domenica 1 maggio 2011 10:34
dal punto di vista strettamente umanitario un figlio di Gheddafi – e ahimé persino i suoi tre nipoti, che c’è da temere siano dei bambini – sono vittime di una guerra come tutti gli altri e si aggiungono all’elenco che fonti sospettabili di propagandismo calcolano fra le 10.000 e le 20.000 vittime libiche in queste settimane della volontà gheddafiana di restare al potere, anche dopo che la maggior parte delle tribù gli ha chiesto di farsi da parte, ma che comunque sono svariate migliaia.
non è neppure la prima volta che le bombe intelligenti dell’occidente uccidono a Gheddafi qualche figlio e parente, senza riuscire a colpire lui: toccò lo stesso (di mancarlo alla stessa maniera) anche a Reagan negli anni Ottanta: ma Gheddafi sembra godere della stessa fortuna che protesse dagli attentati anche Hitler e Mussolini, mai colpiti, e perfino Reagan stesso e Wojtyla, colpiti, ma sopravvissuti.
però non si può negare che la perdita del secondo figlio da parte di Gheddafi in questa guerra (il primo è caduto come pilota a marzo) esercita un impatto emotivo forte, non tanto perché la vittima possa essere definita “civile” (Gheddafi è il comandante in capo effettivo dell’esercito libico, a cui anche il figlio apparteneva), ma per gli aspetti più strettamente personali.
e l’essere umano è altamente emotivo, anzi è essere molto più emotivo che razionale: le emozioni sono parte del corredo biologico immediato del nostro essere fisico, l’intelligenza, anche quando ne sia posta una qualche premessa fisica nella conformazione dei circuiti cerebrali, è frutto in parte determinante dei condizionamenti ambientali, altrimenti chiamati educazione, e appartiene comunque sempre ad una minoranza.
è con gli effetti emotivi di questo episodio che occorre fare i conti.
emozione per emozione, fino ad ora ci è stato solo pudicamente detto che il figlio di Gheddafi è stato ucciso da un bombardamento NATO, senza altri dettagli; e putacaso questo bombardamento fosse stato proprio italiano?
in tempi passati ad un fatto di forte valore emotivo si rispondeva facendo appello ad una analisi critica, ma da tempo questa abitudine insensata è stata abbandonata come del tutto improduttiva, sopravvive giusto solo in qualche blog di nicchia di un sessantenne; da tempo si è capito che c’è un modo solo di opporsi ad una emozione che crea danno ad una causa, ed è di produrre una emozione contraria più forte.
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ma in questo caso la partita è persa: perché nel mondo delle emozioni non è affatto vero che gli uomini sono tutti uguali: questo fantasma ideologico appartiene al mondo in declino della ragione che si autodefinisce (e temo, a torto) intelligenza: nel vissuto emotivo della gente le emozioni sono strettamente legate al potere, al lustro, al fasto.
come può essere spiegata l’attenzione che i media mondiali hanno dedicato alle nozze di un mediocre rampollo della dinastia più dissestata della storia, la cui successione di casi semipatologici di diversa tipologia e le vicende farneticanti si spiegano solamente col sospetto che essa sia il frutto di amori adulterini della severissima regina Vittoria, tanto pronta a coprire per pudore le gambe dei mobili, quanto a vivere in privato con qualche servitore di turno una anticipazione ancora più sfrenata degli amori di Lady Chatterley col rude giardiniere?
non lo dice la ragione in persona di lasciare perdere, perché da figli di relazioni instabili non possono che uscire, statisticamente parlando, che relazioni altrettanto instabili?
sarebbe un buon motivo per precipitarsi su You Tube a godersi il filmato delle nozze di mio figlio, tra l’altro molto più poetiche col corteo finale di musica di strada nel centro storico di Brescia, che però ha avuto un centinaio di spettatori scarsi, mentre quando mia cugina si sposò negli anni Sessanta, anche lei a Londra, il cugino dell’Aga Khan, ecco che le sue nozze fastose furono trasmesse in Eurovisione e ci fantasticarono su milioni di ragazzine vogliose come lei di scappare di casa per fare la hostess.
insomma, il fasto, il lusso, il potere sono un ingrediente fondamentale delle emozioni di tipo televisivo: chi di appassionerebbe alle vicende sentimentali di uno sfigato? sono le vite dei fortunati che possono godere di un pubblico ascolto proporzionato al desiderio di identificazione.
piccolo segreto persino della produzione blogghistica, dove ciascuno deve farsi passare per persona in qualche modo eccezionale, fino a che trova qualcuno disposto a credergli: ma se fosse triste, sbiadito, noioso, insomma semplicemente comune, non se lo cagherebbe proprio nessuno.
e dunque la morte sotto le bombe di un figlio e tre nipoti di uno degli uomini più ricco del pianeta, molto più ricco perfino di Berlusconi, cioè di Gheddafi, emozionano, perché sembrano violare le leggi della vita sociale, e potrebbero essere equilibrate solo da un fatto emotivo di portata analoga, metti che una squadra di agenti segreti libici ci privasse di Berlusconi: mentre la morte di quattro identiche persone comuni alla periferia di Misurata non fa nessun effetto, emotivamente parlando, se non a coloro che impongono alle proprie emozioni di essere democratiche.
cioè le negano.
