31 gennaio 2013 giovedì 15:03
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A questo punto dovrei riassumere l’intero passo del libro di Zeilinger da pag. 41 a pag. 44 nel quale si dimostra che il principio di indeterminazione di Heisenberg non è semplicemente la codifica di una limitazione della conoscenza umana, ma la descrizione di una caratteristica intrinseca della realtà: soddisfazione non piccola per me che ancora mi ricordo il personale senso di sorpresa, qualche anno fa, quando intuii per la prima volta, staccandomi per sempre dal determinismo einsteiniano, che questo era il vero significato della scoperta di Heisenberg.
Oggi ci aggiungerei un’ulteriore riflessione che non ha nulla di politically correct: il materialismo deterministico, da Lenin ad Einstein, è stata una caratteristica del pensiero politico democratico, lo slogan del materialismo dialettico di staliniana memoria ha pesantemente condizionato il modo stesso di pensare e di fare ricerca scientifica nel Novecento; è toccato ad Heisenberg, che pur senza essere nazista lavorava per i nazisti, avere una mente meno condizionata dal materialismo progressista e presentarci una rappresentazione della materia più sfaccettata e in fondo legata al principio stesso della libertà: naturalmente viene in mente Epicuro e il suo superamento filosofico del determinismo democriteo a favore dell’antico principio di indeterminazione epicureo del clinamen.
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Ma naturalmente, proprio per questo insieme di motivi occorre esaminare bene la questione, allo scopo di comprendere bene come possono stare le cose.
Perché certamente, se l’osservazione modifica l’osservato, non c’è alcun dubbio possibile sul fatto che l’oggetto, prima di essere osservato, è per noi in uno stato indeterminato, dato che non ne possiamo dire nulla, non avendolo ancora osservato.
Ma è pur vero che questa inconoscibilità è relativa solamente a noi; è pur vero che, se qualcun altro lo avesse osservato prima di noi, ne avrebbe pure determinato le caratteristiche, ma questo nulla rileva per noi, dato che osservandolo a nostra volta lo modificheremmo di nuovo, al punto tale da non poter dire se l’oggetto che stiamo osservando è proprio lo stesso dell’altro osservatore.
Insomma, questa indeterminatezza dell’oggetto da esaminare è piuttosto forte; ma se anche accettiamo che possa essere eccessivo affermare con certezza che esso è in assoluto in uno stato indeterminato prima dell’osservazione ed è l’osservazione stessa che ne determina le caratteristiche, potremmo lasciare tranquillamente in sospeso, come affermazioni di pura fede e contrapposte testardaggini, sia il dire che l’oggetto prima di essere conosciuto ha alcune sue caratteristiche intrinseche, sia il dire il contrario, che certamente, in assoluto, l’oggetto è il se stesso indeterminato prima dell’osservazione e che è soltanto questa che gli conferisce le sue qualità.
Lasciamo pure in sospeso la questione: però, se riconosciamo che l’osservazione è parte della realtà osservata stessa, allora la risposta lasciata irrisolta diventa in se stessa irrilevante, dato che non vi è altra realtà diversa da quella osservata, e allora è giusto dire che è l’osservazione che conferisce all’oggetto le sue qualità reali, cioè osservate.
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Aggiungo ancora: anche un oggetto macroscopico, prima di essere misurato, potremmo dire che si trova in uno stato probabilistico: vediamo benissimo che quel mobile è largo circa un metro, ma sarà solo misurandolo che potremmo dire (col ragionevole margine di variabilità data dalla teoria dell’errore) che è largo esattamente un metro e 5; anche qui potremmo dire, dunque, che è stata la misurazione a far assumere all’oggetto la sua esatta misura.
Qui si dovrebbe appunto parlare del problema del margine necessario di errore implicito in ogni misurazione, che però alla luce della complessiva fisica quantistica, potremmo anche definire come margine di variabilità probabilistica di ogni oggetto.
E tuttavia vi è una variazione di fondo fra le due situazioni, perché, generalmente parlando, la misurazione non è effettivamente in grado di inter-agire con l’oggetto osservato modificandolo in maniera apprezzabile, e questo è invece proprio quello che avviene a livello subatomico, per la scala dimensionale completamente diversa.
