Siria libera! – 118

11 marzo 2012   domenica   18:47

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ci siamo abituati alla tragedia della Siria.

ci siamo abituati a leggere, come oggi, “almeno 34 persone morte oggi in tutto il paese”.

di giorno in giorno cambia di poco il numero esatto, la somma complessiva neppure si sa, e la notizia è un poco noiosa, per la sua ripetitività.

solo per chi ci è stato, allora quel sangue diventa un poco più vicino, più concreto.

* * *

la Siria non ha il petrolio che ha indotto l’occidente a intervenire in Libia per cautelarsi e a rimuovere un dittatore oramai incapace di garantire l’equilibrio nel suo paese: una guerra civile troppo prolungata come quella di Siria avrebbe messo in ginocchio l’economia dei nostri paesi.

e anche se il dopoguerra libico sta vedendo (nel silenzio dei media, che non hanno alcun interesse a farcelo sapere) una ordinaria sequenza di vendette atroci regolari in ogni post-dittatura e di violenze quasi peggiori di quelle ghedaffiane, il paese appare relativamente stabilizzato.

ma neppure ha, la Siria, un popolo forte e numeroso come quello egiziano, in grado di abbattere il dittatore da solo.

ma chi ha interesse a stabilizzare la Siria? una Siria inquieta e insanguinata è un modo di colpire l’Iran di cui è alleata.

* * *

e le vittime di questa politica estera cinica sono i siriani, popolo straordinariamente ospitale e incredibilmente cordiale: e chi lo sa se dalla guerra civile uscirà intatta la Siria laica e tollerante che ho conosciuto nel 2003?

intanto i siriani nel mondo cercano di far sentire la loro voce, questi sono quelli di Brescia: non chiedono l’intervento straniero, chiedono dei corridoi umanitari, che però è quasi lo stesso.

per fermare il massacro sembra non ci sia altra strada che quella di prolungare il massacro.

tutto questo non ha senso.

31 risposte a “Siria libera! – 118

  1. In questo post hai accumulato una serie di temi mica da poco!
    – Libia: non direi affatto che la situazione si sta pacificando, piuttosto c’è la solita distrazione dei nostri media… su le monde diplomatique trovi ottimi resoconti del caos politico che vige ora laggiù tra decine di fazioni che cercano di spartirsi il potere.

    – Siria: non dimentichiamoci che un grande ruolo lo gioca anche l’altra potenza regionale, l’Arabia Saudita, che pur di indebolire l’Iran è disposta a creare il caos nel suo alleato maggiore. Agendo esattamente come le potenze occidentali, a discapito dei civili.

    – Laicità: (vedi sopra) per loro suoi scopi, i sauditi non esitano a ricorre agli integralisti islamici, le premesse sono pessime!

    – Intervento internazionale: costoso, certo. Ma anche osteggiato dalla Russia e dalla Cina, che hanno troppa paura di vedere estendersi l’influenza NATO nella zona: la Siria non avrà petrolio, ma un passaggio praticamente obbligato per molti oleodotti. Eppoi è un contraltare alla Turchia…

    • caro red,

      come vedi è vero che un blog lo fanno i suoi lettori e commentatori: tu hai visto in questo post semplicemente la complessità che avevi in te,

      se sei d’accordo, potrei provare a trasformarlo in un post a quattro mani, citandoti come coautore, e inserendo nel testo le tue osservazioni che lo arricchiscono in modo sostanziale.

      • dici che ho un bel casino in testa? direi che hai proprio ragione….

        nessun problema a fare un post a quattro mani, oppure puoi semplicemente integrarlo con le riflessioni che ho messo nel commento (citarmi come coautore è gentile, ma non necessario).
        forse le riflessioni le avevo sviluppate un pò meglio nel post “la strada per damasco”, magari prova a vederlo coi commenti che mi parevano interessanti

  2. no, secondo me il problema è opposto:non ne hai troppo, ne hai troppo poco… 🙂

    i tuoi sono discorsi razionali tutti, ma possiamo gestire solo razionalmente problemi di questo genere?

    la propaganda ci condiziona: vero.

    probabilmente ci sono luoghi con altre stragi simili, e noi non lo sappiamo neppure: vero.

    è tutto strumentale all’indebolimento dell’Iran: verissimo.

    c’è il rischio di infiltrazioni di Al Kaida: probabile: ma glielo vai a spiegare tu ai siriani che devono tenersi il dittatore perché noi abbiamo paura dei talebani?

    nel tuo post questo atteggiamento è ancora più coerente, ma finisce con l’essere la prova su come la ragione riesca soltanto a non farci decidere…

    ciao.

