questo post in Germania l’ho soltanto abbozzato, come insieme di appunti non terminati a seguito della lettura o meglio rilettura del libro di Michael Baigent e Richard Leig, Verschlussache Jesus. Die Wahrheit ueber das fruehe Christentum, 1a Edizione 1991, edizione attualizzata 2006: lo tradurrei così: Il caso di sequestro Jesus. La verità sul primo cristianesimo: libro, che non mi risulta tradotto in italiano.
nel pubblicare il post completato posso finalmente avvalermi di internet, e mi rendo conto quanto questo strumento sia diventato indispensabile all’operazione stessa della scrittura per me.
il libro di Baigent e Leig si occupa dei famosi rotoli del Mar Morto, che in realtà in Italia mi paiono quasi degli illustri sconosciuti: lo fa contestando delle verità ufficiali che da tempo non reggono alla critica, secondo ma, ma prospettando una sua “verità” che trovo assai pasticciata e confusa.
e quindi eccomi nel mio ruolo preferito di perfetto outsider, a Dio spiacente e ai nimici sui, a criticare questi autori troppo faciloni nella loro critica e a prospettare delle problematiche aperte.
dubito che questo post possa risvegliare l’interesse di alcuno, ma se dovesse servire a suscitare un minimo di curiosità, ricordo che i rotoli del Mar Morto, scoperti in alcune grotte a Qumran nel 1947, sono ancora tuttora universalmente attribuiti agli Esseni.
e che il problema aperto del loro rapporto con la predicazione di Jeshu, al cui stesso contesto storico e culturale appartengono, è stato recentemente affrontato dal papa emerito Ratzinger sostenendo la tesi, assai audace perché cinquant’anni fa era giudicata poco meno che ereticale, che Jeshu stesso fosse esseno.
mi sono occupato delle tesi traballanti tesi storiche di Ratzinger in questo post, 133. Gesù, è immaginario lo Jeshu del nuovo libro di Ratzinger., ma l’anno scorso, quando l’ho scritto, non avevo ancora le idee chiare sul problema dei rotoli di Qumran; e infatti si può leggere in quel post: “la comunità di Qumran, dove furono elaborati i cosiddetti rotoli del Mar Morto”.
ero ancora influenzato dalla tradizione creatasi su questi rotoli; con questo post mi distacco definitivamente da questa falsa supposizione, come potrà verificare chi avrà la pazienza di leggerselo.
comunque, anticipando qui, secondo una comune regola giornalistica, vorrei qui suscitare il dubbio, credo fondato, che i rotoli conservati a Qumran NON siano stati anche scritti a Qumran: come fanno anche Baigent e Leigh, ma senza riuscire a ricavarne tutte le conseguenze necessarie e aumentando la confusione piuttosto che diminuirla, come si vedrà in qualche post successivo.
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il primo che parla degli Esseni è Filone di Alessandria, un intellettuale ebreo vissuto in Egitto dal 13 a.C. al 45 d.C. che scrive in greco, quindi un contemporaneo di Jeshu, ma stranamente non fa mai il minimo accenno a lui, anche se invece si occupa ampiamente degli Esseni, che lui chiama Essaioi, (Filone deduce il nome di Esseni dalla parola greca per “santo”, hosios: gli Esseni quindi erano per lui “i santi”).
in particolare lo fa nell’opera Quod omnis probus sit liber“ (Come ogni uomo onesto sia libero); la citazione che riguarda gli Esseni è piuttosto lunga, ma vale la pena di leggerla perché pone alcune premesse del discorso successivo:
“[…] La prima cosa su costoro è che abitano in villaggi, fuggendo dalla città a motivo delle empietà che abitualmente in esse si commettono dagli abitanti, ben sapendo che la loro compagnia avrebbe un effetto deleterio sulle loro anime come una malattia portata da una atmosfera pestilenziale. Tra loro, alcuni lavorano la terra, altri esercitano mestieri diversi che cooperano alla pace rendendosi utili a se stessi e alloro prossimo. Non accumulano argento e oro, né si appropriano di vaste tenute con il desiderio di trarne vantaggio. ma semplicemente per procurarsi il fabbisogno essenziale per la vita.
