il falso evangelista Luca delle false lettere di Paolo. – 34

20 gennaio 2013 domenìca 23:32

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l’idea di occuparsi in Italia, e in un blog per giunta, della storicità dei testi fondanti della tradizione cristiana è veramente peregrina; non è così in altri paesi di origine protestante dove l’abitudine luterana alla lettura diretta quotidiana dei testi sacri diffonde una letteratura critica piuttosto ricca e popolare; ma in Italia la lettura diretta della bibbia è stata a lungo proibita addirittura dalla morale cattolica e ricordo bene come sull’altra piattaforma blog alcuni post di questo genere venivano accolti dalla domanda sinceramente stupita di perché mi occupassi di queste cose.

a maggior ragione perché per la maggior parte degli italiani la scelta religiosa cattolica non è critica, è sono conformismo e ipocrisia.

in un blog come questo, volto invece a considerare le aberrazioni più diffuse della comune antropologia, l’osservazione dei paradossi della fede e della sua mancanza di fondamenti storici autentici è uno degli aspetti fondamentali della mia ricerca.

dimostrare che la maggior parte di noi affida i fondamenti delle sue scelte morali e dei suoi comportamenti a confuse e contraddittorie leggende è un passaggio essenziale di quella critica della follia che è il centro del programma di un blog che si è dato come sottotitolo provocatorio “perché vivere la vita quando basta sognarla?”.

e la fede religiosa è, nella maggior parte dei casi, una delle forme di questo sogno, perdipiù spesso sognato da altri per conto di chi crede di sognarlo.

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da tempo ritengo (invero con scarsa originalità in questo) che il vero nucleo portante del cristianesimo non siano tanti i vangeli, palesemente leggendari in molti aspetti della loro esposizione, ma le lettere di Paolo per la loro presunta immediata contiguità ai fatti: sono infatti comunemente collocate in un periodo che andrebbe dal 51 al 67 d.C., il che conferisce alla loro testimonianza una portata assolutamente straordinaria.

sulla datazione dei vangeli troppe incertezze e una facilità di farli scorrere piuttosto avanti nel tempo da parte di chi osserva che la profezia della distruzione del tempio di Gerusalemme, contenuta nella maggior parte di loro, ne colloca la redazione certamente a dopo il 70 d.C..

anche a volere ammettere infatti che Jeshu avesse davvero avuto la capacità di prevedere questo fatto, occorrerebbe capire che interesse poteva avere per gli ascoltatori una profezia simile negli anni precedenti al verificarsi del fatto: la profezia poteva essere posta per iscritto, a conferma del carattere sovrannaturale della missione di Jeshu, solamente dopo che il fatto si era verificato.

in sostanza una profezia del genere non aveva alcun peso e alcun significato prima della distruzione di Gerusalemme, ma ne acquistava tantissima dopo e solo allora ha senso pensare che fosse posta per iscritto.

ma le lettere paoline, a tenere per buono il periodo al quale sono datate, si sottraggono del tutto a questo rischio.

anche se identificare la data in cui si svolgono i fatti in essi narrati come quella in cui sono state scritte, senza avere le prove della loro autenticità, sarebbe come sostenere che I promessi Sposi sono stati scritti nel Seicento oppure l’Iliade al tempo della guerra di Troia.

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e a proposito del nome stesso di “vangelo” che deriva dal greco “euangelion” ritengo che la spiegazione corrente del termine sia falsa: si dice che “evangelo” significhi “buon annuncio”.

ne dubito; ma mi riservo di ritornare su questa discussione in un altro momento; intanto mi appunto questa discussione interessante di impostazione cattolica:

http://www.biblistica.it/1/dal_vangelo_ai_vangeli_4234049.html

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da tempo ritengo che le lettere di Paolo siano un falso del secondo secolo e ne ho trovato sinora vari indizi .

mi rendo conto di quanto sia difficile sostenere questa tesi, talmente compatte, credibili, documentate esse si presentano.

ma il mio recente soggiorno in Germania, mi ha finalmente portato ad una osservazione che, se non ha carattere di una prova definitiva, poco ci manca, ed è un indizio fortissimo.

ecco alcuni appunti scritti in quella circostanza.

* * *

Finalmente ecco la prova che le lettere di Paolo sono un falso.

Sta in un piccolo diabolico dettaglio della Seconda lettera ai Corinti, 8, 19, che sarebbe scritta da Filippi un periodo compreso tra il 55 e il 57-58 d.C.:

Con lui mandiamo anche il fratello, di cui tutte le chiese fanno l’elogio riguardo al vangelo; non solo, ma che pure è stato eletto dalle Chiese come compagno del nostro viaggio”.