  3. bhè, sentirmi dire che non sono abbastanza incasinato è abbastanza nuova, la prendo bene.

    certo, soprattutto nel mio post seguo un ragionamento strettamente logico. ma l’obiettivo di quel post è una “pars destruens”, smontare i luoghi comuni.
    proporre soluzioni credo non sia mio compito, eppoi lo fanno già in molti….
    in realtà, se proprio mi si chiama ad una decisione, io avrei ben chiaro in mente cosa fare, come farlo e quando farlo: inviare i caschi blu. ora.
    siccome questo è il mio mondo dei sogni, tutto il resto che diciamo si inserisce in quel contesto che tanto freddamente ho descritto ed i nostri interventi (per carenza di risorse o volontà) saranno sempre limitati.
    col risultato che lasceranno inalterati i punti che ho indicato, perchè nessuno può o vuole reciderli.

    non me ne vogliano i siriani, cui dovremmo metterci di massimo impegno per garantire un futuro come meglio se lo augurano, ma l’equazione fra tenersi il dittatore e scivolare verso un pericoloso ignoto (come quello che si predicava per Libia, Tunisia, Egitto) ora è reale. e se siamo nella realpolitik dobbiamo preoccuparcene

    • caro red, non sottovalutare il mio amore per il paradosso e poi tutto è relativo: la mia unità di misura dell’incasinamento sono io…

      poi la discussione si connette strettamente ad altre che stiamo sviluppando questo pomeriggio, sul rapporto ragione – irrazionalità.

      e certamente, intesa come pars destruens la tua critica funziona a meraviglia, ed è svolta bene.

      ma qui poi si tratterebbe di decidere qualcosa, per non lasciare che 30 o 50 persone finiscano ammazzate ogni giorno.

      non sono d’accordo questa volta con te né sul pericoloso ignoto: Tunisia, Egitto, Libia stanno cercando la loro strada, la libertà è difficile per chi non l’ha mai avuta, diamogli tempo, ma questo percorso è migliore che restare sotto le dittature.

      e tantomeno concordo sulla Realpolitik: di Realpolitik, poi fatta sul serio e da parte di chi la forza ce l’ha davvero, è pieno il mondo; la Realpolitik ci ha dato le guerre mondiali e i genocidi di massa.

      noi blogger dobbiamo davvero scimmiottare la Realpolitik, che del resto non si può fare davvero non avendo la forza, oppure il nostro ruolo è di diffondere la richiesta di una attenzione ai diritti umani?

      senza nessuna pretesa, io dedico buona parte del mio blog a questo secondo scopo; la Realpolitik so che è sempre schiva dell’eterogenesi dei fini, mentre qualche limpida battaglia ideale corre questo rischio di meno, secondo me.

      (ma non ti sto facendo la lezione, ti sto solo chiarendo il mio modo di vedere).

      ciao.

  4. la tua risposta mi fa capire bene di essermi spiegato malissimo.

    difatti, non affatto mia intenzione fare l’apologia della Realpolitik, né sostenere che dobbiamo muoverci secondo le sue direttrici in questo frangente.
    né ho inteso mai difendere il terrore dell’ignoto col quale la politica estera occidentale ha affrontato le rivolte arabe: sarebbe una giravolta in palese e vergognoso contrasto con quanto scrivevo solo pochi mesi fa sull’Egitto (il verbo “predicare” avrebbe dovuto, nelle mie intenzioni, dare il senso dello scimmiottamento)…

    quello che (malamente) intendevo dire è semplicemente che il nostro ragionare come blogger occidentali (esterni agli avvenimenti) sul tema deve riconoscere innanzitutto un paio di dati di fatto: il primo è quanto dicevo in quel post e nel commento, ovvero che ci sono altri attori con piani specifici per l’area e con obiettivi palesemente in contrasto coi nostri; il secondo è che per carenza di mezzi (dubito) o di volontà (e lo sappiamo), noi come “Occidente” non saremo in grado di influire in modo determinante sul corso degli eventi. potremmo, ma non lo faremo.
    a me per fortuna il gioco della Realpolitik non compete, ma se anche fosse non mi sentirei di accettare quei 30 morti al giorno (ma neanche 1, e facciamone pure una questione di principio! perchè tale deve essere).
    il mio modello, molto modesto, è quel Romeo Dallairé: io vorrei 100.000 caschi blu a Homs, oggi. ma non ci saranno.
    dunque, dati i presupposti che ho citato, dobbiamo agire a mente fredda: proprio perchè nel “grande gioco” ci sono in ballo cose che non vediamo, né controlliamo, io invito solo alla cautela rispetto ai richiami dell’intervento umanitario.
    la stessa cautela che avevo per la Serbia nel ’99, per l’Afghanistan. non per l’Egitto, la LIbia e la Tunisia: semplicemente per evidenti differenze di contesto.
    e questa cautela non vuol dire né inazione, né accettazione del conteso: vuol dire ponderazione. vuol dire cercare i mezzi migliori…. se potessi davvero inviare quei 100.000 caschi blu non avrei alcun tentennamento, ma se l’alternativa è giocare coi sauditi (come stiamo facendo…), allora sì: sono fortemente dubbioso.
    perchè a legger bene il contesto, si intravedono anche le conseguenze, come in Afghanistan, in Iraq…..

    spero di aver chiarito un pò meglio l’idea….

