il fracking che cambia il mondo: geopolitica del 2020 (secondo i tedeschi). – 28

18 gennaio 2013 venerdì 08:11

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Der Spiegel pubblica i risultati di uno studio sulle macrotendenze della politica mondiale fatto dai servizi segreti tedeschi, che tanto segreti non appaiono più neppure in Germania, anche se la fuga di notizie proviene poi dall’agenzia Reuters, britannica, ma che almeno non si fatto beccare con le mani in pasta mentre rapiscono cittadini per conto della CIA oppure tramano contro gli oppositori politici di Berlusconi.

qui i servizi segreti hanno cercato di delineare invece i nuovi rapporti di potere che potrebbero esserci fra 7 anni, a partire dall’elemento centrale che li caratterizza, e cioè il controllo delle fonti di energia, e le sorprese non sono poche.

la principale è evidenziata fin dal titolo: “Il petrolio americano cambia il mondo”.

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gli Stati Uniti si preparano infatti a sfruttare nuovi ingenti giacimenti di petrolio e di gas.

gas-production-map

in realtà non si tratta propriamente di nuove scoperte, questi giacimenti di rocce bitumose ricche di idrocarburi, più che di petrolio vero e proprio, erano già noti, ma non risultavano utilizzabili con le vecchie tecnologie; lo diventano attraverso una nuova tecnica, quella del fracking, cioè della fratturazione idraulica

La fratturazione viene eseguita dopo una trivellazione in rocce contenenti idrocarburi, per aumentarne la permeabilità; le fratture vengono create e allargate iniettando fluido sotto pressione in strati di roccia all’interno dei giacimenti di petrolio e gas e poi mantenute aperte introducendo sabbia, ghiaia, granuli di ceramica come riempitivo permeabile; in questo modo le rocce non possono richiudersi quando la pressione dell’acqua viene meno.fracking

wikipedia, da cui riassumo queste notizie, ricorda che la tecnica fu applicata per la prima volta negli Stati Uniti nel 1947; non ha avuto finora un grande sviluppo, perché non ce ne era bisogno: il recente raggiungimento del picco della produzione petrolifera e la prospettiva di una disponibilità di petrolio decrescente la rendono nuovamente attuale.

ma il fracking “è sotto monitoraggio a livello internazionale a causa di preoccupazioni per i rischi di contaminazione chimica delle acque sotterranee e dell’aria. In alcuni paesi l’uso di questa tecnica è stata sospesa o addirittura vietata”.

ci sono anche rischi sismici: il fracking può generare terremoti, di solito di portata molto modesta, ma in qualche caso anche superiori al 5º grado della scala Richter, come a Rocky Mountain Arsenal, vicino a Denver in Colorado, nel 1967, dove si registrarono una serie di scosse tra 5 e 5,5 gradi della scala Richter.

come noto qualcuno ha messo in relazione anche il terremoto dell’Emilia dello scroso anno con tecniche di fracking applicate nella zona: qui l’intensità della scossa più forte fu di 6,1 nella scala Richter; tuttavia nei pozzi petroliferi esistenti in zona questa tecnica del fracking non è mai stata applicata, quindi non può essere accusata in particolare di quella serie di scosse sismiche.

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l’applicazione massiccia del fracking negli Stati Uniti, in particolare in Texas e in North Dakota, potrebbe trasformare rapidamente il paese da importatore ad esportatore di petrolio: i giacimenti sono così estesi che nel 2020 la produzione petrolifera degli Stati Uniti potrebbe superare quella dell’Arabia Saudita e della Russia, secondo l’IEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia.

le conseguenze sulla geopolitica mondiale sarebbero rivoluzionarie:

negli ultimi decenni il centro della politica di potenza americana è stata il Medio Oriente: ci sono state tre guerre, due in Iraq e una in Libia, a distanza di circa 10 anni l’una dall’altra, il cui scopo evidente, aldilà della propaganda sui diritti umani, è sempre stato il controllo delle ingenti risorse petrolifere dell’area.

il Medio Oriente perderebbe rapidamente ogni interesse per gli Stati Uniti, divenuti autosufficienti dal punto di vista petrolifero e del gas, mentre potrebbe continuare a rivestirne per la Cina e in parte per l’Europa.