Il personaggio che verrebbe mandato a Corinto da Efeso, dove sarebbe stato in quel momento Paolo, sarebbe stato evidentemente un suo compagno, che è l’autore di  un vangelo.

ci sono solo due candidati possibili se identifichiamo con questo personaggio qui non nominato uno di quelli a cui venne successivamente fatto risalire un “vangelo”: Giovanni detto Marco e Luca.

e se l’evangelista di cui si sta parlando è Luca, è assolutamente certo ed indiscutibile per tutti che nel 55-58 d.C. non poteva avere ancora scritto il suo Vangelo, neppure secondo la critica cattolica ortodossa.

* * *

esaminiamo però prima la prima ipotesi, generalmente esclusa, e cioè che il riferimento sia al “Giovanni soprannominato Marco”, “che figura nella tradizione come l’autore del primo vangelo inteso come narrazione continuata, e (…) nella cerchia dei seguaci di Paolo nei riferimenti nelle lettere”.

là dove parlo di tradizione che attesta il Vangelo secondo Marco come prima narrazione continuata mi riferisco alla testimonianza di Papia di Gerapoli, di cui ci è giunto un frammento che dice:

“Anche questo diceva il presbitero: Marco, interprete di Pietro, scrisse con esattezza, ma senza ordine, tutto ciò che egli ricordava delle parole e delle azioni di Cristo; poiché egli non aveva udito il Signore, né aveva vissuto con Lui, ma, più tardi, come dicevo, era stato compagno di Pietro. E Pietro impartiva i suoi insegnamenti secondo l’opportunità, senza l’intenzione di fare un’esposizione ordinata dei detti del Signore. Cosicché non ebbe nessuna colpa Marco, scrivendo alcune cose così come gli venivano a mente, preoccupato solo d’una cosa, di non tralasciare nulla di quanto aveva udito e di non dire alcuna menzogna a riguardo di ciò”.

Papia conosce anche un altro testo, del quale scrive: “Matteo scrisse i detti [del Signore] in lingua ebraica; e ciascuno poi li interpretava come poteva”, ma questo non è evidentemente il Vangelo secondo Matteo che possediamo noi oggi.

in contrapposizione a questi due testi scritti, che sono i soli che Papia cita, ecco il programma che lo induce a scrivere la sua opera, Cinque libri di spiegazione dei detti del Signore:

“Non esiterò ad aggiungere alle spiegazioni ciò che un giorno appresi bene dai presbiteri e che ricordo bene, per confermare la verità di queste. Poiché io non mi dilettavo, come fanno i più, di coloro che dicono molte cose, ma di coloro che insegnano cose vere; non di quelli che riferiscono precetti di altri, ma di quelli che insegnano i precetti dati dal Signore alla fede e sgorgati dalla stessa verità.

Che se in qualche luogo m’imbattevo in qualcuno che avesse convissuto con i presbiteri, io cercavo di conoscere i discorsi dei presbiteri: che cosa disse Andrea o che cosa Pietro o che cosa Filippo o che cosa Tommaso o Giacomo o che cosa Giovanni o Matteo o alcun altro dei discepoli del Signore; e ciò che dicono Aristione ed il presbitero Giovanni , discepoli del Signore. Poiché io ero persuaso che ciò che potevo ricavare dai libri non mi avrebbe giovato tanto, quanto quello che udivo dalla viva voce ancora superstite”.

* * *

i riferimenti a Giovanni/Marco nelle lettere attribuite a Paolo sono i seguenti:

1. Colossesi 4.10, lettera attribuita al 59-61, ma piuttosto dubbia e probabilmente aggiunta alla raccolta originaria:

“Vi saluta (…) Marco, il cugino di Barnaba, a favore del quale avete ricevuto raccomandazioni; se viene da voi, fategli buona accoglienza”.

2. Filemone 24, da collocare nello stesso contesto della lettera ai Filippesi: 

il nome di Marco è nello stesso elenco di collaboratori assieme a Luca.

2. Seconda a Timoteo 4.11, lettera attribuita al 67:

“Prendi Marco e portalo con te, perché mi è molto utile nel ministero”

Infine Marco è citato anche nella Prima lettera di Pietro, 5.13, anche essa attribuita nelle intenzioni agli stessi anni, circa il 63:

Vi saluta pure Marco, mio figlio”.

Marco è quindi di volta in volta assegnato nelle diverse correnti cristiane (l’insegnamento di Paolo era diverso da quello di Pietro), alla cerchia paolina o a quella presunta di Pietro: con quali conseguenze sulla credibilità del tutto è facile immaginare.