    • certamente, red.

      l’intervento umanitario è una sigla di comodo che copre di tutto e di più: in Serbia ci fu un intervento della NATO tutt’altro che umanitario, non approvato dalla Nazioni Unite, una guerra in piena regola, una guerra classica (a cui l’Italia partecipò sotto la guida di D’Alema); in Afghanistan non ci fu alcun interveto umanitario, se guardiamo alla situazione ci rendiamo conto che questa è una bestemmia, ma un intervento militare approvato dall’ONU per liberarsi di un governo che appoggiava Al Khaida; Egitto e Tunisia non hanno avuto bisogno di alcun intervento, i popoli si sono liberati da soli; Libia, l’intervento umanitario è stato un alibi, palesemente, ma ha portato comunque alla caduta di una dittatura odiosa.

      in Siria non ci potrà essere, dato il veto di Russia e Cina; d’altra parte lo spettacolo al quale assistiamo è palesemente osceno: non credo che rimanga altra strada che un sostegno indiretto, ma forte, ai combattenti, ed armare gli insorti, senza peraltro intervenire.

      è questo che dicevo assurdo: il fatto che si debba prolungare la violenza per porre fine alla violenza…

        • beh, direi che non esiste un modello iraniano-saudita-talebano.

          escluderei la possibilità di realizzare in Siria un modello saudita: manca la monarchia, tanto per cominciare.

          un modello iraniano? intanto la Siria non è sciita, e poi quando ci andai nel 2003 trovai una società molto eterogenea e multiculturale, con un quartiere di Damasco dove giravano donne bionde scollate fra le tre cattedrali cristiane e il bazar invece con le donne col burka, un villaggio vicino alla capitale dove si parla ancora l’aramaico e vi era una chiesa ortodossa…

          come tutte le dittature, c’era un paese sotterraneo vivacissimo e aperto, a dispetto del regime; e se ti dicessi che a Tehran una sera in un ristorante mi è capitato di vedere un iraniano che mangiava con i suoi amici truccato da donna?

          l’immagine che di questi paesi ha creato la propaganda occidentale è spesso forzata, per motivi di potere politico.

          anche un regime talebano mi pare difficile, perché l’Afghanistan è un paese isolato, per quanto strategico, e la Siria al contrario è aperto.

          sai quel mi pare la più temibile delle prospettive? che il paese percorra il modello iracheno, dove come risultato dell’intervento occidentale, la tolleranza e il pluralismo religioso ed etnico sono scomparsi ed è esplosa una intolleranza grave contro i cristiani, che al tempo di Hussein erano invece una componente importante ed accettata della società irachena.

  5. ero purtroppo cosciente, scrivendo quel commento lampo, di scrivere qualcosa di totalmente ambiguo. è ovvio che i caratteri comuni dei tre regimi che io intravedo chiaramente, perchè li ho in testa e li cerco nei fatti, non sono accessbili alla lettura di terzi. mi scuso.
    diciamo, per sintetizzare la mia paura, che temo che quelle ragazze scollate scompaiano rapidamente.
    e non lo dico per un inculcata paura dell’islamismo, tanto sponsorizzata dai nostri media, quanto per ragionate analisi (specie quelle del serissimo Le Monde Diplomatique che citavo).

    il modello iracheno, nel senso di conflitti politici-etnici-religiosi interni ed intolleranza seguiti al disgregarsi politico è una buona sintesi dei timori che condivido.
    con l’unica differenza che, per ora, ancora intervento occidentale in Siria non v’è stato. stanno facendo tutto fra loro! (con l’aiuto di qualche amichetto saudita/iracheno/iraniano)

    • non preoccuparti troppo, siamo tutti quasi sempre un poco approssimativi nel blog, scritto di fretta e frammentariamente: giustamente veniamo sempre richiamati da qualcuno alla necessità di un procedere rigoroso, sistematico,a deguatamente informato, cioè all’utilità di scrivere saggi e libri, anzichè commenti e post; eppure in questo tipo di scrittura una utilità specifica ci deve pur essere, che dev’essere poi la bellezza del dialogo socratico rispetto al trattato di filosofia (ma non insisto su concetti già espressi ieri in un post).

      allora, la mia convinzione è che una delle utilità straordinarie del viaggiare è di consentirci di farci una opinione personale su temi nei quali viviamo condizionati dalla propaganda.

      la mia avversione per Gheddafi è nata da un soggiorno di 10 giorni in Libia nel 2010 (per lavoro) e dalla visione diretta dello stato di degrado e abbrutimento intellettuale in cui veniva tenuta una società benestante, in confronto a quelle simili a lei e circostanti: Tripoli, metropoli di tre milioni di abitanti senza un cinema; immigrati tenuti in condizioni di asservimento, un regime ammuffitto e incapace di trasmettere alcun valore che non fosse l’acquiescenza o il servilismo, una società bloccata.

      nell’Iran ho fatto la stessa esperienza forse un paio d’anni prima: vivendo a Tehran ho constatato la doppia morale che domina lì la vita pubblica e privata, ho avuto sentore di feste scatenate e trasgressive che si conducono nelle abitazioni private, tutte circondate da muri altissimi proprio per consentire ad una borghesia moderna e spregiuicata di sopravvivere in un regime clericale; ma ho anche discusso della straordinaria emancipazione femminile in quel paese, del velo che è diventato un simbolo di emancipazione per donne che prima non potevano uscire di casa, della necessità di imporre le quote azzurre nelle università, frequentate per due terzi da ragazze, e ho imparato a non dimenticare che prima degli ayatollah c’era lo scià, regime ben peggiore con la sua polizia segrete, le torture, la soprressione degli oppositori.

