quando già cammino all’interno del Kebun Raya di Bogor da un paio d’ore, mi ritrovo nel settore un poco anomalo del giardino messicano, dopo avere attraversato le aree del rattan, delle palme, dei bambù, delle piante rampicanti (ci sono nel parco 15.000 specie di piante diverse e, secondo la guida, anche dei varani in libertà, che però non mi è capitato di vedere) .
sono tornato vicino all’esotico palazzo dell’entrata, ma sto perdendo l’orientamento.
i grandi cactus e il paesaggio arido sono piuttosto estranei all’ambiente, così che questa zona ha un po’ l’effetto di un pugno nello stomaco: oltretutto la giornata è grigia e nuvolosa, la stagione delle piogge volge al termine, ma dovrebbe finire del tutto fra circa una settimana soltanto e dunque il tempo resta caratterizzato da questo cielo che è come una spugna densa d’acqua che qualcuno può decidere di strizzare in ogni momento, e le enormi piante grasse spinose, da cui si ricava, volendo, la tequila rispondono più che altro alla mania di completezza dei costruttori del giardino, ma c’entrano poco: in Indonesia non mancherà mai l’acwua, l’aridità tropicale non è nelle sue corde di isola equatoriale suddivisa fra giungle e risaie.
colgo l’occasione per dire anche che il clima pesantemente umido e la foschia impalpabile equatoriale diffusa ovunque hanno un effetto pessimo anche sulle fotografie, delle quali unicamente consiste il montaggio qui, che sono proprio spente, poco nitide, avvolte in una insipida luce bianchiccia che costringe al fotoritocco per recuperare la parvenza dei colori che l’occhio ha visto, ma la macchina non è riuscita a registrare: insomma veramente deludenti.
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ma subito dopo l’area delle piante grasse si raggiunge il Sangal Cilivung, il fiume che attraversa Borgor e anche il suo Grande Giardino, scendendo verso l’Oceano Indiano, e la sua vallata apre una veduta pittoresca sul Gunung Pangrango, un vulcano alto più di 3.000 metri, che si trova a sud della città, fra alcuni altri che sorgono nelle vicinanze (ma io penso in quel momento che sia il nord).
a questo punto una passerella da giungla attraversa il fiume dentro il parco e porta sull’altro lato dove l’aspetto vagamente olandese della sistemazione, a mio parere, si attenua e lascia lo spazio ad una distribuzione un poco più spontanea e disordinata delle piante: ci ritroviamo in mezzo a tronchi e radici dalle forme veramente inquietanti e monumentali.
ci sono alberi in cui il tronco, slanciato nel cielo per decine di metri, si allarga, scendendo giù verso la terra rossastra, in contorte strutture piramidali di trapasso verso la forma delle radici e queste si allargano anche per cinque o sei metri o più, e scorrono alla fine sinuose sul terreno come grandi serpenti boa lunghi più di dieci metri.
ti senti disperso e insignificante di fronte a queste manifestazioni della vita che sono del tutto fuori scala rispetto a noi umani e contengono il messaggio non detto che il mondo non è stato fatto per noi, quanto piuttosto per loro, che noi siamo come dei piccoli intrusi, non diversi da una piccola specie di parassiti che si arrabatta per sopravvivere, e non è detto che ci riesca.
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poi, improvvisamente, in fondo ad un viale ombroso appaiono delle figure umane e ti senti a casa: sono degli attori, una bella ragazza vestita festosamente e un uomo col rossetto sulle labbra per esigenze cromatiche nella ripresa, evidentemente, che stanno girando un videoclip credo pubblicitario, a giudicare dai palloncini colorati che la fanciulla ha in mano e simboleggiano la felicità del consumismo.
è il secondo momento del genere in cinque giorni: la televisione deve avere un ruolo molto importante anche in Indonesia.
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My Indonesia15:
Quell’omino (2.01) sei tu?
sì, fotografato da un turista olandese,…