in uno dei mie ultimi post, a proposito delle proteste contro la nuova stazione di Stoccarda, che stanno assumendo il carattere di una vibrante rivoluzione culturale, mi sono posto questa domanda:
di fronte alla catastrofe planetaria in atto che senso hanno le campagne delle anime belle dell’ecologismo che contrastano le manifestazioni secondarie del problema, ma sembrano incapaci di affrontarlo nella sua vera dimensione?
ma la domanda, a ben guardare, si allarga ancora: che senso ha continuare ad indicare nella produzione industriale il centro del problema, quando essa ne è invece una conseguenza e anzi è solo lo strumento indispensabile per mantenere gli attuali livelli di sovrappopolazione?
non è questo stesso ecologismo di dettaglio una manifestazione di inconsapevolezza della vera portata dei problemi, la lotta per qualche sfizio sul Titanic che affonda? la dimostrazione di una abitudine alla raffinatezza così radicata da risultare insuperabile in menti viziate dalla presunzione di un lusso eterno?
in una parola sola, la dimenticanza del vero drammatico valore della vita umana come esito precario di una lotta per la sopravvivenza sempre rinnovata?
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l’effetto serra non nasce soltanto dai fumi delle fabbriche, esso è prodotto molto di più dal semplice respiro degli uomini e degli animali che l’uomo alleva per nutrirsi con una dieta prevalentemente carnea: perché producono certamente più metano centinaia di milioni di vacche che ruminano che milioni di marmitte catalitiche.
il problema dei problemi è prima di tutto come si fa a controllare l’incremento demografico umano, o meglio come si fa a ridurre non sanguinosamente l’eccesso di popolazione, abbandonando il modello tradizionale che prevedeva una ricetta sola: la guerra, con una drastica selezione dei maschi giovani.
d’accordo: la prospettiva unica che abbiamo davanti è la costruzione di un nuovo modello economico-sociale della decrescita dolce.
facile da dirsi, come slogan non possiamo avere altro che questo: che cosa dobbiamo dirci, che siamo per una “decrescita amara”, come fa provocatoriamente il titolo di questo post?
tanto vale dire semplicemente che sono c…i amari, come suol dirsi quando la situazione appare senza via d’uscita (e chi lo sa perchè si usa questa espressionaccia per dirlo…).
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però, se guardiamo alla civiltà occidentale, occorre dire che una soluzione valida verso la decrescita demografica, premessa indispensabile di ogni azione di rimessa a regime adeguata del pianeta, per questo contesto culturale è stata trovata.
è un mix fra contraccezione, legalizzazione dell’aborto, cioè della maternità responsabile, incremento di ogni forma di sessualità non procreativa, grazie anche alla diffusione della pornografia, cioè di forme d’arte che stimolano ad un uso della sessualità centrato sul piacere fine a se stesso, e al riconoscimento del valore di forme di sessualità alternativa, come quella omosessuale, sino ad allora represse.
diciamo pure che è il libertinismo sessuale dell’Occidente la ricetta non tanto segreta, a guardare le cose in faccia col loro nome, che ha prodotto il fatto che in se stesso considerato l’Occidente è oramai demograficamente stabile, se non adidrittura declinante: unica area del mondo a raggiungere questo risultato.
insomma, la nuova liberalizzazione sessuale, nata del Sessantotto, ne ha realizzato lo slogan fondamentale: non fate la guerra, fate l’amore.
solo le anime grette e chiuse tentarono di dare al Sessantotto una veste marxista classica e di riportarlo negli schemi del passato e lo vedono come una rivoluzione comunista fallita; in realtà il Sessantotto nacque dai figli dei fiori e la sua presa del Palazzo d’Inverno fu Woostock, la sua vittoria sta nella libertà sessuale che ha creato una civiltà del tutto nuova in Europa e in America.
insomma, la libertà sessuale come forma di controllo delle nascite: elementare, Watson! come mai non ce ne siamo accorti prima?
efficace e anche molto più facile e divertente da realizzare della teoria della castità forzata prima del matrimonio e poi degli accoppiamenti matrimoniali solo nei periodi femminili infecondi voluti dalla chiesa cattolica!
