198. fuga da Giacarta. My Indonesia 3.

la notte dimezzata dal volo contro i fusi orari passa tranquilla anche dopo l’affrettata partenza da Doha, che mi ha costretto ad interrompere velocemente la scrittura sul blog.

tanto che possiamo passare al momento – le tre del pomeriggio, qui, poco a sud dell’equatore – in cui intravvedo, dal finestrino che sta a quattro file della mia, un ambiente verdissimo, delle palme, e un cielo cupo di pioggia.

respiro scendendo dall’aereo attraverso la scaletta coperta la temperatura dell’aria, che si e’ certamente alzata ed e’ umidiccia e appiccicosa, ma tutto sommato sopportabile, non come temevo: solo all’uscita all’aperto mi rendero’ conto con orrore che quella era l’aria condizionata, e mi sento svenire sotto l’unghiata potente di una vampa di calore umido quasi insopportabile e che comincia subito a sciogliermi in un copioso sudore.

passa senza imbarazzo la pratica del visto, sento che a una signora – non so di quale nazionalita’ – chiedono le foto, ma siccome non le ha, le indicano tranquillamente il posto dove puo’ farle, ritiro la mia valigia, cambio i primi cento euro, il rapporto e’ circa 1:12.000 rupie, vado dai taxi a chiedere informazioni su come fare per raggiungere la punta occidentale di Giava.

ho infatti deciso alla fine di evitare Giacarta, di non metterci proprio piede: una metropoli di circa 15 milioni di abitanti, che dilaga con i suoi tentacoli, senza avere neppure un preciso centro o qualche monumento antico degno di nota, mi ricorda troppo la lugubre assenza di senso di Tehran, ed ora che non ho un lavoro che mi costringa a passarci dei giorni dentro, non vedo perche’ dovrei.

dal taxi mi dicono che c’e’ un bus che dall’aeroporto porta direttamente a Mektar (temo di avere sbagliato la grafia…: infatti, non Mektar, ma Mekar, e la e non si pronuncia quasi), e un operatore gentile mi ci accompagna per un km nella vampa, mentre io osservo come Giacarta vista dal suo aeroporto appaia giusto quel che prometteva di essere, il cancro postmoderno dell’Indonesia.

quando l’autobus arriva, e dovrebbe metterci un’ora a fare in autostrada i 90 km necessari per arrivare, non proprio alla citta’ che cerco, ma ad una che sta ad una decina di km, io mi addormento quasi subito, spossato dalle code, e dalla riflessione che quanto piu’ costruiamo macchine e strade per accelerare i nostri movimenti, tanto piu’ i nostri spostamenti rallentano.

quando mi sveglio sono passate gia’ due ore e sembriamo ben lontani dalla meta, intanto ha anche cominciato a diluviare ed ovviamente dopo le sei siamo nel pieno della notte equatoriale.

e’ chiaro che vado in ansia, e quando ad una fermata il mio vicino del sedile di dietro mi consiglia di scendere con lui e di prendere un taxi per raggiungere la mia meta prima che il bus si immerga nella giungla urbana di Celesin (o qualcosa di simile, correggero’ i nomi piu’ tardi…: Cilegon, ecco: poco somigliante, vero?) non me lo faccio dire due volte.

eccoci su uno stradone, ha smesso di piovere per fortuna, ma non di soffocare con questa temperatura insopportabile, ma di taxi neppure l’ombra.

il mio giovane amico, che ha due scatole di cartone legate con lo spago, ride nervosamente, ma io mica tanto.

per fortuna si attacca al cellulare e nel giro di mezzora due taxi arrivano, basta sceglierne uno, lui e’ vicino a casa e se ne va, io affronto un percorso che alla fine mi costera’ 10 euro, cifra enorme ritengo, qui, ma plausibile, per sbarcare dopo un incredibile percorso tra centinaia di camion che si muovono da Giava verso il traghetto per Sumatra, come faro’ io domattina, eccomi all’Anda Hotel.

scelgo la camera piu’ miserabile, per recuperare almeno i soldi del taxi e inaugurare il sacco lenzuolo personale.

ma il resto del post lo scrivo in hotel e lo postero’ quando posso, adesso si e’ fatto tardi.

giusto per farvi sapere che comunque sto bene e che le mie avventure hanno gia’ preso la piega che desideravo, come vedrete dagli sviluppi narrativi futuri.

11 risposte a “198. fuga da Giacarta. My Indonesia 3.

    • e io ti rispondo alla stessa maniera: non e’ gia’ ocambolesco, un poco, cambiare il proprio programma di viaggio studiato per 15 giorni, solo per un’impressione di pelle?

      questo viaggio in qualche modo e’ piu’difficile degli altri…

  1. Pingback: 216. aeroporti e altro: primo videoclip sul viaggio in Indonesia. | Cor-pus·

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