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uscito dalla piccola pagoda taoista di Cirebon, il 27 aprile, è bastata una piccola deviazione dalla strada per i palazzi dei sultani, per arrivare al modesto e povero Pasar Kanoman, un variopinto mercato che mi immerge di nuovo nel mondo popolare di questa città multiculturale, che era già stato protagonista poco prima del mio sguardo fotografico nel videoclip n. 19.
“pasar” è una evidente derivazione dall’arabo “bazar” e basta questo a dirci che, multiculturalismo a parte, entrando al mercato ci accostiamo all’anima musulmana dell’Indonesia, dato che la città di Cirebon è uno dei punti chiave della penetrazione islamica nel paese e della sua conquista; e ne troveremo del resto molte altre espressioni.
ma, proprio a proposito di islam, alcuni conti non tornano con i nostri pregiudizi, a riguardare queste immagini.
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il flusso fotografico, nell’attraversare questo spazio brulicante di contrattazioni, di rumori e di voci, di odori, soprattutto quello del pesce e della frutta, ha continuato ad arrestarsi con una naturalezza inconsapevole soprattutto su volti femminili.
per me voleva essere una ricerca ostinata e impossibile dei tratti somatici caratteristici di questa gente dove mi veniva più piacevole di farlo, ed escludendo purtroppo i visi femminili più giovani e meno disponibili, nel sospetto che l’interesse fotografico potesse avere altre motivazioni.
ma non sono riuscito a trovare un preciso tratto somatico tipicamente indonesiano: il valore predominante sta in un punto indefinito che a noi, più che originale, appare sospeso fra India ed Asia, senza essere nessuno dei due, ma neppure qualcosa di caratterizzato in sé.
ci sono visi tipicamente orientali, come quello della venditrice di tessuti che ha identificato il suo volto quasi con quello di uno dei manichini che stanno indossando le sue stoffe preziose, e ne ha fatto una sorta di maschera di cera simile al loro.
ci sono volti assorti, segnati da una povertà quasi indiana, o volti pieni e soddisfatti del benessere che non ha bisogno di parole per dirsi e sembra abbiano perfino qualcosa di europeo; in molte di queste facce ci sta il segno di una attiva capacità di commerciare e di una mescolanza che non è stata solo culturale, ma anche genetica; ma quasi mai ci si trova rassegnazione, indolenza, subordinazione.
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così l’intero mercato popolare di Cirebon sembra gestito soprattutto da donne di mezza età attive, laboriose, consapevoli, sicure di sé e serene, e gli uomini sono come un secondario contorno.
se questo dipenda dalla realizzazione economica più facilmente raggiunta da donne mature (e quindi corrisponda alla realtà oggettiva) oppure sia un dato solo apparente per il fatto che le donne più giovani sono più condizionate dal modello dell’islamismo ortodosso e risultavano più difficili da fotografare, io questo non lo so dire con certezza ora.
soggettivo ed oggettivo si confondono alla memoria; però per dare una risposta basta uno sguardo alle visioni d’insieme del mercato, che non risultano condizionate dalla necessità di selezionare i soggetti delle proprie fotografie in modo da non risultare indiscreti e da non violare i tabù culturali del luogo.
la risposta è che le donne più giovani sono davvero relativamente più rare a gestire il mercato: probabilmente la maggior parte di loro sono a casa, impegnate con i figli bambini.
ma per il resto è come previsto prima ancora di arrivarci, dopo l’incontro sul battello da Sumatra a Merak con la studentessa di Cirebon: qui l’islamismo non diventa una forma di oppressione femminile, a meno che non vogliamo riconoscerla, per paradosso, nel fatto che sono soprattutto le donne mature a vendere, a commerciare, a lavorare.
lo confermeranno tra poco anche alcuni sorprendenti incontri e l’evoluzione della giornata, già raccontati in sintesi due mesi fa, che ancora una volta mi metteranno a confronto con la libertà di relazione e l’intraprendenza delle donne di Giava.
ecco un’esperienza di libertà femminile di cui non ho mai trovato eguali nei viaggi in altri paesi, se non forse, ma in modo meno corale, nel viaggio in Iran (altro paradosso sorprendente per noi di un paese islamico dominato completamente dalle donne, dove gli uomini sono ridotti ad un ruolo grigiamente decorativo).