      eppure lo scià non è rimasto nell’immaginario pubblico occidentale come il simbolo di unpotere corrotto e sanguinario; nella mia generazione semmai è rimasto il ricordo di Soraya, la moglie sterile di quell’assassino incoronato, la principessa triste.

      dal punto di vista di un iraniano, che non ha avuto altro che questi due regimi, quello attuale è certamente molto migliore del precedente, nella qualità della vita quotidiana; e non si spiegherebbe altrimenti il consenso di cui gode, soprattutto nelle campagne: è un punto di equilibrio, che dovremmo cercare di non demonizzare.

      qualcuno parla in occidente della ferocia della dittatura etiope? no, sono stato ad Addis Ababa, sempre per lavoro, nel 2005, tre giorni dopo una strage di 36 studenti universitari che protestavano contro i brogli evidenti di elezioni farsa: non mi pare che nel nostro immaginario ci sia posto per questo regime efferato, ma amico dell’Occidente, qualunque cosa questo voglia dire!

      e, tornando al mondo arabo? non c’è alcun dubbio che il regime peggiore per oscurantismo, clericalismo e mancanza di libertà civili sia quello saudita, di cui a volte si parla, tanto per sottolineare l’idea che gli islamici sono dei barbari, ma contro il quale non veniamo chiamati a mobilitarci giorno sì giorno no, anzi ce lo teniamo buono, anche se, a voler cercare chi davvero nel mondo arabo appoggiava i talebani, bisognava cercare piuttosto qui che presso Saddam Hussein, a cui è stata inflitta la deposizione e la morte, forse in un tentativo di colpire la nuora perché la suocera intendesse..

      tu suggerisci che la rivolta siriana sia alimentata dall’esterno; certamente è così; ma il problema non è questo, il problma è se questo appoggio esterno si innesta su una spinta di protesta locale auitentica oppure no.

      ricordo ancora come esperienza sconvolgente il mio arrivo in Siria in autobus nel 2003, quando tutti venimmo fatti scendere alla frontiera e i militari cominciarono a riversare sul marciapiedi i nostri bagagli che venivano aperti e buttati per aria, con qualche bastonata agli abitanti locali per sottolineare il concetto; poi i siriani si sono rivelati un popolo splendido, creativo, spontaneo, amichevole; ma come dubitare dell’odio autentico contro gli Assad padre e figlio che hanno insanguinato più volte quella regione?

      • capisco cosa intendi e la rassegna delle diverse situazioni che fai chiarisce bene la situazione generale.
        su queste non ho alcuna difficoltà a riconoscere la correttezza della tua analisi.

        né ho dubbi sull’autenticità della protesta dei siriani.
        quello che mi lascia dubbioso e preoccupato è la strumentalizzazione (perchè di questa si tratta) che della protesta viene fatta da altri attori internazionali.
        certo, è sempre successo (da ultimo in Libia, ma prima di allora in Ucrania, Georgia….) solo, nel nostro caso attuale essa mi preoccupa di più, proprio l’intervento di quei sauditi di cui conosci bene le implicazioni e l’intolleranza.

        • certo, però se lasceremo che i sauditi siano gli unici ad aiutare questa rivolta, poi non potremo lamentarci se il suo esito finale sarà un predominio loro, con un qualche regime acquiescente, che in un contesto di quel tipo, multireligioso e multiculturale, sostanzialmente laico, sarebbe devastante.

          non a caso la Turchia sta esercitando un ruolo molto forte nel supporto alla rivoluzione siriana: dobbiamo allearci a lei? credo di sì.

          ma per farlo occorre rivedere i rapporti con la Turchia e con tutto l’islamismo moderato che in questo momento è la forza egemone nell’area.

          occorre accettarlo, in un dialogo fra pari, e scommettere, pensando positivo, sull’evoluzione interna all’islamismo.

    • temo che ti deluderò con una risposta un poco sbrigativa, o forse brutale.

      come avrai visto, nel mio blog sono abbastanza attento ai diritti umani, eppure non sono un attivista di nessuna organizzazione del campo: come mai?

      perché questa gente fa un lavoro molto utile, ma in fondo, quando leggo atrtcioli come questi, anche maniacale e ispirato ad una visione integralisticamente cristiana, che vorrebbe che si facesse la guerra civile porgendo l’altra guancia.

      gli abusi dei rivoluzionari in Libia non sono stati affatto minori di quelli denunciati qui, anzi per alcuni versi allal caduta di Gheddafi è subentrato un periodo di vioenze e atrocirà da farlo quasi rimpiangere:però questo significa forse che i libici si dovevano tenere la dittatura?

      e vogliamo nasconderci che neppure i metodi della resistenza italiana furono dei più ortodossi e che il 25 aroile fu seguito da esecuzioni sommarie e anche da vendette personali a volte atroci? mia madre fu spettatrice e narratrice di un episodio orrendo avvenuto ad Oderzo subito dopo la Liberazione, quando un capo partigiano fece fucilare sulle rive del Sile 180 reclute delle Guardie Nere, tutti ragazzini attorno ai 18 anni, che. in sostanza non avevano avuto il coraggio o l’opportunità di fuggire in montagna come avevano fatto loro.