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ma questa rivoluzione senza cannoni, questa rivoluzione dei fiori, la cui eco arrivò fino in Cina e giunse ad insinuarsi nella terminologia ufficiale della dittatura maoista quando venne coniato lo slogan “che cento fiori fioriscano”, ha due punti deboli che vanno analizzati con molta chiarezza.
il primo punto debole sta nella violenta opposizione che il pensiero religioso tradizionale, soprattutto nella chiesa cattolica, sta conducendo contro questa rivoluzione libertaria che è prima di tutto rivoluzione sessuale.
non a caso l’omofobia è la bandiera che sventola sopra questa violenta opposizione condotta contro forme di vita sociale sessualmente più libera.
non solo perché l’omofobia è la necessaria forma di difesa di una istituzione come quella clericale cattolica che è intrinsecamente omofila, ma perché l’omofobia, mica a caso così ampiamente difusa nei paesi cattolici, esprime in forma emotivamente forte questo rifiuto della sessualità libertaria.
cioè dalla rivoluzione del Sessantotto non è affatto nata una chiesa che rivendicasse il valore positivo, affettivamente e anche religiosamente, della sessualità come ponte degli uomini con Dio: eppure nella figura di Jeshu, come sto dimostrando con la mia lunga ricerca sulla sua dottrina originaria sul matrimonio in corso su questo stesso blog, la rivendicazione del valore sacrale della vita sessuale era un punto fondamentale della rivoluzione culturale cristiana…
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ma il secondo punto debole, ancora più drammatico, sta nel carattere assolutamente minoritario nel mondo di questa nuova impostazione morale e di questo nuovo stile di vita.
peggio: la contraddizione insanabile sta nel fatto che la rivoluzione sessuale, per potere essere realizzata esige come premessa un buon tenore di vita…
la rivoluzione sessuale del Sessantotto non ha coinvolto il mondo intero, ma solo le democrazie occidentali: peggio, essa non appare in grado di coinvolgere altre culture.
non parlo solo dell’Islam, che appare oggi come una caricatura tragicamente esasperata dello stesso integralismo sessuale del cattolicesimo, che giunge fino alla violenza, al massacro, al sangue, nelle sue forme più brutalie retrive, ma parlo dell’India, della Cina, dell’Africa – in qualche modo anche dell’America Latina, cattolicamente legata pur sempre a modelli di machismo.
… pur se in quest’area del mondo il problema è in via di risoluzione da sè, considerando il progressivo e rapido sgretolamento in quel continente del cattolicesimo oramai in via di sostituzione da parte di nuove religioni a matrice cristiana – pochi si rendono conto che in questi anni è in corso in tutta l’America meridionale una sorta di silenziosa riforma protestante che sta staccando dalla Chiesa cattolica il suo più grande bacino d’utenza.
ma tutta l’Africa e tutto l’Oriente, a parte qualche isola neocoloniale per i depravati turisti sessuali dell’Occidente, rimane totalmente estranea alla liberalizzazione sessuale del Sessantotto, o forse il procedere della demolizione dei tabù tradizionali è in corso, ma ad un ritmo troppo lento per potere costituire una risposta valida
… anche se induce ad ottimismo relativo il fatto che – con la sola eccezione del mondo islamico – non si trova nelle religioni orientali nessuna opposizione di principio alle manifestazioni di una sessualità più libera che anzi, dal Kamasutra alle geishe, si può esprimere in questi paesi nelle forme di un recupero della tradizione: dopotutto i templi indo-buddistici del Nepale, per fare un esempio, accolgono i fedeli con i loro bassorilievi di legno multicolori che illustrano ogni forma di sessualitá non matrimoniale possibile.
ma intanto per il momento domina in tutta questa parte del mondo (l’Asia e l’Africa), che contiene forse 5 dei 7 miliardi di esseri umani del pianeta, una corsa poco controllata alla moltiplicazione delle nascite, del tutto in linea col comando biblico del crescete e moltiplicatevi, oggi trasformato in comando universale, dimenticando che esso era originariamente ricvolto ai soli ebrei.
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la Cina ha prodotto in alternativa un modello politicamente autoritario di controllo delle nascite, che non si fonda sulla liberalizzazione della sessualità non procreativa, ma sulla repressione legale del superamento del numero massimo di figli ammesso: uno per coppia – che viene duramente punito con multe ed altre sanzioni.
il modello è solo parzialmente efficace, tuttavia visitare la Cina significa davvero muoversi in un paesagio umano dove il bambino è raro, a differenza di altre zone del mondo, soprattutto l’Islam, caratterizzati da un predominio visivo totale del mondo infantile.
a sua volta però questo controllo delle nascite, avvenga nella sua forma libertaria occidentale o in quella autoritaria cinese, non è privo di problematiche di non semplice soluzione, che riguardano soprattutto la mantenibilità di una società prevalentemente anziana da parte di nuove generazioni limitate nel numero.
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