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le emozioni sono antidemocratiche sin dal tempo dell’illuminismo e della rivoluzione francese: che cos’altro è stato il romanticismo se non un appello alle armi di emozioni ed istinti contro l’egualitarismo razionalistico? di che cosa si sono nutriti i movimenti fascisti, se non di deliri irrazionali accuratamente alimentati e programmati, ma spesso sfuggiti anche al controllo, perché poi le emozioni sono come l’energia nucleare, ed è difficile per definizione farne un uso assolutamente pacifico?
le emozioni si possono svalutare in un modo soltanto: facendole vivere, in alternativa, a chi le prova.
nessun rimedio migliore all’innamoramento (come sapeva già Lucrezio che lo considerava una malattia) che il libertinismo programmato; nessuna alternativa migliore alla voglia maschile di guerra che il tifo sportivo e la devastazione della periferie attorno allo stadio: solo quando gli uomini soddisfano le loro passioni se ne saturano e sono disposti quasi a considerarle con freddezza.
ma il rimedio è pericoloso, lo si ammetta.
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solo alla luce di questa premessa, ora vorrei tornare alla mozione presentata in Parlamento dalla Lega per bloccare a tempo l’intervento italiano in Libia a fianco delle altre democrazie liberali classiche occidentali (USA, Francia, Inghilterra: siamo ancora allo schieramento della prima guerra mondiale), che ieri mi sono praticamente quasi limitato a pubblicare, denunciandone democraticamente l’insensatezza: 230-dalla-guerra-lampo-alla-guerra-a-tempo-i-cavoli-e-la-merenda-della-lega
oggi faccio ammenda: temo che l’opinione pubblica democratica, alla quale mi vanto, pur con alcune mie stranezze, di appartenere, sia spesso inadeguata e ridotta dall’abuso del politically correct ad un buonismo conformista che la relega ai margini della politica.
ora dimostrerò invece, dopo notturna più approfondita riflessione, che questa mozione, al contrario, rappresenta nel modo migliore, più coerente e lungimirante, il nostro futuro.
(che io poi a questo futuro non intenda appartenere – avendo anche poco da perdere – lo si metta nel conto di quelle stranezze personali di cui sopra).
il concetto fondamentale della Lega, che ho sbeffeggiato ieri a torto, è che non si debba fare nulla di fonte al massacro che un dittatore fa del suo popolo se arabo o comunque africano (mettendo fra l’altro a rischio la regolarità del flusso di petrolio su cui campiamo noi, non raccontiamoci bubbole per favore su questo: nessuno pensa di intervenire in Siria, dove i delitti sono simili e il petrolio non c’è) PERCHÉ un intervento rischia di aumentare il flusso degli immigrati verso l’Europa.
se invece li lasciamo sotto il tallone delle polizie segrete, restano a casa loro.
il presupposto di questa posizione è la forte convinzione emotiva che gli esseri umani non sono tutti uguali e che i diritti appartengono solo ad un ristretto numero di privilegiati, cioè la negazione più coerente possibile del principio della democrazia.
un movimento politico che nega gli elementari diritti politici agli immigrati in Italia non si vede del resto perché dovrebbe riconoscerglieli in Africa.
e questo credo che basti quanto alla coerenza della Lega.
passo ora alla lungimiranza.
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i diritti umani sono i valori fondativi della civiltà occidentale moderna, europea ed americana.
soltanto.
essi non appartengono alla tradizione civile di quello che Marx chiamava il dispositismo asiatico: Cina, India e perfino quella enorme terra di mezzo che è stata ed è la Russia non conoscono i diritti dell’individuo o comunque li subordinano strettamente a quelli del gruppo.
approfondite meglio i punti salienti dell’etica civile germanica e troverete comunque qualcosa di simile (il che forse aiuta a spiegare la resistenza mentale tedesca all’intervento in Libia).
l’individuo campeggia, nel mondo, al centro di tre rivoluzioni soltanto: in successione, quella inglese, quella americana e quella francese, e sono tutte e tre rivoluzioni oramai di tre secoli fa.
l’individualismo che si è tradotto nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (inteso come individuo), comparsa l’anno stesso della mia nascita, il 1948, ha prodotto con questa probabilmente il suo ultimo canto del cigno nel momento dell’apparente trionfo occidentale alla fine della seconda guerra mondiale che fu anche la seconda guerra civile europea dei Trent’anni: 1914-1945.