nel giro di pochi anni sarebbe la Cina a trovarsi dipendente dal petrolio mediorientale, di cui assorbirebbe circa la metà della produzione, dato il ritmo crescente di sviluppo della sua economia.

però la Cina è ancora priva della forza militare sufficiente per il controllo dell’area, finora ha potuto usufruire indirettamente del controllo esercitato dagli Stati Uniti: si verrebbe dunque a creare, aggiungo io, la situazione anomala della seconda o addirittura entro il 2o20 della prima potenza economica del mondo, che si troverebbe a dipendere per la propria sopravvivenza dalla potenza militare  straniera degli Stati Uniti.

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un  declino parallelo riguarderebbe l’attuale potere economico della Russia come produttore petrolifero, anche in considerazione del fatto che il nuovo equilibrio produttivo farebbe calare i prezzi dei prodotti petroliferi nel mondo.

questo potrebbe migliorare anche la situazione economica europea e in particolare quella tedesca, dato l’alleggerimento generale della domanda di idrocarburi e la possibilità per la Germania di concentrarsi sullo sfruttamento dei giacimenti  africani, in particolare di quelli della Nigeria.

le nuove tecniche di produzione del petrolio appaiono in grado di rilanciare l’economia americana, con la creazione di nuovi tre milioni di posti di lavoro e di riflesso anche di migliorare quella mondiale, compresa quella europea.

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fino a qui l’articolo dello Spiegel.

che è terribilmente sconfortante per diversi motivi.

il primo e più grave è che una ripresa massiccia della produzione petrolifera con nuove tecniche rende praticamente certo il collasso climatico del pianeta a breve: ho già scritto di recente su questo tema, 13. fuoco alla terra, la terra a fuoco., quindi evito di ripetermi.

qualunque sciocchezza scrivano sul tema molti, parte prezzolati, parte confusionari per vocazione spontanea, la correlazione fra incremento del tasso di concentrazione dell’anidride carbonica nell’aria e delle temperature è scientificamente provata; dal che si deduce che non fa bene alla compatibilità del clima del pianeta con la vita umana un incremento così violento del tasso dei gas serra nell’atmosfera, e una ripresa in grande dell’inquinamento da idrocarburi sarebbe deleterio e certamente definitivamente autodistruttivo, dato che si discute tra gli addetti ai lavori se già non lo sia il tasso raggiunto attualmente, che necessita di secoli per essere riassorbito.

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questo è uno scenario che il rapporto dei servizi segreti tedeschi non prende minimamente in considerazione.

lasciate dire a me, in modo forse un poco grossolano, quel che il rapporto tace: il petrolio e gli idrocarburi, passatemi la semplificazione, sono di destra, sono la base stessa del potere politico della destra mondiale; le nuove tecnologie energetiche sono la sinistra.

il rilancio del petrolio è il rilancio della destra mondiale, cioè della corsa verso l’autodistruzione.

nel mondo l’Europa, e in particolare la Germania, rappresentano la voce della ricerca di energie rinnovabili, di cui si prospetta tacitamente un declino.

questo è estremamente preoccupante.

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in tutta evidenza queste sono le scelte veramente importanti che l’umanità ha di fronte e in tutta evidenza nessuno chiederà mai direttamente, nel mondo della democrazia apparente nel quale viviamo, agli esseri umani di scegliere davvero il loro futuro.

sono del resto cinicamente convinto che a nulla servirebbe chiederglielo, perché la maggioranza si farebbe facilmente manovrare per optare per l’autodistruzione non immediata in cambio di un migliore benessere a portata di mano.

e la potenza dell’incremento demografico, del resto, è tale, che non si potrebbe chiedere di scegliere il declino e l’inedia a masse di popolazione così imponenti, come è oggi la sovrappopolazione del pianeta.

leggevo poco fa che il fabbisogno energetico di un individuo della specie “homo technologicus” è pari a quello di una balena delle specie più grandi: e il pianeta non può ospitare 7 miliardi di balene.