* * *

Gli Atti degli Apostoliperò danno una rappresentazione ben diversa dei rapporti fra questi personaggi:

12.25 anno 44 circa: “Barnaba e Saulo se ne ritornarono da Gerusalemme (ad Antiochia) dopo aver preso con loro Giovanni, soprannominato Marco”.

13.4 anno 44 circa: “Si recarono a Seleucia e di lì si imbarcarono. Giunti a Salamina (…) avevano anche Giovanni come aiuto”.

13.13 anno 44 circa: “Paolo e i suoi compagni s’imbarcarono poi a Pafo e giunsero a Perge in Panfilia; Giovanni invece si separò da loro e ritornò a Gerusalemme.

15.36-40 anno 49: “Paolo disse a Barnaba: Torniamo a visitare i fratelli nelle varie città dove abbiamo predicato. (…) Barnaba voleva prendere con sé anche Giovanni, detto Marco, ma Paolo giudicò più conveniente che non dovessero prendere con loro colui che li aveva abbandonati fin dalla Panfilia (…). Ne nacque un tale dissenso che si separarono l’uno dall’altro sicché Barnaba, preso con sé Marco, si imbarcò per Cipro; Paolo invece si scelse per compagno Sila e partì (…)”.

Da questo racconto le relazioni fra Paolo e Giovanni detto Marco non sembrano più riprese, mentre le lettere le danno invece per continuate.

E’ evidente che su questo punto l’autore delle Lettere paoline e quello degli Atti degli apostoli – che, come ho dimostrato altra volta, non è lo stesso del Vangelo secondo Luca – avevano opinioni differenti e che l’autore degli Atti scrive dopo la pubblicazione delle Lettere di Paolo per correggerle su questo e altri punti.

* * *

Luca, dunque.

Che in quegli anni certamente non aveva certo composto il suo vangelo, e non soltanto perché Papia nella prima metà del secondo secolo non lo conosce ancora

http://www.veja.it/2011/05/11/papia-di-gerapoli-frammenti/

ma anche perché lui stesso nell’introduzione scrive:

Poiché molti si sono accinti a comporre una narrazione degli avvenimenti compiutisi in mezzo a noi, come ci hanno trasmesso coloro che fin da principio ne sono stati testimoni oculari, e son divenuti ministri della parola, è parso bene anche a me, dopo aver fatto diligenti ricerche su tutte queste cose, fin dalle loro origini, narrarle per iscritto, con ordine”.

Questo programma ricorda molto da vicino proprio quello di Papia, che a sua volta scriveva nella prima metà del II secolo.

Non è difficile vedere tra i due, Papia e Luca, una specie di competizione sotterranea e di discussione a distanza, e il silenzio di Papia potrebbe essere il silenzio polemico contro un contemporaneo sgradito, di cui peraltro non è difficile riconoscere l’identità in Marcione.

Luca che scrive che “molti si sono accinti a comporre una narrazione”, ma Papia, morto verso il 135 ne conosce uno solo, Marco, e non conosce ancora la seconda narrazione continuata, che è quella del Vangelo secondo Matteo.

se dunque Luca si colloca dopo Matteo, si colloca anche, a volere anticipare al massimo possibile la data del suo testo, attorno al 140: col che eccoci esattamente in pieno contesto marcioniano.

* * *

naturalmente anche la critica cattolica si è bene accorta di questo problema e ne esce affermando che il Vangelo secondo Luca di cui parla la pseudolettera di Paolo era in quegli anni ai quali viene attribuita la lettera stessa ancora ad uno stadio di predicazione orale.

l’inconsistenza di questa tesi è peraltro evidente: la frase il fratello, di cui tutte le chiese fanno l’elogio riguardo al vangelo” non si adatta ad una predicazione che non avrebbe certamente potuto raggiungere “tutte le chiese” dato che gli stessi Atti degli Apostoli non riferiscono nulla di questa presunta intensa attività di predicazione di Luca itinerante – che si sarebbe peraltro posta in concorrenza con quella di Paolo – e Luca compare per la prima volta citato nella letteratura cristiana proprio in un testo attribuito al 55-58 quando il suo vangelo viene dato già per celebre.

occorrerebbe dunque pensare che Luca abbia predicato per lungo tempo il suo vangelo prima di tale data in diversi luoghi, per renderlo noto a “tutte le chiese”, e la cosa è resa ancora meno credibile dal fatto che si trattava, secondo questa tradizione, di un pagano convertito, che avrebbe dovuto diffondere la propria predicazione in un contesto di cristianesimo ancora largamente legato all’ebraismo.

