20 settembre 2012 giovedì 16:54
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Il 2 marzo – e invece è il 3 – inizia col noleggio di due calessi per visitare la parte di Bagan più lontana dalla Guest House, con due cocchieri (…); ora lasciate che i cocchieri ci facciano anche da guida, alternando con sapienza altre esperienze alle pagode, pur sempre interessanti.
Quella del mercato, ad esempio, che qui è popolare e abbastanza autentico, anche se l’arrivo di turisti occidentali scatena subito attese e diverse proposte: una ragazza in particolare mi offre il famoso cosmetico giallo locale da spalmare sulla faccia, io credo che me lo voglia vendere e ovviamente rifiuto; invece è un regalo e la piccola saponetta sta nella mia borsa: intanto lei me ne spalma un poco sulla faccia, bagnandolo con l’acqua, il che contribuirà durante la giornata a farmi avere un successo di sorrisi straordinario.
ecco un’altra prova di quanto la scrittura sia drammaticamente inferiore all’immagine e incommensurabilmente superiore al tempo stesso: mettete a confronto quanto scritto dal lago Innle, due giorni dopo, col montaggio video che ora ho realizzato utilizzando le foto e le riprese fatte al momento.
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non è solo il problema della capacità, che l’immagine ha sincronicamente, di dettagliare analiticamente il contesto, mentre la parola può tentarci solo diacronicamente, restando però sempre molto più sfumata ed imprecisa.
questa vaghezza della parola che riesce a suscitare l’immagine senza riprodurla potrebbe anzi essere in qualche modo una sua forza creatrice di immagini mentali, cioè immaginifica, come ben sa chiunque di noi appartiene alla generazione in via di estinzione di coloro che hanno imparato a leggere prima che a vedere la televisione.
noi, questi noi particolari che siamo come dei fossili viventi dell’età che ha preceduto l’ingresso dominatore delle immagini teleguidate nelle nostre case, rimaniamo sempre in qualche modo feriti dalla trasposizione video di un’opera letteraria, che allo stesso tempo attribuisce ai personaggi un volto ben più preciso di quello assegnato dallo scrittore, ma impoverisce la risonanza della versione scritta, capace di evocare e suggerire, quindi di attivare dei processi fantastici, ben più di quella visiva.
insomma il Renzo Tramaglino della tv è molto di più e molto di meno del Renzo Tramaglino di Alessandro Manzoni, per noi: quello era più nostro, perché eravamo noi a impostare la vaghezza dei suoi connotati, che ora ci vengono quasi imposti.
noi pretelevisisi sentiamo in questo una specie di violenza contro il nostro immaginario, non so dire come percepisca invece questa presenza chi alla lettura sia arrivato solo DOPO avere imparato a guardare la televisione.
ho sentito parlare per la prima volta di immaginale da Maria, che mi commenta in questi giorni senza avere un blog suo: non so se intendo bene questa sua espressione suggestiva, ma provo a dire che potrebbe esserci molto più immaginale, quanto a forza evocativa, nella scrittura che nei prodotti di una videocamera, anche una volta che vengano messi in sequenza come in questi montaggi.
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a questo punto mi abbandono senza ritegno al gusto di teorizzare, sicuro di non disturbare altro che me stesso, e proseguo: la messa in sequenza di foto su una traccia musicale è operazione che altera completamente l’impostazione comunicativa delle foto stessa.
dal punto di vista linguistico una foto è infatti quasi sempre una interiezione: niente di diverso da una esclamazione più o meno ammirata; solo raramente la foto potrebbe assumere il valore neutro emotivamente di una accurata relazione scientifica; ma la foto oscilla fra questi due aspetti limite: il massimo dell’emozione, l’immagine come espressione lirica dello sguardo, oppure il massimo della oggettività della vista esploratrice di una realtà esterna.