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siamo entro la morsa di una tenaglia dalla quale è impossibile uscire senza risolvere la radice ultima del male, ma la soluzione non è a portata di mano: senza stabilizzare la popolazione mondiale oppure i suoi consumi su valori nettamente più bassi dell’attuale saremo sempre costretti a dividerci tra un sollievo momentaneo se una crisi economica rallenta la corsa all’autodistruzione ambientale e il sollievo momentaneo se una ripresa della produzione solleva parti importanti di popolazione umana da disoccupazione e bassi livelli di vita.

per non parlare della parte principale dell’umanità, i poveri del terzo mondo per i quali comunque nell’uno e nell’altro caso cambia comunque poco, perché la strisciante crisi alimentare, con le sue ondate di inflazione e carestia, già in atto, li stanno comunque sospingendo in una condizione di fame crescente.

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in questo scenario la frase sul “fracking che cambia il mondo”  acquista davvero il suo pieno e sarcastico valore: certo che lo cambia: lo distrugge!

senza che nessuno di noi, del resto, abbia avuto neppure la possibilità di dire, come direbbe: ebbene sì, questa distruzione io la voglio.

29 risposte a “il fracking che cambia il mondo: geopolitica del 2020 (secondo i tedeschi). – 28

  1. mi ripeto ma ci tengo….!!

    la piu’ esaustiva classificazione del GENERE UMANO non l’ho appresa dall’ antropologia,scienza filosofia ecc.ma da un film..:MATRIX…!

    “voi arrivati su un territorio siete gli unici incapaci di stabilire un equilibrio con esso.
    Lo sfruttate finche’ non diventa arido e poi vi spostate su un altro per fare la stessa cosa.
    In natura c’e’ solo un altra specie che si comporta come voi…..i virus”.

    e quando saranno esaurite anche le rocce bituminose…?? e’ quando l’umanita’ avra raggiunto i 10 miliardi…”andate e moltiplicatevi”…(come cavallette aggiungo io).cosa facciamo ci scanneremo per l’acqua..???

    il grande Bartali diceva..:”l’e’ tutto sbagliato,l’e’ tutto da rifare”……parole sante….!!!

  2. non conoscevo i dettagli del fracking, se non per sentito dire, e mi paiono veramente inquietanti anche solo per gli aspetti geologici ed idrici.
    ma quanto aggiungi sul clima è agghiaccinate. e la considerazione prettamente politica meriterebbe di essere approfondita (Mattei?)
    infine, la Cina: altro tema che merita una riflessione profonda, visto che la geopolitica ha implicazioni enormi e lo scenario che disegni è inaudito

    • il riferimento a Mattei…

      pensavo ad Obama, scrivendo questo post; uno della mia generazione ha sempre presente Kennedy e il modo brutale in cui fu liquidato un presidente molto più popolare di Obama, quando intralciò i disegni del complesso militare.industriale americano.

      non credo però che Obama avrà la forza di opporsi: gli unici che stanno facendo scelte davvero alternative sono gli europei, o nella versione tedesca delle bio-rinnovabili, o in quella francese del nucleare.

      in questo scenario la Cina non ha una posizione propria, sopraffatta da altre esigenze; e tuttavia segni nuovi di coscienza ecologica compaiono anche qui, fortunatamente.

      • già, però dal punto di vista geopolitico è molto interessante pensare a come la Cina potrebbe trovarsi tirata nell’arena contro la propria volontà…

        • qui si potrà vedere, credo, l’importanza del fattore culturale nella geopolitica: manca radicalmente e strutturalmente, secondo me, alla Cina unna visione del mondo in termini di controllo militare paragonabile a quello americano.

          un cinese non si pone il problema di garantire con l’espansione militare che il suo paese sia il centro del mondo, perché linguisticamente e dunque concettualmente lo è già: ha solo il problema di garantire il suo status, eventualmente con guerre periferiche, ma credo che ai cinesi mancherà sempre una visione strategica militare globale.

          il che non esclude un controllo economico globale, anzi lo esige.

          quindi non riesco ad immaginare una flotta cinese nel Golfo Persico: è una cosa che urta profondamente l modo di pensare di un cinese e non credo che sarebbe mai possibile farla accettare.

          questo non significa che la Cina non sia nazionalista, e molto, ma lo è in forme diverse da quelle della cultura occidentale: la Cina procede fuori dalla sua area geografica di riferimento con accordi diplomatici, anche spregiudicati e indifferenti a quella imposizione di propri valori, che è invece così importante per gli occidentali, non con forme di controllo militare.