      come ci mettiamo davanti a un episodio simile? lo condanniamo, è chiaro, ma tanto la nostra condanna non serve a niente: anche la guerra civile è una guerra, e quindi atroce, orribile, capace di esprimere il peggio dell’essere umano.

      ma di fronte alla dittatura o si è buddisti birmani, non ci interessa più di tanto, si continua ad incollar ei foglietti d’oro sui budda e ci si sforza di restare distaccati dal mondo, oppure si cerca di abbatterla con la violenza, e quando usa la violanza l’essere umano è quello che è.

      non credo proprio che tu sia soddisfatto della risposta, I am sorry.

  6. Forse ti deluderò io dicendo di non esser deluso dalla tua risposta.
    Oppure non deludiamo nessuno, tanto meglio.

    Trovo la tua risposta semplicemente realistica e per quanto non veda nel report nessuna lettura “integralisticamente cristiana”, ma semmai integralisticamente non-violenta, mi sento persino di condividerla.
    Difatti, il mio link era in qualche modo una provocazione, un pò un modo per sapere come ti ponevi sulla questione.

    I diritti umani sono un tema estremamente complesso, ulteriormente complicato dal rapporto col cambiamento di regime politico (a proposito ti consiglio veramente il libro di Agamben!): la violenza che pone un (nuovo) diritto è paragonabile a quella che lo mantiene? Se sì, possono essere sottoposte agli stessi limiti?
    Il discorso vale esattamente uguale per la resistenza italiana, francese, olandese… per la guerra d’Algeria, per la Rivoluzione americana, francese, russa….
    Il problema dei diritti umani contemporanei è sono costruiti a prescindere da ogni criterio meta-umano. Insomma, non tengono conto proprio di elementi di contesto come le rivoluzioni.
    Questo mi pare un pò frutto del positivismo giuridico che tende a ridurre le questioni in termini procedurali, quindi anche una rivoluzione deve seguire la “procedura” rispettosa dei diritti umani.

    Nel caso concreto, l’unica annotazione che farei è per constatare contro chi si esercita questa violenza lesiva dei diritti umani: contro agenti del regime o terzi. Nel primo caso, per quanto sia brutto a dirsi, mi pare in qualche modo giustificata, nel secondo no. Ovviamente questa soluzione sempre “procedurale” soddisfa poco, ma almeno è più realistica.

    • niente di male se non ci deludiamo a vicenda, direi… 😉

      vedo nell’integralismo della non violenza una indiretta ascendenza religiosa, che ho definito cattolica, ma poi alla conclusione del commento, indirettamente, anche buddista: la vedo nella forzatura che tende a considerare l’uomo non per come è, ma per quello che dovrebbe essere.

      poni poi una serie fitta di domande: per rispondere dovrei essere un giurista, come te, oppure un filosofo del diritto, e lo sono ancor meno.

      non sapendo che valore possa avere la mia opinione per te (ma forse elencavi quelle domande più per te stesso e i tuoi studi futuri, che per me) te la dico egualmente in pillole.

      “La violenza che pone un (nuovo) diritto è paragonabile a quella che lo mantiene?” – direi di sì, a parte la conseguenza postuma legata alla riscrittura della storia e anche del diritto da parte dei vincitori…

      “”Se sì, possono essere sottoposte agli stessi limiti?”

      prendendo atto che avevi già indovinato la mia prima risposta, direi che la storia dimostra che la violenza di chi cerca di instaurare un nuovo diritto è all’inizio sottoposta a vincoli più duri; poi, come già accennato, se l’operazione riesce, vi è una sorta di compensazione; altrimenti permane una forma di persecuzione sociale contro coloro che pretendono di cambiare le regole.

      “Il problema dei diritti umani contemporanei è che non tengono conto proprio di elementi di contesto come le rivoluzioni”.

      direi che non tengono sufficientemente conto di contesti di violenza sociale generalizzata, come la guerra oppure le rivoluzioni, i quali cambiano il modo di agire degli stessi esseri umani, le regole di condotta, le stesse reazioni psicologiche, e dunque il diritto stesso dovrebbe fondarsi su una distinzione antropologica di questo tipo e distinguersi in diritto di pace (per uomini tranquilli ;)) e in diritto di guerra (per uomini turbati dalla violenza di massa e poco padroni di sè); ma non lo facciamo per non legittimare neppure lontanamente la belva che abbiamo dentro di noi e che si esprime in queste situazioni.

      pretendere che una rivoluzione debba seguire una “procedura” rispettosa dei diritti umani (spero che mi leggano in pochi, qui) è come pretendere che lo debba fare un rapporto sessuale.

      nel discorso ricade anche la distinzione fra violenza contro il nemico e violenza contro l’innocente: il soldato americano che ha ucciso 17 civili innocenti ne è un caso rappresentativo, ma quell’uomo era semplicemente impazzito, o quasi, era nello stato di quasi impazzimento in cui solamente si può resistere psicologicamente ad una guerra.

      noi non possiamo ammetterlo, perché allora dovremmo dire che veramente colpevoli del suo delitto sono coloro che lo hanno mandato in guerra, cioè che lo siamo noi tutti che restiamo a casa.

      che ne dici? 🙂

      • La forzatura in questione io la vedo soprattutto nel considerare tutte le vicende da una bolla di cristallo, senza calarsi nel contesto.

