera sopratutto spiedini, e per il resto chinarsi con la bocca quasi sul piatto, perché anche i cinesi riescono poi ad usare i bastoncini solo gestendo con loro un viaggio del cibo più breve di quello che avviene sulle solide impalcature di una forchetta.

quanto ai cucchiai, invece, quelli di cinese sono di ceramica, con ghirigori azzurri sul bianco, a forma di barchetta un poco avventurosa e sognante.

* * *

mangiamo granchi rossi fritti e spiedini fritti di non so cosa, saporiti e piccanti, poi torniamo in fretta all’ostello che sta a duecento metri da qui in una via molto popolare: cento metri oltre l’ostello ci sta un mercatino dove si vende di tutto; all’ostello la postazione internet ha le sue code, ma riuscirò a digitare qualcosa e a leggermi i giornali prima di andare a dormire.

il risveglio sotto un’acqua fitta e insistente per passare in banca a prelevare altri 200 euro e poi comperarsi un ombrello per sopravvivere alla pioggia della giornata, buttando via quello di Delhi di luglio, oramai disfatto, lo sapete già.

Una risposta a “265. X, 5. buchi fotografici e relativi surrogati.

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