          • mah, Sun Tzu ed altri hanno sicuramente un’elaborazione strategica di tutto rispetto.
            certo, non in termini globali. ma d’altro canto non è che gli americani se la siano trovata in casa dalla sera alla mattina: fino all’intervento in Europa nella Seconda Guerra Mondiale, al massimo pensavano al “giardino di casa” in America Latina, proprio come i cinesi oggi pensano all’Indocina.

            giustamente tu distingui tra due modi di condurre la diplomazia, uno fondato su strumenti militari più occidentale ed uno più prettamente economico-diplomatico usato dai cinesi.
            è vero, la forza della Cina è tutta nel fatto che non necessità neppure di mostrare i muscoli, al massimo li lascia intuire.
            ma se fosse forzata ad usarli? non è detto che riesca sempre a scampare il rischio…
            in fin dei conti anche la Cina spende una fortuna in armamenti di ultimissima generazione. (e questo sembra un pò il riproporsi della sfida “guerre stellari” fra Reagan e Gorbaciov: quanto a lungo gli USA potranno starle dietro?)

            intanto ti segnalo l’articolo di Jeremy Rifkin su Repubblica di oggi (per ora non ancora diponibile online) secondo cui il prossimo primo ministro cinese ha già lanciato una svolta verde…

            • la svolta verde della Cina, la svolta verde di Obama: qualche motivo di speranza, se non è troppo tardi.

              però se fossi in Obama, starei comunque attento agli attentati: il lapsus del suo vice, “Io sono il presidente” ha avuto un suono lugubre…, e Kennedy venne fatto fuori dal suo vice, appunto, perché si oppose alla volontà del complesso industriale-militare.

              può essere che i tempi futuri spingano la Cina verso un ruolo imperiale mondiale e a rimodularsi sulla sua storia che, anche per via delle dimensioni del paese, non l’hanno mai vista svolgere una politica espansionista: paese sempre invaso, piuttosto, da ultimo dagli occidentali e dai giapponesi…

              in questo caso sarà interessante per i posteri cogliere l’evoluzione.

              il militarismo cinese del resto non manca, come il nazionalismo; ho pubblicato una volta un video impressionante, non ti saprei più dire dire dove, forse al tempo dei miei post sul mio primo viaggio in Cina, e visitando la città proibita l’ingresso era in un padiglione dove venivano proiettate marce militari che facevano venire i brividi.

              • mah, intanto dovremmo capirci su cosa significa “ruolo imperiale”: in fin dei conti, un impero può non aver necessità di occupare dei territorio per esercitare un controllo sugli stessi.
                (potrebbero anche bastare governi compiacenti)

                poi, non sono d’accordo nel definire la Cina un paese “sempre invaso” e mai invasore: la Cina ha avuto lunghe mire espansionistiche a sud (in Vietnam, più recentemente il Tibet), eppoi gli Stati cinesi si sono sempre combattuti per estendere la propria egemonia nel continente…. se così non fosse stato, oggi forse avremmo svariati Stati frammentati (un pò come l’Europa) nel Guangzhou, nello Shinan, nel Fuyan….

                • d’accordo sulla riflessione che proponi sul ruolo imperiale, probabilmente è vissuto in modo diverso.

                  non dimentichiamo che la Cina vive di un impero creato attorno al 200 a. C. nel giro di vent’anni, poi entrato in crisi per secoli, frammentatosi e alla fine ricostituitosi com’era, sostanzialmente.

                  l’esperienza europea è completamente diversa perché l’impero romano nacque nello stesso periodo attraverso un processo di tre secoli, con diversi protagonisti, fu molto più fragile e si disgregò rapidamente, e soprattutto, per via dell’invasione araba e dell’islam non potè più ricostituirsi uguale.

                  quella che consideriamo propriamente Europa è circa un terzo della Cina, e non è separata così nettamente dalle altre culture circostanti.

                  questo determina la spinta storica dell’Europa all’espansione marittima e alle colonie, che la Cina non conosce,

                  ecco i due concetti di impero tanto diversi…

                  del resto quello cinese è il gruppo umano omogeneo più grande della Terra..