resta abbastanza sconosciuta alla fotografia (o alla pittura) l’arte della narrazione, cioè del movimento narrativo, nonostante la tensione interna per arrivarci; della quale conosco solo pochi esempi: I papaveri di Monet; oppure la pittura futurista, con le sue città in movimento; aggiungerei anche Picasso, per quanto di futurista è rimasto in lui, dato che a volte risulta più facilmente interpretabile ammettendo che la figura che dipinge si stia muovendo sotto i nostri occhi.
il montaggio video come forma d’arte, invece, introduce a fondo la narrazione nel contesto dell’iconico: costringe il lirismo dell’immagine singola a farsi alfabeto narrativo che non espunge l’emozione, ma non la assolutizza, al contrario la relativizza in un gioco ad incastro con altre emozioni; e dunque tenta la strada che avvicina la pittura al cinema senza tuttavia cancellare la prima sostanza dell’immagine pittorica o fotografica che è l’assenza di movimento interno.
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bene, lasciando da parte queste riflessioni non se se più avventate oppure più superficiali, non mi resta che dire, attraverso un esempio tratto da questo caso concreto, in che cosa la scrittura rimane superiore al visivo: ed è la sua capacità di descrivere gli avvenimenti nel loro riflesso soggettivo.
il visivo può descrivere con sadica precisione l’avvenimento a cui l’autore assiste (ne avremo un angosciante esempio fra un giorno nel montaggio visivo che descriverà un serpente in azione), ma non è assolutamente in grado di descrivere autobiograficamente, cioè di raccontare con i suoi strumenti un fatto che succede all’autore.
ad esempio, poco dopo l’inizio, in questo montaggio: la videocamera rimane accesa per sbaglio mentre il cavallo del calesse su cui sto salendo fa uno scarto, ed io rischio di cadere dal veicolo, mi si sente anche inveire, ma lo spettatore non può capire quello che succede se adesso non glielo spiego io dall’esterno, come narratore di me stesso.
un secondo esempio si ha mettendo a confronto la breve descrizione del resoconto scritto riportato all’inizio del post sul regalo che mi viene fatto del tipico cosmetico locale giallo da spalmare sulla faccia, con l’immagine conclusiva del video in cui – fotografato, credo, da Bernard – compaio io con lo stesso cosmetico spalmato sulla faccia.
e credo che il lettore che non mi conosce, pur se post televisivo, subisca lo stesso shock di una immagine mentale che si fa immagine visiva e dunque si impoverisce e si deforma.
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l’autobiografico, che rimane escluso, tranne che con contorti artifici, dalla comunicazione visiva, riesce a rientrarvi con un trucco puerile, diventando l’oggettività vista dagli occhi fotografici di un altro: ma sempre in modo monco, sincopato, ridotto appunto a icona, e incapace di restituire la pienezza di una narrazione perfino attraverso il ritmo degli accostamenti, che altrove funziona in qualche modo.
insomma, se l’immaginale intende riferirsi alla capacità comunicativa dell’immagine, rimane uno scarto insuperato tra l’immagine mentale che è dinamica e cinematografica, per l’assunzione, come parte dell’immagine stessa, del movimento della mente che osserva, e il fotografico, che è lo stigma della luce sulle cose vive, che altro non riesce che nell’operazione evangelica di separare la luce dalle tenebre, il bene da male.
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ancora una volta dunque la parola è Dio? cioè, pienamente, il Soggetto?
la luce e le tenebre attorno alla parola di Dio si addensano soltanto umanamente commiste di bene e male?
ancora una volta eccoci a giocare, anche con questi modesti e semipuerili montaggi, con le categorie mentali della nostra cultura profonda, cioè della nostra religiosità.
che assegna alla parola il ruolo centrale di messaggera del divino e, pur se non esclude l’immagine dal recinto del sacro, come altre culture (parlo di quella islamica, ovviamente), la relega a regione inferiore dove il bene e il male si mescolano inestricabilmente fra loro.
narrazione visiva per immagini è quindi narrazione impura, quanto più esclude del tutto o quasi la parola, come avviene in questi tentativi di far sì che delle immagini statiche diventino racconto vissuto in prima persona.