Ma la teoria quantistica ha portata universale e i fenomeni evidenziati si manifestano anche a livello macroscopico: solo che su questa scala i loro effetti possono essere considerati totalmente insignificanti; avviene quindi qualcosa di simile a quel che produce la teoria della relatività: una modifica delle leggi della fisica che è rilevante su grandissima o piccolissima scala nei due casi, ma che alla scala dell’esperienza umana ha effetti trascurabili.
Di conseguenza occorre davvero ammettere che, aldilà delle generica somiglianza con una situazione nella quale l’osservazione pone termine ad una situazione di indeterminazione conoscitiva attorno ad un valore medio probabile, nel caso delle particelle subatomiche effettivamente abbiamo a che fare con un autentico processo di definizione delle caratteristiche dell’oggetto osservato, che ha una natura propria.
Se il gatto di Schroedinger fosse stato chiuso nella famosa scatola non per battuta, effettivamente il gatto sarebbe stato o vivo o morto anche prima che noi aprissimo la scatola, dato che avremmo mille indizi per scoprire la sua condizione precedente, ed anche se l’apertura stessa della scatola fosse connessa a qualche automatismo capace di uccidere istantaneamente il gatto senza lasciarne traccia, se ci trovassimo di fronte ad una situazione in cui l’osservazione (l’apertura della scatola) modifica la condizione del soggetto osservato (il gatto, uccidendolo), anche qui sussisterebbero sempre dei segnali capaci di dire da quanto tempo è morto il gatto; e dunque nessuna di queste situazione è simile all’osservazione delle particelle subatomiche che sono effettivamente per noi in una condizione assolutamente indeterminata, prima dell’osservazione, che fa loro assumere le caratteristiche di cui ora prendiamo atto.
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Einstein calcola con un’altra formula l’energia del fotone (p. 27), riprendendo l’idea di Planck che l’energia esista appunto in forma quantizzata, come multiplo di una misura minima fondamentale.
L’energia di un fotone è quindi data dalla sua frequenza, indicata dalla lettera greca n, moltiplicata per il quanto di Planck, h.
L’energia di un fotone viene quindi a coincidere con la forza con cui oscilla il quanto elementare di energia che lo costituisce.
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Secondo De Broglie, citato e spiegato (qui secondo me in modo non chiarissimo) da Zeilinger, è la materia stessa che ha natura ondulatoria come la luce: questo significa che ogni particella si colloca in un pacchetto d’onda che definisce solamente la probabilità che essa sia in un punto collocato all’interno di questo.
“Un elettrone non ha mai nello stesso istante né una posizione né una quantità di moto precise, ovvero non si trova in un punto esatto, né si muove con una certa velocità. (…) Dobbiamo abbandonare il concetto di elettrone come punto materiale in movimento”.
Se pensiamo all’elettrone come ad un’onda, ad un pacchetto d’onda, “la dimensione del pacchetto è semplicemente una misura di quanto poco conosciamo la posizione della particella, poiché questa potrebbe trovarsi in ogni spunto al suo interno”: “è il principio di indeterminazione riletto dal punto di vista della natura ondulatoria della materia” (pagg. 41-44).
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Se poi è l’osservazione che definisce la probabilità, è evidente anche che, se due particelle vengono osservate assieme, esse vengono portate all’osservazione, cioè alla realtà, con le stesse caratteristiche e che tale loro acquisita natura la portano con sé identica.
e con questo si introduce un tema centrale del libro, quello che è il fondamento stesso degli studi sul teletrasporto: l’entanglement.
Stuttgart, 25. Dezember 2012
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queste annotazioni finiscono qui, certamente in modo totalmente incompiuto, ma non mi sento per ora di riprenderle; ho bisogno della diversa quiete tedesca per farlo, se mai lo farò.
scusandomi con coloro alle quali le ho sottoposte, sono però anche consapevole che il disagio apportato è stato minimo: infatti forse se le è lette in tutto un solo lettore!
al quale vanno i miei ringraziamenti, naturalmente, anche perché le sue osservazioni e critiche hanno contribuito ad approfondire il discorso o a rivelarne punti deboli.
non saprei… potrei benissimo averti portato fuori strada 😀
Ho sempre immaginato la materia come una distorsione spaziale stabile, una specie di lenzuolo ripiegato su se stesso. Nel caso della luce (immaginando la luce come una distorsione spaziale, perché si propaga anche nel vuoto) si ha un campo elettromagnetico in cui campo elettrico e magnetico si alternano in oscillazioni trasversali. Misurando i picchi d’onda potrei benissimo scambiare un’ onda per delle particelle. Un po’ come la figura di interferenza di un’onda: ho delle fasce che con buona approssimazione possono essere individuate in certi intervalli con zone intermedie non vuote (una specie di gaussiana).