* * *

non bastassero queste evidenze indirette, agli stessi risultati si arriva analizzando il testo in se stesso: Luca 

“definisce la sua opera come un testo che viene scritto sulla base delle testimonianze “trasmesse” (non dice “ascoltate”) dai testimoni oculari, quindi palesemente in un’epoca in cui questi erano scomparsi, e sulla base di numerose redazioni scritte: ma negli anni a cui viene attribuita questa lettera è dubbio che fosse stato composto anche un solo vangelo, non ne esistevano certo numerosi; tale frase non può essere stata scritta che nel secondo secolo.

D’altra parte è assolutamente indiscutibile che Luca ha utilizzato, estrapolandone moltissimi passaggi, una precedente raccolta di detti di Jeshu, la cosiddetta Fonte Q, probabilmente da identificare con la versione originale del Vangelo secondo Matteo; forse prima della distruzione di Gerusalemme possiamo pensare che siano state scritte le raccolte di detti di Giuda il Gemello, di Filippo (ricordato come evangelista anche negli Atti degli Apostoli, 21.8: “entrati in casa di Filippo l’evangelista, uno dei sette”, a Cesarea), e appunto questa, che ignorano l’avvenimento, così come fa il nucleo originario del Vangelo dei Discepoli, una raccolta dei racconti degli ultimi testimoni diretti della vita e delle azioni di Jeshu.

Quindi nessuna narrazione continuata ancora: la prima che appare, quella attribuita a Marco, è certamente posteriore al 70, visto che dà rilievo alla presunta profezia di Jeshu della distruzione di Gerusalemme, che certamente non avrebbe avuto alcun senso mettere in tanta evidenza prima del fatto.

* * *

Luca “compare nel corpus delle lettere paoline in alcuni altri passaggi, oltre che in quello (…) citato” all’inizio, “che figura come il più antico.

2. Colossesi 4.14 (attribuibile secondo le intenzioni agli anni fra il 59 e il 62): “Vi saluta il nostro caro medico Luca

(ma la lettera è dubbia”, come già visto, “cioè di probabile mano di un falsario diverso dall’autore principale, secondo molti critici e il Loisy la ritiene del secondo secolo; lo conferma, oltre al fatto che è molto simile a quella agli Efesini, anche, secondo me, la chiara definizione di Luca come medico, codificazione di una leggenda tarda, che non trova molte conferme nel vangelo a lui attribuito, dove anzi si può leggere una diretta polemica contro i medici, che potrebbe essere la vera origine della leggenda: “una donna che aveva speso tutto il suo avere nei medici, senza che nessuno avesse potuto guarirla” 8.43)

3. Seconda a Timoteo 4.11 (che vorrebbe apparire composta nel 62): “Soltanto Luca è con me”.

4. Filemone 24 (che si intende sia scritta nel 63): “Epafra, mio compagno di prigionia, ti invia i suoi saluti, come pure (…) Luca (…), miei collaboratori”.

Si deve poi notare una ulteriore incongruenza interna: il Filemone a cui Paolo scriverebbe ricordando Luca come suo collaboratore era proprio di Colossi: quindi, come membro della comunità cristiana guidata proprio da Epafra, che qui viene definito “compagno di prigionia”, doveva avere ben presente quale era il ruolo di Luca, accanto a Paolo, se non altro perché Paolo lo aveva appena spiegato (secondo questa sceneggiatura) alla comunità nel suo insieme e dunque male si spiega che Paolo dica a Filemone qualcosa che a Filemone era già noto.

 * * *

 A questo punto è chiaro che il corpus delle lettere paoline, o almeno la Seconda lettera ai Corinti,  sono stati composti DOPO che Luca aveva scritto il suo vangelo, e dunque nel secondo secolo a loro volta.

A meno che non si voglia ammettere che sia falsa in particolare questa lettera, ma…” risulta molto più facile pensare che siano false tutte.

Ma se l’autore di quel vangelo era Luca, perché non nominarlo apertamente?

Ci sono altre ipotesi ancora? Giovanni? oppure Filippo stesso?

* * *

Resta ancora un’altra cosa da sottolineare: la “diretta dipendenza del noi plurale degli Atti degli apostoli, che subentra a tratti nella narrazione, da questa Seconda lettera ai Corinti“.

Si legge infatti in 16,10, dopo che Paolo è arrivato “a Troade” (ma Troade non era il nome di una città, come sembrerebbe, bensì di una regione): 

“noi subito pensammo di recarci in Macedonia”.

in altri termini Luca viene introdotto in prima persona, come autore degli Atti e come compagno di Paolo nel momento esatto in cui lo si cita anche nelle lettere.

ma è proprio così?

2 risposte a “il falso evangelista Luca delle false lettere di Paolo. – 34

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