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prima di finire richiamo la vostra attenzione su un altro aspetto: l’abbigliamento di questa gente.
prego di prendere coscienza del fatto che, ovunque esista un minimo accenno di benessere, anche solo relativo, fra le persone fotografate, e qui parlo di donne ed uomini senza distinzione, l’anonimo abbigliamento monocromatico dei capi di vestiario standardizzati della globalizzazione dei poveri lascia il posto ai colori e alle decorazioni fantasiose dei batik locali.
questo tessuto, che potrebbe sembrare, nella sua onnipresenza commerciale, messo a disposizione dei turisti per il loro bisogno compulsivo di comperare, qui invece appare come il modo naturale di vestirsi della maggior parte della popolazione, che dunque appare rivestita di colori squillanti e di disegni creativi con una naturalezza tale che quasi sfugge allo sguardo.
io non ne ho riportato a casa neppure un capo: mi sarebbe sembrato di rubare all’Indonesia una parte del suo colore vitale e sono sicuro che, messi in un’altra atmosfera cromatica e nella luminosità di un clima diverso, quei colori avrebbero perso una parte della loro autentica natura.
il batik in Indonesia è invece una specie di musica dello sguardo, che non si nota perché è talmente armoniosa che diventa quasi un elemento ovvio di quel paesaggio urbano, ma non avrebbe la stessa pregnanza se trapiantato.
il batik è in Indonesia come il correlativo oggettivo sotto forma di tessuto della naturalezza e della cordialità degli abitanti, che non ritrovate altrove.
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questa lunga carrellata di sguardi è quasi sempre una galleria di sorrisi aperti, fiduciosi, trasparenti: anche questo potrebbe apparire ovvio e scontato, quasi noiosa la mia insistenza nel ripeterlo attraverso l’obiettivo: ed è invece un dono prezioso, per niente scontato.
togliete gli indonesiani dal contesto e loro, come il loro batik, rischiano di apparire chiassosi, troppo colorati, un poco volgari.
come le affascinanti donne di Giava, appunto, a guardarle con un occhio occidentale e fuori contesto…
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un’ultima nota: il commento musicale del montaggio video è stato ricavato riutilizzando la musica del karaoke di tamburi che avevo ripreso dal vivo nel penultimo videoclip: non è particolarmente bella e risulta anche deformata dalla trasformazione del video in You Tube, ma mi pareva la più vicina a questo mondo.
1. marca il video
2. adoro i mercati. per me sono l’essenza di un luogo, condensata al massimo.
mi incuriosiscono tanto che pure in pieno “mondo sviluppato-globalizzato” faccio un salto… nei supermercati
lettore attento! grazie della segnalazione…
solo i negozi dei barbieri secondo me superano i mercati locali nella capacità di esprimere l’essenza di una cultura… 🙂
in Indonesia però non ne ho trovati, pare che i barbieri siano clandestini…. 😉
tuttavia non riesco a spingermi fino ai supermercati europei, personalmente… 😦
detta così suona stupida, però anche i supermarket riflettono -a modo loro- questa realtà.
in svezia, ad esempio, trovi celle frigorifere self-service di gamberetti, da prendere a piacimento come verdura da noi.
in francia interi scaffali di vino, anche nei più piccoli…
insomma, riflettono a modo loro la realtà di stili e consumi del luogo
no, invece, hai perfettamente ragione, e perfino tra i supermercati tedeschi e quelli italiani c’è uan chiara differenza culturale: basta il supermercato per capire che la Germania è un paese democratico e l’Italia no, ad esempio, perfino senza badare ai prezzi.
io volevo dire soltanto che la cultura europea, pur nelle sue varietà riscontrabili ancche nei supermercati, mi incuriosisce meno di culture che hanno basi culturali completamente diverse.
e forse deriva da questo anche che non sono mai andato in America.
è arrivato anche il commento via mail, quello oramai abituale:
Una bella ripresa frettolosa che lascia in sospeso alcune curiosità.
Inizia con la donna che si destreggia fra due padelle friggendo che cosa.
Immagino pesce , ma non ci sono dettagli e neanche un commento per il sapore.
Da bravo cineasta e commentatore dovresti anche assaggiare.
0.12 Un qualcosa che s’intravede riflessa o in trasparenza nella ruota della bicicletta o di un carrello.
La successiva ripresa di quei banchi così vicini sembra più una mensa ,ristorante, che un mercato.
Che cosa potevano contenere quei secchi prima di essere usati per tanti scopi: base per poggiare i recipienti con il pesce in vendita, sgabello dove è seduta una signora.