    • piove sempre sul bagnato, cavolo!

      non capisco la misura effettiva di questi giacimenti, ma potrebbero affrancare almeno in parte la Cina dalla dipendenza dall’area mediorientale; insomma da qualunque parte la giri lo vedo grigio il futuro dei produttori di petrolio di quella zona.

      lo sapevi che la Cina ha rilevato tutte le miniere australiane?

      la presenza della Cina è molto marcata in Australia, a quel che ho visto.

      e questo ci riporta per altra via al tema che stavo discutendo negli ultimi commenti.

      • tutte le miniere?? questo è impressionante, anche se la notizia non mi convince troppo… sono asset troppo strategici per esser ceduti così, in toto.

        in compenso, leggevo che le stime sui giacimenti nelle isole contese col Giappone sarebbero esagerate…

        • toppa clamorosa mia in quella frase frettolosa, che non correggo perché mi dai l’opportunità di farlo qui.

          avevo letto qualcosa di simile a questo tempo fa:
          http://www.ilpost.it/2010/09/05/la-cina-si-compra-laustralia/

          ma si trova facilmente una smentita in internet:http://www.australiaitalia.it/news.asp?Action=Liv_2&Id=478
          l’articolo non è datato ma dovrebbe risalire al 2009-10 circa.

          tuttavia in proporzioni diverse la penetrazione cinese nel mondo minerario autraliano è confermata: questo articolo del Sole 24 Ore è del settembre 2011:
          http://de.rd.yahoo.com/customize/links/ymsgr7/*http://de.my.yahoo.com/

          • grazie dei link.
            in qualche modo, equiparano l’Australia all’Africa… sembra che “la stiamo perdendo” dalla sfera geopolitica occidentale. (che non dovrebbe sorprenderci)

            • i cinesi li ho trovati massicciamente in Australia, in Africa, in Iran.

              lavorano efficienti e silenziosi, come sempre, e sanno come farci le scarpe.

              ma demonizzarli non serve; ho appena letto, ma non ricordo dove, di un incremento record di spese per gli armamenti in tutta l’area asiatica che si affaccia sul Pacifico.

              il rischio di una Cina che alla fine si metta in guerra con qualcuno per scaricare in qualche modo il suo surplus non è da sottovalutare se la crisi avanza.

              l’Europa sta tornando ad essere quel che è sempre stata fino a 500 anni fa, la parentesi storica si chiude: una piccola, provinciale e arretrata appendice dell’Asia, rissosa e autodistruttiva.

              • leggevo su L’Espresso un analista cinese che ragionava sulla possibilità di uno scontro Cina-Giappone per le isole contese… lo sconsigliava fortemente, data la minore capacità militare navale e dell’aviazione cinese rispetto al Giappone.
                Non me lo aspettavo e trovo che sia un datto tuttora molto interessante

                • ci sto pensando anche io a questi rischi e sono quasi contento che a marzo quasi certamente mia figlia rientrerà dalla Cina, stanca anche del razzismo antistranieri che vi si sta diffondendo.

                  non credo a rischi concreti di guerra immediata, ma vi è certamente una anomalia storica che non può reggere a lungo: come è possibile che la seconda (per ora) potenza del pianeta, uscita vincitrice dalla seconda guerra mondial sia stata privata di una parte importante del suo territorio, Formosa, non sia stata ammessa per decenni all’Onu, dove siedeva con diritto di veto un rappresentante dell’isola secessionista, che abbia dovuto gestire una indiretta aggressione in Corea, fino ad essere minacciata di bombardamento atomico da parte del generale Mc Arthur, che avesse fino a poco tempo fa, ancora colonie occidentali sul proprio territorio, e inoltre sia stata depredata in vari punti di aree marittime con annessi isolotti che storicamente considerava suoi? cioè sia stata considerata come potenza sconfitta, e il Giappone invece, perdente nella guerra, annoverato fra i vincitori?