Mentre in tutta l’umanità sono pressoché gli unici a vivere senza beni e senza possedimenti, per la libera elezione e non per un rovescio di fortuna, si giudicano straordinariamente ricchi giacché ritengono che la frugalità con la gioia sia come in realtà è, un sovrabbondante benessere.
Tra di loro invano si cercherebbe un fabbricante di frecce, di giavellotti, di spade di elmi, di corazze, di scudi, di armi, di macchine militari o di qualsiasi strumento di guerra o di oggetti pacifici che potrebbero essere usati per fare del male. Neppure in sogno hanno la benché minima idea del commercio grande o piccolo o della navigazione: respingono infatti quanto potrebbe eccitare in loro la cupidità.
Fra di loro non v’è neppure uno schiavo: tutti sono liberi e si aiutano l’un l’altro. Non solo condannano i padroni come ingiusti in quanto ledono l’uguaglianza, ma anche come empi poiché violano la legge naturale che ha generato e nutrito tutti gli uomini allo stesso modo, come una madre, facendone veramente dei fratelli, non di nome, ma in realtà. Questa parentela fu lesa dall’astuta cupidità che le ha inferto dei colpi mortali, installando l’inimicizia in luogo dell’affinità, l’odio in luogo dell’amore…
[…] Studiano con grande impegno l’etica servendosi costantemente delle leggi dei loro padri, che l’anima umana non avrebbe potuto concepire senza la divina ispirazione.
In queste leggi si istruiscono in ogni tempo, ma soprattutto nel settimo giorno. Il settimo giorno è, infatti, giudicato sacro e in esso si astengono da tutte le altre occupazioni per radunarsi in luoghi sacri che chiamano sinagoghe. Quivi, sistemati in file secondo l’età, i giovani sotto gli anziani, si siedono in modo conveniente con le orecchie pronte ad ascoltare.
Uno di loro prende poi i libri e legge a voce alta, mentre un altro, tra i più istruiti, si fa avanti e spiega ciò che non è di facile comprensione. Generalmente, tra loro l’insegnamento è impartito per mezzo di simboli secondo un’antica tradizione.
Imparano la pietà, la santità, la giustizia, le virtù domestiche e civiche, la conoscenza di ciò che è veramente bene o male o indifferente, la scelta di ciò che si deve fare e ciò che si deve evitare. In questo si servono di queste tre norme basilari: l’amore di Dio, l’amore della virtù, l’amore degli uomini. […]
Prima di tutto non v’è alcuna casa che sia di proprietà di una persona: ogni casa è di tutti. Giacché oltre al fatto che abitano insieme in confraternite, la loro casa è aperta a tutti i visitatori, da qualsiasi parte giungano, che condividono le loro convinzioni.
In secondo luogo, hanno un’unica cassa per tutti e le spese sono comuni: in comune sono i vestiti, in comune è preso il vitto, avendo essi adottato l’uso dei pasti in comune.
Una maggiore realizzazione dello stesso tetto, dello stesso genere di vita e della stessa mensa invano la si cercherebbe altrove. Giacché tutto ciò che ricevono come salario giornaliero del lavoro non lo conservano in proprio, ma lo depongono nel fondo comune, affinché sia impiegato a beneficio di tutti quanti desiderano servirsene.
Non sono trascurati i malati per il fatto che non possono produrre nulla. Infatti, quanto occorre per curarli è a loro disposizione grazie ai fondi comuni e non temono di fare larghe spese attingendo a ricchezze sicure. I vecchi sono circondati di rispetto e cure come genitori assistiti nella loro vecchiaia da veri figli con larghezza generosa, aiutandoli con innumerevoli mani e circondandoli di premurosa attenzione…”
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Plinio, Naturalis historia, 5, riprende il tema degli Esseni (che lui chiama proprio così, con parola latina) nella sua descrizione geografica del Mediterraneo, quando passa dall’Africa nord-orientale alla Palestina e al Mar Morto, e scrive:
Sul lato occidentale gli Esseni si tengono lontani dalla riva, nella parte in cui è inadatta e dannosa alla vita, gruppo solitario e straordinario più di ogni altro in tutto il mondo, completamente senza donne, per avere completamente rinunciato al sesso, senza denaro e compagni soltanto delle palme.
