l’ultimo post ci ha accompagnato, Sara e me, fino al momento di quel sabato 22 maggio in cui ci siamo riforniti alla banca di renminbi yuan, come si chiama ufficialmente la moneta cinese, oppure semplicemente yuan, che poi significa moneta rotonda, per ricostituire, dopo la volatilizzazione dei primi 100 euro, un fondo cassa decente, tenendo conto che lo yuan vale qualcosa più dell’euro, e che occorrono circa 120 euro per avere 100 youan.
e, a un supermercato piccolino lì davanti all’ingresso, alla ricerca di un ombrello.
ora non ci resta che inzupparci i piedi nelle dilaganti pozzanghere alimentate dallo scroscio continuo, pagare un biglietto che risulta abbastanza costoso, essendo di 18 yuan (ma come faranno i cinesi che si affollano?), guardare sconsolati il tabellone che ci informa che già prima delle 10 di mattina i visitatori di oggi sono già quasi 50.000, ed attraversare un lunghissimo vialone pavimentato di marmo che sembra fatto apposta per suscitare nel grigio dei riflessi come di un Turner sbiadito, per arrivare al traghetto.
un grande cartellone ci avverte nell’entrare che il tema dell’Expo è il rapporto fra Oriente (inteso come Impero di mezzo cinese) ed Occidente: un guerriero di un’antica terracotta rappresenta la Cina e forse l’Asia, e una Monna Lisa piuttosto spigolosa e vagamente baffuta la civiltà europea, forse un omaggio alle tesi che la Gioconda non sia tanto il ritratto di una donna determinata ma la proiezione fantastica del proprio io al femminile dell’omosessuale Leonardo.
in questo modo, ecco che ho già riempito con le mie solite divagazioni il primo punto degli accenni salvati sul blocknotes portatile, anche oggi assolutamente spartani.
sabato 10.05.22
in banca
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ma il tema di questa seconda parte, a partire dalla sucessiva annotazione, rischia di essere alquanto più interessante:
l’Esposizione Mondiale e come la Cina vede il mondo
l’argomento è talmente denso che non so ancora bene che cosa farne: o ci entro fino in fondo (ma mi riprometto di farlo più avanti) oppure mi limito a qualche accenno introduttivo.
intanto che ci penso, vi consiglio di salire con me sul battello che attraversa il fiume livido e nebbioso: per voi sarà un viaggio di un paio di minuti, per noi comunque non troppi di più.
solo alla sera ci accorgeremo comunque che avremmo potuto farci portare dal metrò direttamente nel cuore dell’Expo e che abbiamo perso un po’ di tempo in questa ricerca così annacquata.
consiglierei per questo primo video, troppo pieno di difetti, il piccolo formato soltanto.
ho deciso: per ora mi accontento di esporvi la visione del mondo dell’Expo di Shanghai usando la tecnica del sociogramma, che vi accenno in un momento dato che credo sia pressoché sconosciuta a tutti.
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il sociogramma è un grafico che un docente può costruire in ogni classe in cui insegna per avere un quadro delle relazioni psicologiche reali degli alunni fra loro, scoprire chi è il vero leader, chi è emarginato, chi fa gruppo.
lo si prepara con qualche domanda apparentemente banale del tipo: chi vuoi invitare alla tua festa di compleanno, con chi vorresti fare i compiti, chi vorresti nella tua classe come capitano della squadra di calcio della scuola; poi si raccolgono le risposte, ci si lavora su alcune ore per quantificarle, e si arriva alla visualizzazione: si tracciano le linee di forza che portano ad una distribuzione spaziale dei gruppi e si ottiene una specie di mappa psicoaffettiva della classe.
che coincide con la sua piantina e la distribuzione degli allievi nell’aula!
quando ho scoperto questo fatto, tanti anni fa, ho smesso in fretta di fare i sociogrammi, prendevo la scorciatoia: analizzavo il modo in cui erano distribuiti gli alunni: se il più bravo della classe sta al centro, allora è anche il leader, se sta ai margini, è considerato un secchione che gli altri hanno emerginato; il discorso vale anche al contrario per quelli che rompono: se rompono dal fondo della classe, il docente può stare abbastanza tranquillo, ma se stanno al centro e fanno massa, deve preoccuparsi: perché vuol dire che è la classe nel suo insieme che lo rifiuta.
a questo punto occorre guardare la piantina dell’Expo per capire come si vede la Cina e che relazioni affettive ha col resto del mondo.
ecco la cartina; lo so che c’è anche nel video, ma appare fugacemente e, se ci si vuole condurre su un discorso, occorre averla sott’occhio.
d’accordo, non ci si capisce niente, fate conto che vi abbia voluto prendere in giro.
comunque diciamo che occorre riferirsi alla parte a sud del fiume e che la nostra visita comincia dall’estremità orientale in alto: il padiglione della Cina corrisponde al quadrato violetto che si trova ad oriente dell’enorme viale, che comincia dal fiume all’altezza del gigantesco disco volante (quello che avete visto nel video e che poi alla fine è solo una struttura per mostre ed esposizioni) e che arriva appunto fino a quel padiglione cinese, all’incirca.
questa parte dell’Expo è dedicata all’Asia: noi incontreremo per primo lo strabiliante padiglione della Corea, coloratissimo e risuonante di musica, oltre a quello del Kazakhstan e di altri paesi minori; e come paese minore si presenta l’India con un padiglione modesto, coperto di verde, ma forse grande come quello del Nepal.
