se le dodici ore di autobus in cui si esaurì (in ogni senso) la giornata del 26 aprile scorso nel trasferimento da Bogor, a sud di Giacarta, a Cirebon, nel nord est della Giava occidentale, fossero durate come i 5 minuti scarsi di questo videoclip, forse mi sarebbero anche piaciute, dato che ho cercato di girare l’Indonesia non solo per godermi da turista le sue attrazioni più celebrate, ma anche per conoscerla come paese.
e infatti la sua immagine si è sfaccettata ancora, non tanto per le code allucinanti che hanno reso quei 250 km una specie di delirio al rallentatore, ma per la visione, sia pure rapida, di fabbriche, complessi economici, grandi e piccole moschee nuove, e soprattutto dell’Istituto di tecnologia di Bandung.
già Bandung è apparsa come una proliferazione metropolitana, una specie di metastasi di 7 milioni di abitanti (più del doppio di Roma) della gigantesca Giacarta che è a sua volta più del doppio di Bandung (il che significa che le due città- del resto a un centinaio di km l’una dall’altra, così che sembra quasi che le loro diverse periferie si sfiorino – sono assieme circa 7 volte Roma).
ma questa gigantografia dà da sola la misura di un paese che ha una popolazione quattro volte la nostra, ma poi estesa in un arcipelago di quasi 20.000 isole che si allungano per 5.000 km da ovest a est (o viceversa) attorno all’equatore…
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i movimenti interni in Indonesia sono rallentati in proporzione inversa alle dimensioni, per un traffico comerciale su decine di migliaia di camion che intasano le strade e che danno il senso di una lotta quotidiana disperata, non dico per la sopravvivenza, perché il paese è meno povero di altri dell’area asisatica, ma per il benessere.
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appena fuori Bandung, proprio sulla strada che valica le montagne e discende verso la costa settentrionale sul Mar Giallo, proiettata verso la Cina, si incontra l’Istituto di Tecnologia di Bandung, la principale fucina universitaria del progresso del paese.
poco distante la camera riprende in uno dei tanti clic sfuocati di questo video, perché cliccati in movimento dall’uno o l’altro dei tre bus della giornata, due bambini che giocano, sulla riva di un rigagnolo, con un paio di strumenti musicali, un tamburo e una specie di xilofono, e con quella che sembra una scimmia travestita da bambola.
immagini di un paese contraddittorio, la cui identità si confonde di più ad ogni giorno che passa, nella mia mente.
comunque il 26 aprile è trascorso così, e il video dice che, visto col senno di poi, non è trascorso neppure male.
delirio in autobus… sarebbe stata la definizione azzeccata anche per il mio viaggio da Arusha a Dar Es Salaam: partenza alle 10:00 di mattina, arrivo alle 22:30.
è interessante che ritroviamo elementi di esperienze simili in viaggi in continenti diversi, anche se non credo che la causa del rallentamento del tuo viaggio in Tanzania fossero gli ingorghi stradali…
no, no: era proprio la distanza….
cioè, ad entrare a Dar eravamo in un ingorgo pazzesco. veramente fuori di testa, specie dopo oltre dieci ore di viaggio.
ma per il resto correva liscio… solo, è una distanza infinita.
te ne rendi proprio conto che le nostre cartine sono tutte sballate
dunque in Adrica almeno la globalizzazione automobilisitica si limita alle grandi città, in Indonesia invece coinvolge tutte le strade, anche quelle di montagna, per il traffico dei camion.
la sensazione di panico che ti prende quando capisci che la scala delle cartine ha un valore diverso…
sei partito pensando ad un viaggio nel quale i 600 km di lunghezza di Giava si potevano fare in un giorno e mezzo e hai mentalmente programmato di conseguenza, e poi ti a ccorgi che neppure una settimana basta…
commento ricevuto via mail:
My Indonesia 17:
Ma come hai fatto a riprendere le auto contromano per circa dieci secondi? In fondo all’autobus? sembra quasi che ti arrivano addosso.
O su uno di quei mezzi, tipo risciò, seduto dalla parte opposta.
A proposito quel numero, sempre riferito al risciò, che si intravede corrisponde ad una targa?
E quelli tutti fermi in fila sono ad un parcheggio in attesa di passeggeri?
lo avevo raccontato nel post scritto allora, https://bortocal.wordpress.com/2013/04/27/204-un-giorno-perso-forse-in-viaggio-sbagliato-forse-my-indonesia-8/ :
“poco dopo decido di beneficare un vecchio signore che sembra aspettarmi 200 metri piu’ avanti su un triciclo a pedale: nella veste del colonialista mi faccio forza, perche’ non mi ero accorto che la strada fosse cosi’ in salita fino a che non c’e’ stato un altro a farla per me e lui ha cominciato a pedalare: poi pretendo anche, sbagliando, che mi porti alla stazione dei bus per l’aeroporto, che sta dal lato opposto della superstrada e facciamo una manovra contromano da incubo: cosi’ mi faccio a mie spese il sovrappassaggio col troller per la stazione giusta che sta 100 metri piu’ avanti, come ben sapeva il mio driver, ma dalla parte dove stava lui.
ma insomma anche questo tentativo di suicidio fallisce, l’autobus per Bandung mi attende, con un autista simpatico che si fa fotografare, mi metto nella posizione migliore, proprio in prima fila dove si vede la strada davanti, e si parte”.
sì, è come hai intuito: sono sul riksciò a pedali che va contromano in mezzo al traffico di Bogor: due vecchi su un triciclo, fra imprecazioni e risate,.
credo che quella sia la targa del riksciò, anche se devo dire, se qualcuno pensasse di usare il video per dargli una multa, che si tratta di un altro riksciò fotografato in un’altra occasione, che ho messo qui soltanto per suggerire allo spattatore l’interpretazione giusta della scena che segue.
i riksciò in fila aspettano qualche improbabile cloiente, ma non sono ad un parcheggio particolare, ce ne sono a centinaia dappertutto in quasi ogni città, escluse le più grandi e le più ricche, nelle zone almeno più moderne.