        Le domande io le pongo, se dopo arrivano risposte tanto meglio…
        Innanzitutto io non sono così sicuro che le due forme di violenza (che pone e che conserva il diritto) siano totalmente equiparabili: quella costituente è per definizione una forma di violenza che trascende tutti i limiti vigenti…. dopo noi per ragioni prettamente politiche tendiamo a limitarla quando ci è contraria e favorirla quando ci va bene.
        Quindi, dato che facciamo dipendere la “bontà” di questa violenza dalle nostre aspirazioni, posso accettare che a titolo di garanzia sottostia agli stessi limiti di quella che conserva il diritto.

        Tu credi che chi cerca di cambiare sia sottoposto a vincoli più severi? La risposta un pò mi sorprende, perchè secondo me è il contrario: ignorando volutamente i vincoli esistenti (prendi gli anarchici o i fascisti di inizio ‘900, o i rivoluzionari indipendentisti delle colonie) hanno maggiore libertà. Questo ha senso se la si interpreta come “violenza pura”, ovvero non vincolata da criteri esistenti. “Il fine giustica i mezzi” al massimo grado. Tuttavia se la pensiamo come parzialmente sottoposta a limiti esistenti riconosco che hai ragione, specie per l’apparato di repressione che sarà operante.

        Trovo straordinarie le conclusioni cui giungi sulla teoria necessità di due diritti, uno “di pace” ed uno “di guerra” perchè è la perfetta sintesi di secoli di storia giuridica! Fino a Grozio, infatti, vigeva il modello biblico della “guerra giusta” che legittimava quasi ogni comportamento dei belligeranti; dopo di lui si distinse un modello procedurale di “ius ad bello” ovvero cause legittime di conflitto e “ius in bello” ovvero regole da seguire durante il conflitto (sommo esempio le Convenzioni di Ginevra). Il problema di queste Convenzioni è che sono di fatto inapplicabili ai conflitti civili come quelli in corso, dove rispunta prepotentemente il criterio giusnaturalistico della giusta causa!

        Questo in qualche modo è anche il punto della violenza contro il nemico e contro l’innocente: come si determina il nemico? In uno stato di diritto, deve seguire ad un riconoscimento giuridico ma è evidente che in guerra questo non possa avere luogo (e qui dovremmo parlare allora del terrorismo e dei processi post- conflitto, ma sarebbe una voragine). Ecco spiegata la ragione di tutte le uniformi militari (che, per quanto mimetiche, gli Stati sono tenuti a scambiarsi reciprocamente!).
        Così, il caso del militare americano spiega -nel nostro discorso- tutto il problema delle guerre moderne, dall’Afghanistan alla Siria, ovvero il loro essere “assimmetriche” il fatto che una forza non abbia un chiaro nemico da affrontare (pensiamo a Mi Lay).
        Ovviamente in questo caso entrano anche tutte le considerazioni psicologiche dello shock post-traumatico cui sono esposti da sempre i soldati e delle conseguenti violenze.
        Responsabilità di chi l’ha mandato laggiù? Senza dubbio.
        Tutti noi che restiamo a casa? Posso accettarlo, a condizione di interpretare le tue parole come una responsabilità di sistema, un pò come l’ex Bundespraesident Koehler, ma una tale responsabilità così diluita (sic) colpisce poco i nostri animi…

        • la bolla di cristallo, già: chiamiamola ideologia religiosa: ottima quando frena gli impulsi aggressivi umani, ma astratta quando poi pretende di governare il mondo facendo riferimento alla sua teoria sull’uomo anzichè sull’uomo concreto: presupposto di ogni visione post-religiosa del mondo e dell’iuomo a me pare l’atteggimaneto nietschiano (correttamente interpretato), cioè la scelta di evitare discorsi sul dover essere e parlare dell’uomo com’è.

          in questo senso io descrivevo la realtà del funzionamento dell’apparato di repressione, non mi ponevo il problema dei limiti cui sottoporre le azioni rivoluzionarie da un punto di vista teorico, dato che si cadrebbe nel soggettivismo più assoluto dei punti di vista; è talmente vero che a fronte di un rischio eversivo che l’apparato si mobilita, che non solo esso molto facilmente trascende rispetto ai limti stessi della sua legalità (Bolzaneto docet, per esempio), ma nel momento in cui i rischi di sovversione si fanno concreti si inventa persino delle leggi e dei tribunali speciali.

          grazie di avere gettato in uno spessore storico la mia battuta sul doppio diritto che sarebbe necessario,mi hai aperto la mente.