Di giorno in giorno il loro numero si rinnova mantenendosi nello stesso livello grazie alla folla degli adepti, perché vi è una grande quantità di persone che frequentano coloro che, stanchi della vita, sono trascinati a vivere come loro dalle onde del destino.
E così per migliaia di secoli, incredibilmente, si mantiene un gruppo nel quale non nasce nessuno. Così feconda è per loro la penitenza della vita che fanno altri.
Al di sotto di loro c’è il borgo fortificato di Engada, secondo a Gerusalemme per fertilità e per i palmeti, ma ora – il secondo – distrutto da un incendio.
Più in là vi è la fortezza di Masada su uno sperone roccioso e questo non lontano dal Mar Morto. E fino a qui c’è la Giudea.
quanto a Masada, sede dell’ultima disperata resistenza ebraica, conclusa da un suicidio di massa nel 73 d. C., su questo blog se ne è parlato qui: R.R., il suo Israele, 9. Mai più Masada cadrà – La fortezza di Erode il Grande, simbolo della libertà del popolo ebreo – oppure?
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non è difficile identificare il borgo fortificato di Engada, di cui parla Plinio il Vecchio, col piccolo villaggio di Ein Gedi, tuttora esistente.
Nella sua opera Plinio cita la conquista romana di Gerusalemme del 68 d.C.; quindi la versione che è giunta a noi è stata quanto meno rifinita, se non completamente composta, tra il 68 e il 79, l’anno della tragica morte di Plinio il Vecchio, durante l’eruzione del Vesuvio;sembra anzi che Plinio abbia visitato di persona i luoghi nel 75 d.C..
Quando Plinio parla della città di Ein Gedi al passato, fa riferimento, appunto alla sua distruzione nel corso della guerra giudaica; distruzione alla quale la comunità degli Esseni è evidentemente, secondo lui, sopravvissuta, dato che di loro parla al presente, come di un gruppo ancora attivo e per lui tuttora vitale, anzi, nel riferimento a coloro che vi approdano, travolti dalle onde del destino, non è difficile vedere un’allusione ai profughi della guerra. (pag. 233).
Plinio scrive peraltro che gli Esseni vivevano “al di sopra” di Engada, cioè, come è naturale intendere, visto che sottolinea anche che gli Esseni si tenevano lontani dal Mar Morto e vicini ai palmeti, sulle pendici montuose ad occidente della cittadina; e usa un’espressione diversa, “più in là”, per indicare che Masada era a sud.
siamo a circa 30 km a sud dalla località dove sono stati trovati i rotoli nascosti nelle grotte e dall’edificio i cui resti sono stai successivamente individuati in un costone sottostante, Khirbet Qumran, appunto, quasi allo sbocco del Wadi Kumran, di cui raccoglieva le acque occasionali con un sistema di canalizzazione.
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tra Qumran ed Ein Gedi si trova anche qualche altra località: Ain Keshkha, un paio di km a sud, che ha alle spalle Khirbet Mirb e più lontano Bethlehem; poi Ain el Ghuweir, prima di arrivare a El Gedi.
Secondo Baigent e Leigh (pag. 324) “il prof. Yizhar Hirschfield ha compiuto degli scavi sulle alture alle spalle di Ein Gedi e trovato 25 piccole celle o locali così come parecchi di quelli che sembrano bagni rituali. Non vi sono state trovate ossa di animali, il che può confermare le espressioni sul vegetarianesimo degli Esseni. Nel suo complesso il luogo sopra Ein Gedi sembra essere stato caratterizzato da una vita ascetica comunitaria, che coincide con la rappresentazione degli Esseni fatta da Giuseppe Flavio. Finora il professor Hirschfield non ha potuto portarne alcuna prova, ma cresce la verosimiglianza che questa supposizione sia giusta”.
la tesi di Hirschfield, morto nel 2006, che proprio questa, e non Qumran, sia in effetti la sede degli Esseni di cui parla Plinio il Vecchio, non è stata accolta dagli altri studiosi in genere; nel 2004 tuttavia Hirschfield ha scritto un libro, Qumran In Context, per sostenere, anche sulla base dell’analisi dei resti archeologici di Qumran, che lì vi era non la sede della comunità degli Esseni, ma una casa padronale della Giudea.