                  è evidente che questa una seconda grave causa di tensione internazionale, dopo la Palestina, con l’aggravante che coinvolge direttamente gli interessi di una grande, anzi grandissima, potenza.

                  tutto consiglierebbe di risolvere questi problemi in fretta e per via pacifica, ma la restituzione di Formosa alla Cina prioverebbe il Giappone di un alleato essenziale per il controllo del Pacifico e spezzerebbe la catena insulare che fronteggia la grande potenza continentale; quindi in nome della politica di potenza delle varie parti ci si oppone, e la situazione asiatica del 2013 assomiglia molto alla situazione europea del 1913.

                  già fu combattuta in Asia, il nuovo centro degli interessi mondiali nella seconda metà del Novecento, la terza guerra mondiale mai riconosciuta (1963-1989) tra gli USA e l’URSS, conclusa con la disfatta dell’Unione Sovietica, considerata a torto guerra locale, perché non è mai stata ufficialmente dichiarata e perchè è stata combattuta soltanto in aree locali (Vietnam e poi Indocina, e poi Afghanistan), ma che di fatto ha coinvolto direttamente o indirettamente tutte le potenze mondiali: anche la quarta potrebbe svolgersi lì – se ti ricordi di questi problemi abbiamo già discusso nella primavera scorsa, quando scrissi un post in cui ironicamente ipotizzavo che fosse già cominciata.

                  non so se la si combatterà molto presto, ma so anche che riguarderà gli occidentali solo marginalmente, come un elemento minore tra le parti in causa, e anche se la potenza militare americana è tuttora di gran lunga la maggiore del mondo.

                  a meno che non siano gli occidentali invece a volersi proprio schierare, per indebolire la Cina, cioè se stessi…

  3. ri-allargo anche qui.
    in parte l’anomalia storica che citi può esser spiegata con il fatto che nel a) la Cina è cambiata dal ’45 all’ascesa di Mao e dei comunisti; b) immediatamente dopo la guerra, la Cina non era affatto una “potenza”; c) ovviamente con la lotta al comunismo.
    comunque credo che la situazione di Formosa sia destinata a risolversi pacificamente, magari non a breve: dubito che i cinesi vogliano combattere altri cinesi ed il nazionalismo nell’isola non potrà essere sempre così intransigente.

    non mi convince del tutto la ricostruzione dei conflitti asiati del ’63-’89 come un conflitto unitario.

    comunque, curiosamente, Mario Benedetti fa dire ad un personaggio proprio che la prossima guerra mondiale sarebbe stata sicuramente fra USA-Russia da una parte e qualche potenza asiatica dall’altra.
    quanto al coinvolgimento occidentale, credo dipenderà tantissimo dai prossimi anni.

    • la Cina nel 1945 era una delle 5 grandi potenze mondiali riconosciute dall’Onu (USA, Inghilterra, Francia, URSS), con diritto di veto, sono le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, che ancora esercitato un ruolo nell’insieme non più giustificato per alcune: l’Unione Europea dovrebbe prendere il posto di Francia e Inghilterra, manca l’India, servirebbero anche il Giappone, il Brasile e il Sudafrica, oltre che un paese arabo, preferibilmente l’Egitto, per dare voce a tutte le principali culture mondiali; inoltre il diritto di veto andrebbe esercitato da almeno due paesi congiuntamente.

      avremmo quindi un Consiglio di Sicurezza di 9 membri (Usa Russia India Cina Giappone Egitto Sudafrica Brasile, Unione Europea)

      difendo la mia tesi sull’unicità del disegno e degli obiettivi della guerra 1963-89, combattuta in Asia: nel 1963 il complesso militare americano decise di porre fine alla politica della coesistenza pacifica di Kennedy, che era stato eletto su queste basi, e di avviare in confronto militare in Vietnam: il falso incidente del Golfo del Tonchino nel 1964 scatenò l’inferno: l’obiettivo all’inizio era quello di contenere militarmente l’Unione Sovietica, ma alla fine divenne, dopo l’elezione di Reagan e di Woitila, quello di distruggerla. e il risultato di questo lungo confronto militare fu ottenuto i breve a partire dal 1989.

      • concordo, anche se personalmente con qualche modifica rispetto alla tua idea, sulla necessità di rivedere la struttura dell’ONU.
        ma questo non nega i miei punti: la Cina uscì dal conflitto anche più fragile dell’Europa (e meno aiutata), per quanto membro del Consiglio di Sicurezza -anche per il conflitto interno-. Solo di recente (dal ’70 in poi) si è affermata come superpotenza.