          il problema della guerra moderna è che essa tende gradualmente a cambiare natura: la guerra del passato era guerra interetnica, e il nemico era facilmente definito dallos chema dell’appartenenza; perfino le frasi orribili della Bibbia ebraica sulla gioia di sfracellare le teste dei bambini nemici contro la roccia acquistano senso alla luce di una morale arcaica, che vale solo all’interno della cerchia della propria comunità: perfino l’ama IL PROSSIMO tuo come te stesso, se lo leggessimo bene, restringe l’obbligo dell’amore e del perdono all’interno della propria comunità, cioè della comunità dei credenti; e molto di questo resta nella morale islamica, che non è universalistica, ma distingue il mondo fra credenti e non credenti, rispetto ai quali si hanno molti meno obblighi.

          la guerra contemporanea tende invece a diventare sempre e comunque universale guerra civile, perché il modo è in via di unificazione ed è sempre più difficile distinguere al suo interno l’estraneo (a parte i leghisti, naturalmente, che ci riescono bessimo… ;))..

          e la guerra civile per sua natura rappresenta un mostro non governabile neppure giuridicamente e qualcosa che sfugge alla possibilità stessa di categorizare la violenza: é una guerra senza uniformi, per riprendere il tuo spunto, e quasi senza nemico vero e proprio, è una guerra contro se stessi

          sulla responsabilità nelle stragi militari di chi sta a casa, d’accordo con te: non ci toccano, quasi non ce ne accorgiamo, ma qualcuno dovrà pure ricordarle, almeno tra i blogger, no?

          ciao.

          • Il discorso essere/ dover-essere è molto interessante in campo giuridico: ogni norma impone difatti un “dover essere”, un canone di comportamento che in realtà è spesso disatteso. Questo è particolarmente vero per il diritto penale che vive solo della propria trasegressione. In generale, parlerei di un “estrarre il dover essere dall’essere”: equilibrare le situazioni concrete secondo definizioni generali che tendano ad alcuni obiettivi (pace sociale, equità…).
            Addirittura alcuni regimi hanno cercato di imporre codici penali educativi (Etiopia del dergue)!

            Quindi, se ben interpreto la tua sintesi sul diritto rivoluzionario e contro-rivoluzionario, direi che corrisponde in termini agiuridici a quanto dicevo citando il dibattito fra Benjamin e Schmitt analizzato da Agamben.

            L’evoluzione della guerra che tu tracci si sovrappone ovviamente al processo di costruzione dello Stato moderno (Francia docet) col suo tentativo di superare le appartenenze etniche, anche tramite istituzioni come l’esercito.

            Ho un pò di ritrosie ad accettare l’estensione del concetto di “guerra civile”, perchè personalmente mi spavanta e perchè tecnicamente mi sembra un pò improprio.
            Non nego affatto che tu sia nel giusto dicendo che le “globalizzazioni” abbiano radicalmente ridotto molte differenze nazionali e/o culturali, dico semplicemente che la guerra civile a mio avviso impone già l’esistenza di una comunità politica unificata. Cosa che tuttora manca.
            Quindi le guerre restano ancora internazionali ed i conflitti come quelli citati dell’Afghanistan e terrorismo possono si aprire a questo processo di universalizzazione e guerra civile mondiale, ma li vedo ancora in itinere.

            Per rispondere a quanto scrivi sull’ingovernabilità delle guerre civili vorrei leggere prima Schmitt in merito, ma prima di farlo avrei già dimenticato la discussione, quindi abbozzo una risposta ora:
            guerre civili ne abbiamo avute moltissime nell’ultimo secolo (Spagna, Argentina, Italia…) e mi pare che la loro ingovernabilità dipenda dal fatto che le parti radicalmente non si riconoscano come soggetti di diritto (vedi i desaparecidos) né riconoscano una forma di diritto che possa mediare fra loro. Uno stato di natura radicale, come prima dello sviluppo di ogni ius gentium o diritto internazionale.
            In questo, credo, il diritto penale internazionale sta svolgendo un’opera importante. Mi rendo conto di essere un pò utopico nel dirlo, ma credo veramente che possa essere uno strumento per porre un etica basilare anche in simili contesti. O almeno per reprimerli, che già non è poco.

            Ovviamente facciamo bene a ricordare le responsabilità “lontane” di queste stragi, altrimenti rinunceremo ad una parte fondamentale del nostro esser uomini. Parte che già questa lontananza ci toglie in larga parte.

            • di nuovo stupito dello spessore che fai assumere a certe mie frasi, mi concentro sui punti residui da chiarire, dato che su moltissimo concordiamo.

              penso che la tua ritrosia ad accettare l’idea che stiamo andando verso un concetto di guerra come manifestazione SEMPRE di una sorta di guerra civile planetaria sia giusta: neppure io penso ad un processo del tutto definito, infatti, e avevo parlato solo di una tendenza in corso.

              però non dubiterei che la tendenza sia questa, se non altro per banali considerazioni psicologiche: il nemico nei secoli passati, pensa ai mongoli, agli Unni, agli incas, ai turchi, era un’entità totalmente sconosciuta per abitudini, lingua, mentalità: scaturiva spesso quasi dal nulla, imprevisto e terribile; oggi invece non c’è quasi popolo di cui non abbiamo visto i tratti somatici, i luoghi in cui vive, non conosciamo sia pur vagamente le credenze e la situazione esistenziale, politica e sociale.