E’ sorprendente peraltro che, nel deserto giudaico, la tradizione cristiana ortodossa abbia poi costruito monasteri per una vita di nuovo quasi eremitica che si è come riprodotta ad istanza del luogo, anche se la forma religiosa di questo modo di vivere era cambiata.
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ora, nel 1947, è circa 30 km a nord di questa località, quasi all’estremità nord-occidentale del Mar Morto, a non grande distanza da Gerico e neppure da Gerusalemme, che in alcune grotte sulle pendici montuose che scendono a picco nella depressione, viene trovato il famoso deposito di antiche pergamene e papiri, noto come Rotoli del Mar Morto, chiusi in anfore, assieme ad altro materiale, come la descrizione su un rotolo di rame dei tesori del tempio di Gerusalemme o un’ampolla, depositata con molta cura che contiene olio di balsamo, del tipo usato per l’unzione di re e sacerdoti del popolo di Israele.
Non distante, alcuni scavi, poco dopo, portano alla luce i resti di un edificio, appunto.
L’identificazione scatta al volo: si tratta degli Esseni, che hanno composto quei testi (che contengono tra l’altro delle regole di vita di una comunità) e questa è la loro sede.
Che mirabolante coincidenza: il primo ritrovamento archeologico che viene compiuto in una regione estesa per decine di km, per quanto desertica, ci avrebbe portato proprio al deposito dei libri sacri di questa setta, e le rovine sottostanti sarebbero proprio quelle del loro insediamento di cui parla Plinio, anche se veramente quel che ne dice fa pensare che fosse trenta chilometri più in a sud.
Ma la suggestione è così forte! e siccome sulla scoperta si è costruita, dopo decenni di pubblicazioni, un piccola industria turistica con i pullman che portano i pellegrini a visitare la sede degli Esseni, sarà praticamente impossibile liberarsi di questa leggenda che troppi hanno interesse a mantenere.
Tuttavia proviamoci: prima di tutto in base alla verosimiglianza e poi ai dati archeologici.
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La verosimiglianza dice che, se a Qumran c’era la sede degli Esseni e gli scritti e gli altri oggetti furono nascosti nelle grotte per salvarli dalla distruzione, non sarebbe stato sensato nasconderli proprio nelle vicinanze immediate del luogo dove erano in origine prodotti e conservati, il che rendeva molto più facile ritrovarli; al contrario c’è da pensare che non dovesse esserci un legame tra questo nascondiglio e il luogo sottostante che potesse indurre a cercare nelle vicinanze.
Il luogo sottostante poteva semmai essere utile come marcatore del terreno, come punto di riferimento per un ritrovamento più facile delle grotte; in questo senso vi era certamente un rapporto fra la decisione di nascondere quegli oggetti proprio lì e l’edificio sottostante, ma questo riferimento era l’unico e quell’edificio non era sede degli Esseni.
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Una torre di difesa, costruita su muri spessi un metro; cisterne per la raccolta dell’acqua o per i bagni, un cimitero tra l’edificio e il Mar Morto, con 1.200 tombe di uomini, donne, bambini; una fucina per la fabbricazione di armi, tra cui frecce, che sono state trovate all’interno.