Si potrebbe risolvere il problema se tu raccontassi durante il video ciò che registri, facendoci sapere cosa vedi, dove stai e cosa succede. Perchè non hai fatto uso della tua parola? sarebbe stata molto apprezzata 🙂
buon suggerimento, ma sarebbe il passaggio dall’immagine al cinema, dalla fantasia alla concretezza, contro la quale ho scritto qui sopra.
aggiungi il motivo pratico che in un paio di montaggi video (come quello del monastero taoista in Cina) ho anche provato a farlo, ed è per me molto faticoso combinare audio e immagini; e inoltre divento imbranatissimo davanti al microfono.
comunque magari prossimamente ci riprovo, ma non col prossimo video birmano che è già pronto…
ma mica tutto il cinema è fatto di concretezza! Inoltre tu registri luoghi che esistono davvero, non dei luoghi immaginari, e come ti ho detto chi guarda poi vorrebbe sapere effettivamente dove stai. E’ solo per questo, mica devi metterti a girare dei capolavori! Son sempre riprese da dilettante, chi li guarda lo sa.
Non è nemmeno detto che le descrizioni dei luoghi debba per forza farla tu, puoi anche chiedere a qualcuno di parlare al posto tuo 😛
aspetta, amleta, ma per sapere in che luoghi reali mi trovo (se non bastano i concisi sottotitoli azzurri da film muto) ci stanno gli interi post scritti quasi mentre prendevo e foto…, e sono sempre richiamati in questi post di presentazione dei video.
così che anche se io facessi un commento parlato non farei altro che leggerli, cosa che lo spettatore potrebbe anche farsi da sé, prima o dopo il video.
aggiungi che il mio pubblico è solo parzialmente italiano: USA, Germania e Arabia Saudita superano per spettatori l’Italia, quindi parlando italiano potrei irritare qualche spettatore, e l’inglese non lo so.
far leggere i miei commenti a qualcun altro mi darebbe molto fastidio, e forse mi farebbe anche pena pensare che qualcuno possa lavorare in questo modo…
volevo solo condividere con te questa,…..
hai ragione, l’ideale sarebbe qualcuno che li legge in inglese,….a me piacciono così, te lo dico, io dicevo solo per completarli 🙂
la musica del video che mi hai mandato mi è piaciuta molto, e per questo l’ho aggiunto ai miei preferiti.
il video no, mi è parso artificioso per eccesso di pretenziosità e ricerca di effetti.
per il resto, c’è ancora un problema: chi traduce i testi da leggere in inglese?
se lo vuoi fare tu, io ti mando, in italiano, quello per il prossimo video, che sarà la visita ad un villaggetto birmano di capanne, tu lo traduci, lo leggi, lo registri, me lo rimandi via mail, e io lo inserisco nel montaggio; ti dico prima quanto deve durare pressapoco… 🙂
Il video nemmeno a me piace, era la musica che volevo condividere con te. Per quanto riguarda le traduzioni io non sono la persona più adatta, infatti per le mie traduzioni mi faccio aiutare da mia sorella, che è laureata in lingue. Io conosco l’inglese parlato, scorretto, e inoltre non ho una buona pronuncia, a causa del fatto che non lo pratico. Poi in questo periodo non so cosa fare prima nella mia vita. Mi sto trasferendo a Londra e sto preparando le mie cose nel caso rimanessi là, dunque non ho proprio tempo, mi spiace. Se fossi stata libera mi sarei proposta subito, se non l’ho fatto un motivo c’è. Scusa.
è un peccato, ho pensato a te anche perché so che stai per trasferirti a Londra, quindi pensavo te la cavassi bene con l’inglese…
L’ha ripubblicato su cor-pus-zero.