              aggiungi che noi stessi viaggiamo, ed ogni città o paese che vive diventa per il viaggiatore una piccola parte di lui e della sua esperienza esistenziale: ora se sento di una strage a Mumbai, in quell’hotel davanti all’Arco dell’India che ho visto, io lo sento come un colpo a qualcosa che è un po’ anche la mia patria, perché lo è stata per qualche giorno.

              e sempre più gli altri ci appaiono come membri della famiglia umana comune, sempre meno come i mostri sconosciuti e feroci dai quali difendersi a tutti i costi.

              ma la guerra civile poi è di gran lunga più disumana ancora, quando scoppia, della guerra tra nemici, per i motivi che hai detto tu, e capisco bene come possa fare ancora più paura.

              tu dici che il diritto internazionale può contribuire a umanizzare la guerra civile; non ne dubito, anche se sarà un processo lungo, di quello svuotamento progressivo della guerra che pure è in corso, nonostante le apparenze (nel solo 1512 a Brescia, nel Sacco dei francesi, fu ucciso un quarto degli abitanti della città; per essere altrettanto sanguinosa la seconda guerra mondiale avrebbe dovuto fare nel nostro paese non 400.000 ma 12 milioni di morti; quindi ecco che anche la guerra più terribile dei tempi recenti, resta in propozione meno grave dei grandi macelli della storia passata, da cui era fortuna scampare a volte per tutti).

              però il diritto internazionale, a guardar bene, può farlo nella misura in cui considera appunto la guerra guerra civile e la riconduce alla categoria del reato, come in precedenza non era neppure pensabile, quando la guerra non era tendenzialmente sentita come tale, ed era legittima in se stessa e nella sua ferocia.

  7. Ordunque, hai ragione nel sottolineare la differenza evidente fra la guerra antica e quella contemporanea anche se non esagererei gli effetti “uniformanti” o di conoscenza reciproca della globalizzazione.
    Ma sai bene quanto me quanto siano limitati a pochi benestanti e son certo che non li esageri nella tua riflessione.

    Senza dubbio la guerra civile è la forma più disumana, perchè deve creare divisioni dove in realtà non sussisterebbero: a quelle palesi deve sostituirne di subdole e mentali, deve creare “nemici” dentro di noi, nascosti fra noi ed ancora più pericolosi contro i quali legittimare una violenza ancora maggiore. Argentina docet.

    Sicuramente l’influenza del diritto è ancora embrionale (anche qui: estesa solo a pochi privilegiati) e sarà un processo molto lungo.
    E senza dubbio un certo progresso nel limitare -almeno potenzialmente- gli effetti della guerra con strumenti tecnici e giuridici c’è stato. Purtroppo spesso questi vengono disattesi proprio per la categoria della guerra civile, ove il diritto è meno applicabile essendo nato come diritto internazionale.
    Certamente tutto questo richiede la “criminalizzazione” dei comportamenti disumani della guerra, ma questo ci riporta alla diatriba se una criminalizzazione dall’alto possa essere efficace o se debba sorgere necessariamente dalla società.
    Tentiamo la prima, ma temo sia la seconda…. quindi possiamo solo sperare che il diritto alimenti sentimenti sociali già embrionali e li rafforzi sino a farli diventare dominanti.

    • d’accordo con te sul non esagerare una tendenza che riguarda molto più le elites colte (del resto anche ciniche abbastanza per fregarsene) che le masse; però non è del tutto irrilevante questa novità.

      condivido il resto, ma non il tuo ottimismo un po’ troppo razionalistico sulla graduale messa sotto controllo della violenza, a partire dal basso: credo che la storia spinga in tutt’altra direzione, invece, dato che incremento demografico, effetto serra, inaridimento del pianeta, esaurimento tendenziale delle fonti di energia tradizionali ci costringeranno tutti in futuro a ridiventare barbari, piuttosto.

      • Probabilmente hai ragione, anche se i dati che tu stesso citavi poc’anzi mostrano un modesto miglioramento.
        Il mio problema “tecnico” è però che l’alternativa, ovvero un controllo dall’alto, si è dimostrato quasi sempre inefficace.
        Il solo modello storico che ha funzionato, al prezzo di immense violenze fisiche e culturali, è stato quello dello Stato… che a livello internazionale è ancora ben lungi dall’essere realizzato!

        • sì, la violenza sta (stava?) ancora diminuendo per un effetto di trascinamento, ma chissà se la crisi non la sta già aumentando: certamente lo sta facendo nella violenza contro le donne o nelle azioni autolesionistiche.

          lo stato ha sempre più creato violenza con le guerre che messo sotto controllo la violenza.

          su questo sono molto pessimista: l’unico modo di ridurre la violenza è di garantire il benessere, lo stato è un mero riflesso degli stati d’animo delle masse.

          un controllo internazionale della violenza attraverso l’Onu in questi anni è gradualmente emerso e sembrato possibile come prospettiva, ma se i popoli ridiventano nemici fra loro per il bisogno, lo stato li seguirrà, non potrà frenarli.

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