Potevano contenere, in precedenza, vernice o altro. Sarebbe stato simpatico riprenderne qualcuno non troppo vecchio ancora con la scritta del contenuto.
Tutti quei contenitori azzurri che s’intravedono spesso?
E quel piede sul banco affianco ad un attrezzo, ripreso in parte, che poteva interessare conoscerne l’utilizzo. E ancora dopo il piede e l’attrezzo certamente un’illusione ottica, forse causato dal ritocco della foto, sembra acqua che scende da un rubinetto.
1.21 la cassetta divisa in tre parti con lo stesso materiale che cosa contiene, non mi sembra pesce.
1.34 non hai ripreso il lavoro della pulizia del pesce, che sarebbe stata interessante vedere, di quella signora con quel volto scavato dagli anni e dal lavoro.
Spero che non tutti i turisti la pensano come te e comprano il batik.
Immagino la tua casa piena di oggetti comprati in viaggio e forse un piccolo pezzo di stoffa che ti ricordava sguardi di musica e cordialità potevano mescolarsi, e forse prevalere con le sensazioni che descrivi, fra tutti gli altri ricordi .
Mercato di pesce e frutta. Ma quale frutta? Banane e… banane.
Intravedo solo povertà , solo un banco ha un piano (1.23) adeguato con mattonelle bianche.
Sei riuscito a fotografare una ragazza (2.58) con in mano una penna o mi sbaglio.
La foto più bella rimane il bimbo, che miniatura.
Ho un poco esagerato con questi commenti inutili.
Comunque il tuo commentatore ha ragione: in qualsiasi paese bisognerebbe visitare mercati e supermercati
come il giro della città in autobus turistico per chi ha poco tempo per visitare.
Un Abbraccio all’alba. buona giornata.
direi che sono frittelle oppure focacce quelle che la donna sta friggendo nell’olio, e potrei anche averne assaggiata una, non ricordo bene, ma credo di no. impossibile commentare un sapore che forse non si è neppure voluto assaggiare, bisognava farlo al momento, quindi ma il netbook in questo viaggio era oramai fuori uso.
non ho visto il riflesso di cui parli a 0.12: c’è solo un furgone pieno di sacchi, mi pare. 🙂 – anzi no, ora ho visto meglio, stai parla di di uno dei soliti risciò a pedale che hanno decorazioni in vari punti e questo sembra dipinto di azzurro.
purtroppo il mio programma videomaker non gestisce i video ad alta definizione della videocamera e per poterli montare devo prima trasferirli in un formato molto degradato e a bassissima risoluzione: questo rende anche molto del mio lavoro sui videoclip piuttosto sprecato, perché i video escono di qualità molto scadente, ed ecco che questi dettagli si perdono.
i banchi sono quelli che c’erano, ed era un mercato, anche se a te sembra quasi una mensa, ma non vedo nessuno seduto a mangiare… 🙂
eh eh, e poi a molte altre curiosità non so proprio rispondere, anche perché sono di un occhio molto attento ed esperto, diverso dal mio che si è fermato in superficie e neppure si è posto molti problemi.
quel che si vede a un certo punto non è un effetto ottico, è davvero acqua che scende da u tubo e si perde nel pavimento del mercato.
sul batik hai proprio ragione: è stato un delitto non comperarne, ma rimedierò al prossimo viaggio… 🙂
mi fa piacere che il video ti sembri frettoloso (di solito mi aspetto la critica opposta…), ed effettivamente le riprese lo sono state, tanto è vero che molte immagini sono ricavate all’interno di foto più grandi e di gruppo, e alla fine ho abbandonato il mercato troppo presto perché il tempo passava, girovagando per Cirebon e i suoi aspetti minori, e sembrava tempo perso…, che non facevo il bravo turista, pensa te.
ci saranno però per fortuna ancora altri video di mercati indonesiani vissuti con più abbandono: all’inizio di questa giornata ero in una specie di ansia da turista frustrato: quasi da una settimana in Indonesia con la sensazione di avere visto troppo poco soprattutto nei due giorni precedenti.
poi Cirebon mi ha riempito in questa sola giornata del 27 aprile di esperienze ed emozioni aldilà di ogni immaginazione, considerando che non è affatto una meta turistica classica di Giava e invece non ha finito di emozionarmi, come si vede dai video dedicati a lei che si stanno avviando a essere una decina.
ti sembra di essere stata troppo analitica nel commento? e che dici della risposta?
L’ha ripubblicato su cor-pus-zero.