dal ventre del mio netbook, guasto in viaggio, che provocatoriamente si è rimesso a funzionare appena ha rimesso piedi in casa, è uscito questo ulteriore post indonesiano: credo proprio che sia l’ultimo.
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4 maggio 2013
Viaggiare è anche abbandonarsi al caso e maturare con l’esperienza la convinzione che questo abbandono al caso rende lui benigno oppure noi più disposti a riconoscere i lati positivi di quel che succede.
A Borobudur la mattina dell’1 maggio, credo – era il 2 –, Johannes, che mi appare sempre di più come un occidentale malriuscito trapiantato in Indonesia, non è riuscito a costituire un gruppo per organizzare un trasferimento a Dieng Plateau; la cosa non mi stupisce, a giudicare dalle facce dei suoi ultimi ospiti e in particolare dell’uomo dalla nazionalità indecifrabile, visto il mutismo, che ha trascorso la cena attaccato al computer lasciando priva d’ogni parola la donna che era con lui; e neppure mi dispiace, tutt’altro, anche se Johannes ha precisato, con una punta di acidità, data certamente dall’affare sfumato, che dovrò cambiare tre mezzi pubblici, per arrivare a quell’altopiano sui 2.000 metri.
In realtà i bus saranno quattro: il primo mi porta da Borobudur a Magelang, a nord est: viaggio dominato dalla veduta incombente dell’enorme vulcano (Gunung) Marapi; poi da Magelang si risale a nord ovest fino a Wonosobo, che, a sentirlo dire così, sembra un paesino, e nessuno si immagina, neppure dalla mappa della Lonely Planet, che sia invece una città di 600.000 abitanti, per cui occorre un terzo bus di transit, che Johannes aveva dimenticato, dalla stazione sud a quella nord; ed infine, ecco un piccolo bus che comincia a risalire la montagna, restando sotto un nuovo Gunung, il Perahi, anche se a me, in verità, pare di vedere vulcani dappertutto, perché anche quelli che non sono nominati nella mappa essenziale della guida, hanno tutta l’aria di essere vulcani più o meno appena spenti; e tutti sono vulcani con i fiocchi, alti, slanciati, imponenti; e insomma nessun dubbio è possibile: stiamo proprio risalendo lungo un percorso che ci farà passare fra due vulcani: esperienza mai fatta.
Del resto il Dieng Plateau, che significava in origine “dimora degli dei” ed era una piana costellata di decine di templi – no, erano 400 –, di cui ne rimangono 5 o 6, è interessante soprattutto come zona di vulcanesimo attivo, facilmente accessibile, per me che mi sono affaticato con gli anni e non appaio più tanto pronto a salite impegnative.
Ma la risalita incuriosisce anche per gli spettacolari terrazzamenti ampiamente ricoperti di lunghi semicilindri di plastica sforacchiati, da molti dei quali, secondo i cicli di maturazione di queste piante, che al momento non riconosco, spuntano dei ciuffi verdi senza fiori: sembrerebbero pomodori, ma non se ne vede uno…
Dopo le 4 ore ore canoniche della previsione di Johannes, che in questo ci ha azzeccato perfettamente, ecco che il bus compie una brevissima e precipitosa discesa e una svolta e mi lascia scendere giusto davanti allo Stay Home Dieng Plateau, scelto per la sua economicità relativa dalla guida, ma che poi si presenta pulito e attraente, a parte la scala con alzate da 40 cm, ma il ragazzo servizievole pensa lui al troller, e ho perfino il lusso di scegliermi la stanza: scioccamente prendo quella che dà sulla strada, perché ha un poco di vista e perfino una veranda di uso comune davanti: un riposino, ed eccomi fuori.
La prima meta sono i cinque templi recentemente ripristinati e restaurati: si tratta di tempietti, niente di simile a quelli grandiosi visti nelle due puntate precedenti; però è suggestiva l’ambientazione, anche se purtroppo intanto che siamo saliti il tempo si è rannuvolato, e questo toglierà molto fascino alle cose comunque mirabili che sto per vedere.
Presso i templi un paio di ragazzotti locali ha allestito una postazione per improbabili foto da puffi giganti: dovresti entrare in uno degli enormi pupazzoni da cartoni animati (il nome di puffo, così datato, è puramente indicativo degli ultimi cartoni che conosco, quelli che hanno l’età dei miei figli): uno è anche rosa; declino l’invito, urlato da lontano.
Assieme a me c’è soltanto una coppia, credo locale, un viso è cinese, l’altro più indonesiano classico: grigi i templi, ordinati in fila, e grigio il cielo; all’uscita mi sono già perso, e non azzecco il museo che mi interessava parecchio per una statua animista con una divinità maschile del sesso, in erezione; e mi faccio trascinare dalla vista di getti potenti di fumo e da un potente odore di zolfo che nel frattempo sta riempiendo l’aria, dietro un rilievo non troppo alto: ma non sono le fumarole vulcaniche che cerco: sono gli impianti di sfruttamento dei geyser; a salvarmi e portarmi in zona, risparmiandomi un paio di km, ma soprattutto facendomi capire dove è la mia meta, è un autobus di coreani, che mi prende a bordo, impietosita dal vecchietto disperso.