Come vedi ora ti porto a pensare che tutto sia onda… mentre nei commenti precedenti ti ho dato una mia interpretazione in cui tutto era fatto di particelle non localizzate (spazio discontinuo). L’idea è che su piccola scale non è possibile parlare di nessuna delle due, perché non esistono come le immaginiamo nella nostra scala di realtà.
caro afo, volevo risponderti in modo meditato, ma mi accorgo che non ho il tempo di farlo, quindi non voglio che il mio silenzio diventi troppo lungo.
vorrei solo dirti che nell’ultimo numero delle Scienze di febbraio c’è un articolo di David Tong, Il quanto non quantico, che prospetta esattamente una tesi molto simile alla tua, che va ad incrociare anche alcune mie osservazioni su questo tema di questa serie di post a puntate.
credo che questa serie di post dovrà quindi necessariamente avere una puntata n. 8, nella quale mi scosterò per un momento dal libro di Zeilinger per affrontare questa discussione; occorre almeno un week end a disposizione per farlo, ma non potrà essere il prossimo, per altri impegni non rinviabili; magari sarà quello successivo, a maggior ragione considerando che sarà un week end tedesco, per me.
come avrai visto anch’io sono sparito per un po’ di tempo per impegni universitari, quindi ti capisco benissimo. E poi non c’è fretta, meglio riflettere con calma ed arrivare a conclusioni sensate. Sono curioso di sapere cosa scriverai 🙂 , però visto che anche la mia sessione non è ancora finita credo anch’io che sia meglio rimandare.
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non conoscevo il signor Tong e non ho letto il suo articolo prima che me lo dicessi tu. Stranamente è proprio quello che intendevo col mio ultimo commento, però detto in un modo molto più elegante. ho trovato interessante anche il discordo sulla rotazione dei fermioni.
Lui per conclude convinto che la realtà sia analogia. Io invece immaginavo più che altro una combinazione analogico digitale 😀 (quindi nessuna delle due… ma tutte due insieme)
ti lascio questo video che è in inglese ma se non sbaglio si possono attivare dei sottotitoli automatici (qualità così così)
niente sottotitoli, almeno che io abbia trovato.
per beffa, l’unica frase che ho capito è “it is too difficult”….
spero che ci rileggiamo presto sul tema, intanto buoni esami a te. 😉
vero… qua nei commenti non c’è la funzione “sottotitoli”. Se però lo guardi su YouTube troverai quella funzione per sottotitoli in inglese, che sono abbastanza precisi, e poi se clicchi ancora la stessa figura ti da la funzione “traduci sottotitoli in automatico” che hanno la qualità di google traslate però ti fanno capire di cosa parla almeno in grandi linee.
In pratica lui parla di diverse interpretazioni. In un caso si parla di densità energetica (wave) nell’altro densità di probabilità di trovare un fotone o elettrone in una certa posizione che in fondo sono la stessa cosa. E scrive nei due casi E^2 e nell’altro psi^2… che se non sbaglio sono i picchi di intensità delle due interpretazioni.
Poi fa una veloce spiegazione dell’effetto fotoelettrico. Cioè aumentando l’intensità della radiazione con cui colpisci il materiale non osservi l’emissione di elettroni più energetici (come ci si aspetterebbe nel caso di emissione continua) ma un aumento del numero di elettroni con energia uguale a prima (quindi si ha emissione di oggetti ben limitati… non onde).
Poi finisce spiegando come funziona psi in funzione del numero di particelle. In pratica più particelle hai più la funzione di probabilità aumenta il numero di variabili.
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speriamo bene per gli esami 🙂
** lui parla di diminuzione di intensità ma il senso è lo stesso…
continuo a latitare, ma non per mancanza di interesse alla discussione, al contrario, perché è talmente interessante, che per rispondere devo prepararmi bene (come se dovessi fare un esami; chi ha orecchie per intendere, intenda… ;).
quindi continuo a rinviare la risposta, prendendo però mentalmente nota anche di queste tue nuove osservazioni.
ci sarà, quando potrò, un post intero di risposta, afo, promesso (anche se siamo sotto elezioni, e le promesse valgono quel che valgono… :))
Alcune considerazioni.