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fra luna Park e viaggio nello spazio-tempo
i paesi asiatici stanno mescolati fra loro, senza una precisa gerarchia.
l’avveniristico padiglione da film di fantascienza dell’Arabia Saudita, fra l’altro risuona di danze tribali, ma la folla ci impedisce di andare a curiosare dentro come si conciliano questa musica con la scenografia.
è vicino a quello dell’India, che poi porta a quello tradizionalista del Nepal, dal quale si intravvedono i colori sgargianti dello Sri Lanka e, di fronte, la fortezza assediata del Pakistan, che fronteggia un padiglione di Israele che più che altro sembra volersi presentare come paese mediterraneo, ma ha di fronte le dune di vetro degli Emirati Arabi Uniti o del Qatar.
a proposito, evitate il video ufficiale di presentazione del padiglione di Israele, che dà un’idea assolutamente non realistica della reale situazione sul terreno dell’Expo (e non solo), rappresentandosi al centro di uno spazio vuoto di falsa autocoscienza,,,
il video riguarda (solo dall’esterno, c’erano code terribili), i padiglioni dell’Arabia Saudita, di India, Nepal, Sri Lanka, Israel, Emirates e Qatar: solo in questo siamo riusciti ad entrare: ambiente surreale.
indifferente alle religioni e ai conflitti locali, come paese che ha al proprio interno una significativa minoranza islamica, ma poi anche una predominaza buddista, tollerata nel quadro dell’ateismo come religione di stato, la Cina guarda all’Asia come al suo naturale retroterra, alla base della sua identità, al patrimonio delle risorse materiali e umane di cui si sente naturalmente leader.
ma la Cina non sta più al centro dell’Asia come quando si definiva l’Imopero di Mezzo: in contrasto alla sua reale geografia, la Cina sta sul confine occidentale dell’Asia (a meno di non volere considerare le repubbliche islamiche dell’Asia centrale già una anticipazione dell’Europa da punto di vista cinese…) e come ponte ideale verso l’Occidente ha all’Expo… l’Australia!
l’Australia che i cinesi stanno conquistando del tutto pacificamente semplcemente comperandola ed invadendola come meta turistica è l’anticipazione dell’Occidente visto dalla Cina: un solido massiccio e chiuso, di ferro rugginoso: un rinvio all’enorme monolite di pietra rossastra che sta al centro di quel continente, ma ancora una volta una specie di metafora di un paese che si sente assediato, e che nella marcia della Cina verso la centralità mondiale non è niente più di un sasso…
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è preparato da padiglioni tematici diversi, da sculture surreali, a volte di un semplicismo kitsch, a volte creative e sconcertanti come un mix fra un Escher tridimensionale e un Bosch in bianco e nero, il padiglione cinese.
il video non potrà essere visto in Germania, sono stato avvisato di avere usato musica coperta da copyright, però non subirò nessuna altra conseguenza tranne l’inaccessibilità in un paese che protegge i diritti d’autore in modo più rigoroso che in Italia.
visibile da lontano, segno inquietante ed imperiale, esprime un’idea architettonica potente: è un segno imperioso nel mondo, un ideogramma rosso tridimensionale.
la Cina rivendica la propria storia e la propria identità politica di paese rinato grazie al comunismo, anche se oggi piuttosto il regime appare piuttosto una sorta di socialdemocrazia economica politicamente autoritaria.
ma questa piramide imperiale capovolta, che sboccia come un fiore geometrico dal terreno allargando la sua potenza verso il cielo, quando ci si entra ci sventaglia davanti il suo carattere polimorfo della Cina, le decine di stati che la compongono, e nello stesso tempo squaderna orgogliosa quella tradizione che sembrava dovesse essere cancellata come prezzo della modernizzazione selvaggia negli anni della dittatura maoista.
guardando da lontano quell’immenso monumento alla propria resurrezione e al proprio sconfinato potere non riesco ad evitare un senso di disagio e quasi di oppressione.
ma è proprio qui che ancora una volta, nella folla che a tratti si addensa come in una metropolitana di mattina, perdo Sara: piccoli smarrimenti brevi sono stati abbastanza comuni, ma questo si prolunga al punto che dobbiamo ricorrere ad un ponte tra cellulari fino in Germania e ritorno per ridarci appuntamento proprio lì davanti, ma siamo oramai così distanti che ci vuole un quarto d’ora d’attesa prima del ricongiungimento.