Le monete trovate nelle rovine appartengono nel numero di 135 al periodo fra il 104 e il 76 a.C.: questo corrisponde certamente alla prima costruzione dell’edificio e il 76 fu l’anno di un suo primo abbandono quasi completo: per il periodo successivo dal 76 al 37 a.C. Si trovano in tutto 10 monete; una modesta ripresa dell’occupazione del luogo si ebbe certamente dal 37 a.C. al 6 d.C., ne restano 26 monete; una successiva fase di utilizzazione intensa del luogo è quella che va dal 6 al 44 d.C., periodo del quale restano 169 monete; una fase successiva, fino alla guerra giudaica che inizia ne 67, vede nel luogo solo due monete, sempre che non appartengano al momento successivo anche loro; invece, in corrispondenza della guerra 67-73 d.C. si ha la concentrazione di monete più alta: 114 monete, di cui 83 ebraiche, del primo anno della rivolta, il 67, e 19 romane degli anni successivi fino al 73, anno della presa di Masada, 50 km più a sud. Qualche altra sparuta moneta, 14 in tutto, per il periodo successivo, fino alla ribellione di Bar Kochba, da 132 al 136, periodo del quale restano in particolare 6 monete, e che fu occasionalmente visitato anche in seguito e durante l’ultima grande ribellione ebraica.
Questo indica che il luogo ebbe una funzione precisa durante la prima guerra ebraica.
Golb sostiene che si trattava di un edificio con funzione militare (p. 221): nell’edificio non è stato trovato il più piccolo resto di papiro e neppure di strumenti per scrivere in quantità, a parte quattro penne, che però è in ritrovamento normale, dato il piccolo numero, per una fattoria: Golb pensa che i manoscritti furono prodotti altrove e trasportati lì per sicurezza; e ha ragione!
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gli Esseni non usavano denaro, e il luogo contiene invece centinaia di monete; che erano vegetariani, e vi si trovano invece ossa di animali, evidenti resti di pranzi; che vivevano in genere separati dalle donne, mentre il luogo dà invece segni evidenti di una numerosa presenza anche femminile e comprende un cimitero con tombe di donne e bambini: giusto quei bambini la cui mancanza, secondo Filone e Plinio, rendeva così strana la vita degli Esseni…; da ultimo vi sono stati trovati per fino un gioiello e resti di cosmetici…
Filone di Alessandria, Quod omnis probus iber sit, già citato, più avanti, al capitolo 12 (pag. 234) dice che gli Esseni si differenziavano da tutte le altre correnti dell’ebraismo di allora perché non sacrificavano animali; sottolinea espressamente che attorno a loro non si trovavano fucine per fabbricare armi; e proprio quella che appare in tutta evidenza una fucina si trova invece nelle rovine di Qumran.
Tutto fa pensare che quella fosse una fattoria fortificata, come ha sostenuto infatti inutilmente Hirschfield.
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Nessuna relazione quindi fra l’edificio e gli Esseni, ma nessuna relazione probabilmente neppure fra gli Esseni e i testi conservati nelle grotte vicine.
Provare la prima affermazione è più facile e, nonostante il consensus quasi universale degli studiosi, mi pare che gli argomenti contrari siano veramente insuperabili; quanto alla seconda, occorre vedere meglio, anche perché, se non si attribuiscono i testi alla comunità degli Esseni si deve potere indicare da quale altro ambiente provengono.
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qui mi sono fermato nei miei appunti tedeschi; data la lunghezza assunta dal post con le integrazioni di oggi, non mi pare il caso di continuare, ma rinvio questa ulteriore trattazione a un momento successivo.
mi segno soltanto, come esito di una prima rapida ricerca in internet questo articolo che prospetta appunto la tesi verso la quale mi sto orientando anche io: le grotte di Qumran non contengono testi specificamente Esseni, ma testi di vari origine e in particolare sono un deposito anche di oggetti sacri provenienti dal tempio di Gerusalemme, nascosti durante l’assedio romano di Gerusalemme: Risolto il mistero dei Rotoli del Mar Morto?
questo modifica in modo sostanziale la nostra conoscenza del quadro culturale e religioso in cui si sviluppò l’azione religiosa di Jeshu e dei suoi primi seguaci, con conseguenze veramente determinanti sul senso stesso della fede cristiana.
che vedremo prossimamente.