        Capisco il ragionamento sul conflitto, ma continuo a non condividerlo: per quanto vi potesse essere una strategia unitaria, è difficile mettere assieme tutti i tasselli del puzzle: in Vietnam gli USA non vinsero, né in Laos. e dal ’75 al conflitto in Afghanista è difficile tracciare un legame chiaro… anche geograficamente parlando

        • coraggio: butta lì la tua riforma dell’ONU, tanto è come se fossimo al bar, o al Circolo della Stampa, se proprio vogliamo tirarcela. 😉

          negli anni 50 la Cina era vista come una specie di appendice della potenza sovietica e uno degli aspetti della politica di Mao, anche nella rivoluzione culturale, fu di cercare di spezzare questo legame e di rendere la Cina del tutto autonoma dall’URSS; ci riuscì, “da sinistra”, ponendo le premesse per quel che successe dopo “da destra”.

          la prima fase del grande conflitto 1963-1989 fu che l’URSS mosse all’attacco del Vietnam del Sud, cioè di un paese della periferia dell’impero americano: gli USA tentarono di respingere questa aggressione, ma non ci riuscirono: 1975.

          ma intanto il conflitto aveva portato alla spaccatura Cina URSS: nel 1979 ci fu persino una breve guerra fra la Cina e il Vietnam, alleato allora dell’URSS; il Vietnam capì la lezione e si rese autonomo negli anni successivi.

          nel 1972 c’è la riconciliazione ufficiale fra USA e Cina, di valore strategico così alto che rese secondaria per entrambi la sconfitta americana in Vietnam, che fu una vittoria dell’URSS, non della Cina.

          nel 1978 l’URSS cercò di prendere il controllo dell’Afghanistan; ci fu il colpo di stato del 1978 e poi l’anno successiva l’occupazione sovietica, che diede origine ad una guerra di 10 anni, che portò alla disfatta sovietica; questa guerra venne combattuta dagli americani per interposti talebani; collegandola alla precedente quindi il confronto militare indiretto tra URSS ed USA riprese dopo una tregua di tre anni.

          quello dell’Unione Sovietica fu un errore di geopolitica fondamentale.

          questa guerra fu una specie di guerra dei Trent’anni asiatica e mondiale, frammentata e disomogenea, combattuta in scenari diversi, e inframmezzata da periodi di tregua, come quella.

          con tutto, capisco che la mia ipotesi possa apparire troppo ardita o fantasiosa…

          • allora, per quel che riguarda la mia idea di riforma ONU: sicuramente aumentare il numero di membri del Consiglio di Sicurezza, inclusi i membri permanenti. potenzialmente, sostituire la Francia con l’UE, includere una rappresentanza geografica e culturale completa (Africa, Paesi Arabi… ma non se il Sudafrica è il paese adatto). Anche l’idea di membri “semipermanenti” potrebbe essere buona: lasciando una rotazione biennale per i più, includerne alcuni con rotazione quinquennale.
            Ma, soprattutto, delegare maggiormente i lavori all’Assemblea Generale.

            Concordo con quanto dici sulla Cina, emblematica l’apertura (a Nixon!) nel ’73 (o ’72?). Però le tensioni cominciarono già prima degli anni ’70: sin dai tempi di Krushev, Mao aveva iniziato a distaccarsi dall’URSS.
            Direi che anche abbastanza corretta la ricostruzione sul Vietnam (però non includi la Corea….), ma non concluderei così semplicemente che dal ’79 il Vietnam cercò di rendersi autonomi dall’URSS. Questo avvenne solo dopo, nel ’89.
            Quanto all’Afghanistan, io direi che è iniziato come conflitto e colpo di Stato nazionale, con intervento esterno solo successivo. Concordo comunque, ovviamente, su come si combattè e come finì quella guerra.
            Il problema maggiore della tua ricostruzione, secondo me, è ricollegare tempi e luoghi così distanti