è dubbio persino se l’appoggio americano alla rivoluzione araba in corso potrà davvero tradursi nel successo in quest’area del mondo di una simile visione del mondo, peraltro intrinsecamente fragile e contraddittoria, se vogliamo guardare al suo interno.
nel nuovo mondo che avanza, sotto il dominio economico delle nuove potenze asiatiche, solo l’India è una democrazia e rappresenta un possibile testa di ponte con l’Occidente, ma la democrazia indiana è la più strana del mondo, perché convive col sistema non dichiarato delle caste, tuttora praticamente attuale nella vita civile, non dichiarato, anzi vietato, nella Costituzione formale, ma praticato in quella di fatto.
schierarsi per la democrazia, per l’uguaglianza degli uomini, per i diritti universali, significa appoggiare una ideologia democratica ed egualitaria, fondata sulla tradizione filosofica razionalistica occidentale, che probabilmente ha ben poco da dire al mondo del futuro, che sarà invece guidato da sistemi politici capaci di intruppare masse disciplinate inducendole all’obbedienza; la convinzione tipicamente americana che l’aspirazione umana alla felicità si traduca automaticamente nella ricerca di valorizzare la propria individualità, potrebbe rivelarsi illusoria e contraddire le basi profonde di culture strutturalmente diverse.
se la parola ragione riconduce al “calcolare” individuale in occidente, in Cina essa riconduce alla saggezza condivisa di un villaggio (vedi Zolla, La nube e il telaio).
dunque il futuro è molto più probabile che sia di sistemi autoritari volti a mantenere con la forza l’equilibrio sociale e non del modo di vita occidentale, che pone al centro l’anarchia individuale.
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da questo punto di vista l’Italia ha la grande fortuna storica di non avere mai avuto una vera rivoluzione democratica (a parte quelle fragili e subito sconfitte del Quarantotto, della Resistenza e del Sessantotto, democratiche entrambe fino a un certo punto, del resto), ma di essere stata caratterizzata, più di ogni altro paese europeo da una solida e quasi ininterrotta tradizione di movimenti reazionari di massa: dalle masse fanatiche che combatterono i giacobini a fine Settecento, al brigantaggio meridionale che insanguinò per vent’anni il nascente stato unitario, sino allo squadrismo fascista che distrusse e seppellì le effimere e fragili istituzioni democratiche giolittiane.
da noi più che da altri, in un paese che rapidamente declina abbandonando le conquista civili degli ultimi decenni sotto il peso devastante che non sa riconoscere del parassitismo famelico di una classe politica corrotta e incompetente, il futuro è di masse incolte, emotive, fanaticamente disposte a difendere privilegi antiegualitari e a commuoversi solo per i potenti della terra; non c’è spazio per i diritti di tutti, per l’eguaglianza della dignità, per la condivisione spontaneamente raggiunta di obiettivi comuni: occorre la disciplina, la violenta identificazione emotiva nella marcia immaginaria al passo dell’oca, occorrono le tifoserie acritiche e violente.
occorre cancellare tra gli italiani l’identità europea ed occidentale, già voci si levano per dirlo, ed essere pronti anche noi a nuovi regimi autoritari che reprimano il dissenso, le voci critiche come dannose, l’intelligenza come superflua.
siamo fortunati: l’Italia è poco occidentale, la presenza della chiesa cattolica la predispone volentieri a forme di semi-islamismo moderato, del resto stiamo a metà del Mediterraneo, un poco europei e molto già africani.
è la Lega il nostro futuro: la solidarietà per le dittature che la destra italiana esprime mica è casuale, è la voce profonda della nostra storia, la continuità col fascismo e col razzismo in Italia mai profondamente rinnegati.
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e allora si approvi la mozione della Lega, ma per favore lo faccia solo la destra, e le si aggiunga un emendamento: che sarà l’Italia a denunciare il trattato con cui accetta il Tribunale Internazionale dell’Aia per i crimini contro l’umanità e ad ospitare Gheddafi nel suo inevitabile esilio (se riesce a scamparla): siamo cinici abbastanza, non crediamo alla legalità (figurarsi a quella internazionale), gli dobbiamo il bunga bunga e la profezia realizzata di un futuro di diseguaglianza attiva ed entusiasta.
se fa a tempo a prendere la cittadinanza potrebbe essere lui il nostro prossimo presidente della repubblica, sarebbe pur sempre meglio di Berlusconi.
L’ha ripubblicato su cor-pus-zero.