se la Cina è (al crollo) vicina. – 336

6 luglio 2012 venerdì 22:22

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nel gran vociare sulla crisi, volto soprattutto a farci fare confusione, a nasconderci l’evidenza e a convincerci che i soloni che ci hanno rovinato sapranno come tirarci fuori, occorre guardarsi con pazienza in giro, indagare, non la sciarsi prendere dalla propaganda e cercare di scoprire gli indizi che ci permettono davvero di capire la situazione.

mi sembra di avere trovato qualcosa di simile in un articolo del Die Welt intitolato: La Cina sull’orlo del crollo

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dopo tre decenni di crescita di circa il 10% all’anno che ha moltiplicato la potenza economica cinese di 16 volte in trent’anni, l’economia cinese comincia da alcuni mesi a dare segni di rallentamento: effetto a sua volta della crisi europea ed americana; la crescita 2012 potrebbe essere del solo 8%, a meno che questo dato ufficiale non mascheri una diminuzione della crescita ancora maggiore, chi dice addirittura al 4% soltanto (previsione del Nomura Global Economics).

l’8% sarebbe un tasso di crescita che renderebbe felice ogni paese europeo o gli USA, che devono fare i conti con diminuzioni addirittura, e non isolate, della loro capacità economica, ma per la Cina ha tutto un altro significato…  significa andare diritti verso la fine di tre decenni di crescita ininterrotta, anche se provvedimenti tampone come il recente calo degli interessi bancari possono tentare di rinviare per un po’ la resa dei conti.

storia parallela a quella del Giappone? anche di questo paese si prevedeva trent’anni fa che avrebbe superato gli Stati Uniti, ed invece è caduto da allora in una stagnazione dalla quale non si è più “ripreso”, osserva Die Welt.

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il pericolo maggiore per la Cina proviene dalla “bolla immobiliare” che anche in un paese che si dichiara comunista ha innestato la rincorsa perversa fra indebitamento per acquistare immobili da parte del 20% della popolazione più ricca, mutui necessari dalle banche, guadagni delle banche sui prestiti, e tutto nel presupposto che i prezzi delle case possano continuare a crescere all’infinito, perché nel momento inevitabile dell’inversione del trend, chi rimane col cerino in mano si brucia.

è appena avvenuto lo stesso a Dubai, ma in Cina gli effetti sarebbero mille volte peggio.

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dal punto di vista sociale in Cina l’epoca delle riforme di Jiang Zemin und Zhu Rongji (1993-2002) ha lasciato dietro di sé questo scenario:

Le grandi aziende statali sono strettamente intrecciate finanziariamente e familisticamente col Partito Comunista al potere.

Potere e ricchezza in Cina sono diventate una cosa sola: una cleptocrazia di dirigenti saccheggia le immense correnti di denaro dell’economia assieme ai parenti collocati strategicamente nelle imprese statali, nelle società di consulenza e nelle istituzioni finanziarie.

Essi approfittano di una posizioni monopolistica, di garanzie statali, di credito a buon mercato, di riduzioni fiscali e di un accesso sovvenzionato alle materie prime.

Grazie a questi vantaggi le grande imprese hanno espulso dal mercato le piccole e medie imprese molto più innovative.

se questa situazione non verrà aggredita dal nuovo governo di Xi Jinping la Cina non eviterà la stagnazione; si aggiunga che la maggior parte dei prodotti ad alta tecnologia costruiti in Cina provengono da imprese straniere che si sono stanziate lì, ma che non hanno l’obbligo di restarvi per sempre.

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lo stesso parziale successo della politica del controllo demografico realizzato negli anni passati aggrava il quadro economico: la carenza che si profila di manodopera giovane produce un innalzamento dei salari con percentuali a due cifre.

il punto di forza della situazione cinese è la solidità finanziaria: la Banca Centrale ha in deposito 3 mila miliardi e 200 milioni di dollari, quasi un quarto del debito pubblico americano; però a sua volta la cina è indebitata per più del doppio di questa cifra e l’indebitamento delle banche cinesi potrebbe essere molto più alto di quanto ufficialmente conosciuto.

e tuttavia un crollo delle monete occidentali getterebbe rapidamente in crisi la Cina stessa vanificando i suoi depositi.

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insomma l’epoca dello sviluppo illimitato sembra chiudersi per la Cina stessa, ed oggi la Lagarde, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, ha lanciato appunto un grido di allarme perché i paesi emergenti che finora avevano rappresentato un antidoto alla crisi stanno cominciando a risentirne, e potrebbe trasformarsi in un fattore di rapido aggravamento.

naturalmente a noi non resta che chiederci che razza di vita economica abbiamo costruito noi esseri umani per cui un semplice rallentamento dello sviluppo al di sotto del 10% in Cina significa crisi certa e catastrofe economica mondiale.

chiunque è in grado di capire che l’espansione economica su un pianeta limitato non può essere infinito e che, se il nostro sistema economico e sociale si regge su questo presupposto, la catastrofe è certa.

la crisi non dovremmo vederla come una tragedia che attacca un modo di vita innaturale e sovrabbondante, ma come una opportunità di rimettere la nostra vita economica e sociale su un binario di compatibilità col pianeta, in una parola con la realtà.

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continuo però a restare stupito dalla massa di persone che producono riflessioni simili a queste nella vita ordinaria attorno a me, e dalla assoluta mancanza di rappresentazione pubblica di queste posizioni sui media, che diventa una vera e propria censura.

sì, mi sto convincendo che c’è una censura consumista che cerca di impedire la presa di coscienza che questa crisi è una grande opportunità, che dovrebbe indurci a schiudere la strada della salvezza dell’umanità che nasce dalla messa sotto controllo dei consumi eccessivi, per provare a salvare almeno dei consumi medi, che attorno c’è una grande attenzione per questo problema ed anche una bella disponibilità diffusa a vivere in modo più misurato.

ma allora perché riteniamo rivoluzionari coloro che gridano più forte e in modo più scomposto a favore di quel consumismo che è soltanto l’altra faccia del neoliberismo che dicono di voler combattere?

i veri rivoluzionari di oggi sono coloro che credono al superamento del consumismo, in una vita più controllata e modesta, in una maggiore giustizia sociale, e che non chiedono il rilancio dello sviluppo, i cui proclami dovremmo ascoltare come campane a morte, ma la redistribuzione della ricchezza che c’è.

Una risposta a “se la Cina è (al crollo) vicina. – 336

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