1) la frase «non vi è altra realtà diversa da quella osservata».
Direi che per ciascun osservatore e senz’altro così, ma che non lo possiamo dire dell’intero sistema includendo tutti i suoi osservatori. Banalizzando, ogni domenica assistiamo a collassi d’onda paralleli tipo “era o non era rigore”. Non sembra possibile negare osservazioni assolutamente soggettive di eventi ritenuti per approssimazione oggettivi per insufficiente precisione dell’osservazione.
2) la frase «anche un oggetto macroscopico, prima di essere misurato, potremmo dire che si trova in uno stato probabilistico: vediamo benissimo che quel mobile è largo circa un metro».
A livello macroscopico, l’osservazione collettiva di un enorme numero di particelle probabilistiche comporta una incidenza significativa nelle soluzioni delle loro singole funzioni d’onda, con una conseguente coerenza di sequenze di osservazioni macroscopiche in accordo con le osservazioni precedenti e le leggi fisiche correlate.
3) la frase «si manifestano anche a livello macroscopico: solo che su questa scala i loro effetti possono essere considerati totalmente insignificanti».
Mi sembra che invece siano assolutamente significanti nella regolazione fine della osservazione a livello macroscopico che, anche per la coscienza degli esseri, si determina quantisticamente con granulari associazioni a modelli acquisiti per esperienza (questo colore “è giallo o verde?”)
4) la frase «alla scala dell’esperienza umana ha effetti trascurabili».
Mi sembra che invece bisogna considerare il livello soglia di diverso instradamento nei “bivi” tra sequenze causa-effetto. (quand’è che si stacca il primo fiocco di neve che causa la valanga? Quand’è che inizia lo scivolone dello sciatore? E la reazione chimica raggiunge il livello soglia? E la nascita di un buco nero?
grazie di questo commento, prima di tutto.
e vengo alle osservazioni.
1) mi e` difficile replicare alla critica ad una mia frase estrapolata dal contesto; il contesto dovrebbe portare ad interpretare la frase «non vi è altra realtà diversa da quella osservata» nel senso di «non vi è altra realtà diversa dall’osservazione».
piuttosto la critica sollecita a chiarire ulteriormente un punto, non sviluppato nel post, e precisamente come avviene il passaggio dall’osservazione individuale all'”intero sistema”, come viene definito qui: l’osservazione di per se stessa non e` sufficiente a darsi realta`: la realta` e` una categoria del linguaggio, non della mera osservazione, e il linguaggio e` un fatto intrinsecamente sociale: attraverso il linguaggio l’osservazione diventa reale, perche` entra nell’universo della comunicazione linguistica trans-personale e acquista la qualita` linguistica dell’essere. e` la mente collettiva della comunicazione l’universo nel quale le esperienze diventano reali e le cose esistono.
forse a questo punto concordiamo: le osservazioni sono assolutamente soggettive, ma poi, generalmente, si concorda socialmente che il rigore ci stava (oppure no), e dunque attraverso la comunicazione si crea un fatto reale, socialmente condiviso, che per questo consideriamo reale ed oggettivo (oggettivo altro non significa che socialmente condiviso).
2) mi sembra che l’interpretazione del processo presentata al punto precedente possa dare risposta anche alla seconda osservazione: la realta` e` un fatto sociale ed appartiene alla comunicazione collettiva; niente di strano dunque che osservatori diversi si accordino sul dire che il tavolo e` lungo un metro e 5 centimetri e che questa misurazione venga considerata oggettiva, anche se un’analisi piu` sottile continua a confermarci che si tratta soltanto di un valore approssimato e probabilistico.
3) ho scritto su scala macroscopica i loro effetti POSSONO essere considerati totalmente insignificanti, non che lo sono anche ad una osservazione piu` fine; quindi direi che su questo punto siamo assolutamente d’accordo.
4) la quarta obiezione non l’ho capita bene, forse perche` fa riferimento alle sequenze causa – effetto, che sono di nuovo da considerare, a mio parere, un fatto linguistico umano e non una caratteristica della realta` in se stessa pensata.
– sono sicuro di avere aggiunto anche troppa carne al fuoco e di avere certamente aumentato le perplessita` anziche` diminuirle…
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