            • sulla riforma dell’Onu, dipendesse da noi due, non vedo lontano un compromesso possibile…. 😉

              le differenze stanno nel fatto che io eliminerei del tutto l’Inghilterra, non solo la Francia, a favore dell’unione Europea; il problema si riaprirebbe se l’Inghilterra si decidesse finalmente a lasciare l’Unione; allora il suo ruolo nel Commonwealth, anche per conto di Australia e Canada giustificherebbe forse un seggio (ma allora occorrerebbe darlo anche al Giappone, per dire): però mi starebbe bene per queste potenze subregionali il principio della rotazione,

              il seggio potrebbe poi andare anziché ad un paese leader, scelto pur sempre con criteri arbitrari, alla Lega araba, allì’Unione Africana o all’OSA, e anche in questi organismi potrebbe valere un principio di rotazione, ma secondo loro regole interne; non mi ostino sull’indicazione del Sudafrica, avrei dovuto pensare alla Nigeria, ma sembra meno adatta, instabile com’è: comunque la soluzione indicata risolverebbe il problema.

              se devo includere anche la Corea nella mia storia? lo stacco temporale 1953 – 1963 è eccessivo: lo vedo più come un preannuncio che come una fase organica di questo conflitto; del resto il legame tra le fasi storiche che stiano considerando e le diverse presidenze è evidente: Eisenhower 1952-60 era repubblicano ed era un generale, ma condusse una politica in fondo abbastanza poco aggressiva verso l’URSS e giunse nel 1956 a dissociarsi dall’attacco franco.inglese all’Egitto; non sfruttò l’Ungheria né altri torbidi nell’Europa orientale sottomessa all’URSS: rispettò, tutto sommato il Patto di Yalta: contò molto in questa direzione anche l’equilibrio atomico e il rischio di una guerra nucleare.

              la continuità politica dopo l’uccisione di Kennedy è invece evidente se si pensa anche all’inizio degli anni Sessanta vi fu una espressione popolare democratica contro la guerra fredda e che questa vene cancellata con l’uccisione del presidente Kennedy, che la impersonificava, ad opera della CIA, per imporre un confronto armato diretto che di dispiegò in pieno dopo il falso incidente del Tonchino nel 1964.

              un vero e proprio rilancio della politica della coesistenza pacifica non ci fu: d’altra parte i tre anni di tregua di cui parliamo coincidono non a caso con l’unica altra presidenza veramente democratica del periodo, quella Carter 1976-80 (non possiamo considerare democratica la presidenza Johnson, partita con un colpo di stato!).

              l’unità della guerra è data dal suo obiettivo: prima il contenimento e poi la distruzione dell’Unione Sovietica: alla fine realizzato, e non mi pare poco!

              so che questa analisi è piuttosto originale, ma continuo (per me stesso) a trovarla abbastanza convincente; però, siccome repetita non iuvant troppo, possiamo chiudere qui questa parte del discorso prendendo atto che non sono risultato persuasivo per te. 🙂

              • non mi pare realistico, con UK dentro o fuori l’UE, che rinunci ad un seggio. fosse anche a rotazione.
                l’idea delle organizzazioni regionali mi piace molto, legittimerebbe il ruolo ruolo globale e potrebbe essere un grimandello interessante sotto molte prospettive.

                ti ringrazio per le delucidazioni sulla tua lettura degli eventi in Asia, forse l’incapacità di vederlo come un unicum dipende da una mia limitata prospettiva

                • l’età spinge in un senso o nell’altro nell’analisi della storia della seconda metà del secolo scorso: il fatto di averla vissuta personalmente direi che fa la differenza, ma la giovinezza non può essere considerata un limite.

                  quanto all’UK, la soluzione perfetta è che esca dall’Unione Europea e si mantenga il suo seggio all’Onu, anche non a rotazione, perché sarebbe altrettanto irrealistico imporle questo.

                  non hai detto nulla però sul fatto che in un Consiglio di Sicurezza allargato il diritto di veto possa essere esercitato solo in coppia…

                  • concordo sull’UK, logicamente.

                    sul veto esercitato solo in coppia: io, nel mondo ideale, toglierei direttamente il diritto di veto. ha fatto più danni che altro.
                    spesso, comunque era esercitato in coppia (nel senso che al voto negativo di un membro permante si associava quello di un membro a rotazione: Israele, Sudafrica…).
                    diciamo che potrebbe essere una soluzione di compromesso.

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