persi e ritrovati, come socializzo anche coi cinesi
per la prima volta in questo viaggio, staccato da Sara che è stata sinora la mia Beatrice, interprete e guida nel mondo ultraterreno e magico dell’Expo, entro in contatto con un gruppo di quarantenni cinesi che parlano un poco di inglese: ci troviamo immediatamente simpatici, ci fotografiamo a vicenda, un paio di donne mi sorridono molto.
questo ingenuamente mi rassicuara e quasi mi riconforta: non è così terribile la Cina se poi nella quotisianità è fatta di gente così semplice e cordiale…
e qui si dovrebbe aprire una parentesi sulle donne cinesi, protagoniste spiccate dei miei montaggi video, come qualcuno avrà notato, perché la Cina è un paese dove le donne hanno un ruolo importante: sono aperte, libere ed emancipate: sia questo il frutto della rivoluzione oppure il portato di una civiltà che appare decisamente meno maschilista di quella indiana.
mi verrebbe da dire che in India la scena è completamente occupata dagli uomini, che però hanno qualcosa di indefinito femminile, nella mancanza di aggressività espllcita che è una delle caratteristiche di questa cultura; in Cina una parte della scena è occupata da donne, autonome e determinate, e in questo senso quasi più maschili degli uomini indiani, che sono femminilizzati dal sistema delle caste.
comunque, questo è solo per dire che, quando Sara mi raggiunge finalmente, mi trova che mi sto facendo fotografare abbracciato con una quarantenne piccola e graziosa…
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il video ci porta invece al padiglione cinese: purtroppo oramai la batteria aveva una carica quasi esaurita e mi sono dovuto limitare molto nelle riprese e nelel foto.
alcune riprese riguardano gli ultimi padiglioni dell’Indonesia, delle Filippine, della Thailandia e dell’Africa: danze e musica sono gli ingredienti dominanti della presenza all’esposizione di questi paesi poveri, a conferma dello stretto legame che intercorre fra miseria sociale e felicità.
da lontano la Cina guarda a chi è diverso da lei: è la povertà dell’Africa dove decine di piccoli stati stanno raccolti in un unico grande capannone collettivo che sembra una raffigurazione drammatica della frantumazione di un mondo che non ha trovato ancora il suo Mao nè il suo Gandhi e che sprofonda in una regressione tribale, ben testimoniata dalla danze che rappresentano quasi l’unica forma di espressione che l’Africa porta qui dentro.
ed oltre l’Africa, separata e distinta dai paesi arabi sentiti come fratelli asiatici, nella notte in cui oramai la batteria della camera si è esautrita, arriviamo ai confini dell’Europa, dalla spettacolare cattedrale di cascami d’oro della Russia, alla mela verde romena dalle melodie scatenate, all’Olanda che ha costruito una specie di piccolo borgo a spirale che si leva da un verdissimo prato di plastica, dove pascolano pecore artificiali adatte a farti da sedile, alla Germania dove si esibisce uno straordinario uomo di spettacolo che sa trascinarci tutti a cantare con lui che registra e miscela suoni di strumenti immaginari diversi ottenuti dagli oggetti di vita quotidiana in una stratificazione di ritmi che ti coinvolgono sorprendendoti.
l’ultima foto la riservo al cubo di vetro in cui sta come incastonato in uno scrigno o in una bara di cristallo da Bella Addormentata un qualche rilievo rinascimentale di marmo del padiglione italiano.
simbolicamente è il punto più lontano dalla Cina a cui siamo arrivati, questo specie di cubo che ricorda alquanto l’architettura piacentiniana di regime rivisitata e ci consegna l’immagine di un paese chiuso nella contemplazione di sè.
più in fondo, irraggiungibili, ci stanno le Americhe, gli Stati Uniti, le tundre ghiacciate del Canada, chissà, forse i poli.
l’Occidente padre di tutte le libertà e di tutti i divertimenti: l’Occidente già condananto alla decadenza solo per questo, ma che ancora non lo sa…
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tra ieri ed oggi [14 e 15 agosto] un piccolo tour de force per concludere il montaggio dei video (come al solito un mix di foto e riprese) sulla visita del 22 maggio, assieme a mia figlia, all’Expo di Shanghai.
il risultato direi che non è travolgente, però spero che il documento della nuova Cina e della ricchezza culturale asiatica possa avere un interesse per chi mi segue, conoscendo già le caratteristiche e i limiti dei miei montaggi.
in particolare consiglio sempre questi video per l’unica cosa che non è mia: la musica.
il secondo vantaggio marginale, per chi è interessato all’Expo, è che chiamando i miei montaggi viene visualizzata anche una lista di video simili, spesso di gente che si è fatta ore di coda per entrare nei padiglioni più gettonati…
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