Ed eccomi davanti a questo spettacolo di cui ho visto qualcosa di vagamente simile soltanto nella zolfatara di Pozzuoli, ma qui la scena è molto diversa e questa volta mi ricorda un vecchissimo documentario naturalistico Disney degli anni Cinquanta, che mi si è stampato nella mente bambina forse perché potessi fare i confronti, e la scena dal vivo li regge benissimo.
Chi l’avrebbe mai detto sessant’anni fa che quel fango che bolle sarei arrivato a vederlo dal vivo, e nella Dimora degli dei, per giunta.
Ben tornato. Ti ho letto con interesse. L’ Itala che trovi ti fara’ venire una gran nostalgia dell’ Indonesia
grazie delle tue parole.
dell’Indonesia no, considerato che ha avuto un Berlusconi-Suharto molto molto peggiore del nostro, sanguinario sterminatore di un milione di comunisti, e saccheggiatore del paese di dimensioni tali da far sembrare Berlusconi un dilettante allo sbaraglio anche per questo.
grazie alle tangenti del 10% sui lavori pubblici che venivano incassate dalla moglie, ha non solo accumulato all’estero una ricchezza personale che è stata stimata pari a 30 miliardi di euro, se non più, ma ha messo stabilmente l’Indonesia ai vertici mondiali della corruzione, dove sta tuttora.
uno dei post che non sono riuscito a scrivere, ma soltanto ad immaginare, stava appunto nella storia parallela dei due personaggi e dei due paesi.
Germania, piuttosto: sto giusto a vedere che fine potrà fare la domanda di restare al lavoro anche oltre i 65 anni, ma se non dovesse essere accolta (ed è oggi una speranza) sono pronto a tornare lì.
in ogni caso hai letto bene il mio disgusto, tanto che ho promesso di non occuparmi più di politica italiana in questo blog.
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Ciao Borto, grazie di avermi portato sin lì. Mi resta il dubbio di cosa fossero le piante che hai visto e perché dici che scioccamente hai scelto la camera con vista. Inoltre, credo che le nuvole, in un ambiente di quel genere ne esasperassero la bellezza. Un saluto.
sin lì, sì, ma sin qui non ricordo di averti portato, mi pare che ci sei arrivata da sola… 🙂
non ho più spiegato in effetti né qui né nel post dell’altro giorno di accompagnamento al videoclip montato nel frattempo, perché la scelta della camera si è rivelata poco azzeccata: per il rumore, che mi ha lasciato dormire poco nell’unica notte passata a Dieng Plateau.
quanto a quelle piante, che erano in realtà così poco esotiche e riconoscibilissime, mi permetto di accompagnarti per mano al post dove si svela il mistero, e fa parte appunto della serie che sto scrivendo in questo periodo (da pensionato riesco a fare un post e un videoclip al giorno sul mio viaggio indonesiano… ;)):
https://bortocal.wordpress.com/2013/10/23/516-gente-e-attivita-di-dieng-plateau-videoclip-indonesiano-n-73/
grazie della visita, naturalmente: anche io sono appena passato da te e dal tuo amico indiano 🙂
ok. andrò avanti a camminare. Mi viene in mente che io e te avevam un discorso sul buddha in sospeso… Ricordi in quale tuo post avevo commentato? Cosi da vedere lla tua risposta… è passato molto tempo… è il momento di approfondire…
no, non ricordo: aiutami un poco: era qualche vecchio post indiano mio sull’altra piattaforma? no, e non mi pare neppure fosse un commento su qualche post mio del viaggio in India del 2010: il buddismo sarebbe stato fuori tema.
forse un post birmano? mi pare più probabile.
pensavo di poterti rispondere più facilmente mettendo il tuo nick nel motore di ricerca sui commenti, ma non funziona, stranamente mi dice che tu qui mi hai commentato una volta sola, mi dà come risposta solo un commento mio in cui io ti nomino e salta perfino questi, che abbiamo sotto gli occhi…: no riesco a capire perché.
ho fatto passare le ultime 30 pagine di commenti (su 1.145), ma non ci sei: del resto ricordo anche io commenti di un po’ di tempo fa…
era l’altra piattaforma comunque cerco anche io…
oh, al quarto tentativo ha funzionato!
ecco la raccolta di tutti i tuoi commenti al mio blog (anche se credo che tu non possa aprire il link, purtroppo:
https://bortocal.wordpress.com/wp-admin/edit-comments.php?s=passoinindia&comment_status=all&pagegen_timestamp=2013-10-25+07%3A34%3A47&_total=22970&_per_page=20&_page=1&_ajax_fetch_list_nonce=648b730aea&action=-1&comment_type&paged=1&action2=-1
ed ecco il post con i commenti: riguarda la visita ad un santuario musulmano, figurati! avevamo voglia a cercarlo con modi tradizionali! (oggi mi sento molto Assange e mi pare di essere bravo come lui a scovare i documenti nascosti… ;))
ah okokkkkkkkk… ci sentiamo presto!
e mettere anche il link del post… (parlo a me stesso)?
eccolo, meglio tardi che mai…
https://bortocal.wordpress.com/2013/07/25/322-visita-alla-tomba-di-sunan-gunungjati-cirebon-videoclip-indonesiano-n-29/
merci.
Pingback: 523. paesaggio ed emozioni di Kawah Sikidang a Dieng Plateau – videoclip indonesiano n. 76. | Cor-pus·
L’ha ripubblicato su cor-pus-zero.