accostando le lettere di Paulus alle lettere platoniche, nel post precedente di questa serie, non immaginavo in quale ginepraio sarei andato a mettermi, sfiorando una serie di questioni veramente gigantesche, che adesso non ho tempo di affrontare, ma che meriterebbero di aprire un nuovo capitolo tutto dedicato ai falsi platonici.
per ora, astenendomi dalla tentazione di provare dimostrare come anche la tradizione laica sulla vita di Platone possa essere inficiata dal peso di falsi non riconosciuti o riconosciuti solo parzialmente, mi limiterò a sviluppare questa affermazione che si trova nel post di questa serie precedente a questo:
le “false lettere platoniche appaiono un possibile modello delle lettere paoline, – dato – che il tema centrale della maggior parte delle lettere attribuite a Platone sono i suoi viaggi e che nell’insieme esse costituiscono una specie di piccolo romanzo biografico, anche se in apparenza cronologicamente dissestato…”.
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ma, sulla base delle regole comunicative del blog, anticipo qui alcune osservazioni conclusive di questa analisi:
a) almeno in parte le lettere platoniche documentano l’abitudine a lavori di composizione di finte lettere su situazioni date con riferimento alla vita di personaggi famosi – poi sopravvissuta nei secoli, almeno in parte fino ai giorni nostri, come esercitazione scolastica.
b) le lettere platoniche hanno un unico e chiaro tema dominante, che è l’azione politica indiretta di Platone, con particolare riferimento alla città di Siracusa; le lettere di Paulus sono notoriamente dedicate alla descrizione in azione della sua attività di proselitismo. Platone rimase sempre estraneo alla politica di Atene; il che induce a pensare che la costruzione di questa raccolta di lettere che costruiscono la leggenda del suo intenso rapporto con Siracusa ed altre realtà politiche del tempo nella veste di consigliere politico mirasse appunto a colmare una specie di lacuna della sua immagine.
c) le lettere platoniche possono costituire un modello di quelle paoline prima di tutto per il numero: sono 13, rispetto alle 14 attribuite a Paulus – numeri peraltro variabili, a seconda della accettazione o meno di alcune attribuzioni, ma sostanzialmente simili.
d) le lettere platoniche possono costituire un modello di quelle paoline per la mancata distribuzione secondo un ordine cronologico, anche se poi quelle platoniche appaiono il risultato di un assemblaggio di testi di origine diversa, a volte incoerenti fra loro, mentre quelle paoline hanno una struttura narrativa di insieme coerente al suo interno; inoltre le lettere paoline sono distribuite in due gruppi (destinatari pubblici e destinatari individuali) e in ciascun gruppo distribuite per lunghezza, il che comporta un simile disordine cronologico; è possibile dunque che questo modello di mancato ordinamento cronologico delle prime abbia agito nella distribuzione delle seconde esimendo dal rispettare parallelamente la sequenzialità.
in altri termini, pur se lettere paoline sono state composte in tutta evidenza seguendo uno schema narrativo interno, siano esse autenticamente prodotte dall’autore oppure no, sono poi state distribuite in modo cronologicamente disordinato, così che il risultato conseguito è simile al disordine narrativo di quelle platoniche.
e) il tema di fondo delle lettere platoniche sono i viaggi di Platone a Siracusa per realizzarvi le sue idee e le indicazioni a suoi seguaci su come realizzare azioni politiche filosoficamente ispirate; il tema di fondo della raccolta delle lettere paoline sono i diversi viaggi di Paulus in vari paesi del Mediterraneo orientale per dirigere e coordinare l’azione delle chiese cristiane.
in altri termini Paulus figura come un Platone potenziato, pur se religiosamente e non filosoficamente ispirato: tuttavia la sua azione di coordinamento risulta più efficace.
f) le lettere attribuite a Platone nel momento in cui vengono raccolte nel loro insieme assumono lo scopo di definirne la vera dottrina politica rispetto ad interpretazioni che vengono considerate fallaci, con qualche spunto polemico diretto; questo carattere si ritrova anche nelle lettere paoline, dove è ancora più sviluppato da numeroso polemiche dirette e indirette, ma è chiaro l’obiettivo di definire una chiara e possibilmente univoca dottrina paolina (scopo in parte poi offuscato dai numerosi rimaneggiamenti e interventi di mani diverse).
g) le lettere palesemente false di Platone ricorrono alla narrazione di episodi estremamente minuti e legati alla quotidianità, introducendo personaggi a volte conosciuti a volte no, con indicazioni spicciole di comportamenti, per dare al lettore l’impressione della autenticità; le lettere paoline usano la stessa tecnica.
h) in un caso in una lettera di Platone chiaramente falsa, allo scopo di contrastare dubbi possibili sulla sua autenticità, si fa riferimento alla chiara riconoscibilità della scrittura; la stessa tecnica è usata più di una volta nelle lettere paoline.
nel seguito per alcuni di questi punti si mostreranno alcuni parallelismi concreti, a volte di impressionante analogia.
i) nonostante le lettere platoniche non siano il frutto di un disegno preordinato, ma dell’accostamento casuale di documenti di origine molto diversa fra loro, l’immagine conclusiva che ne esce per il lettore comune è quello di una autobiografia avventurosa e frammentaria: lo stesso quadro che verrà prodotto dal successivo epistolario paolino.
queste considerazioni non hanno certamente alcun carattere di prova rispetto al problema della autenticità delle lettere paoline di per se stesse, ma certamente inducono a pensare che l’autore, chiunque fosse, aveva ben chiaro il modello platonico e aveva preso visione di questa raccolta.
chi ha raccolto le lettere paoline (se è stata persona diversa da chi le ha scritte) aveva certamente ben chiaro il modello delle lettere platoniche e ha voluto presentare Paulus come una specie di Platone cristiano, ma ancora più grande di lui.
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si rende necessaria a questo punto una descrizione piuttosto analitica di come si presenta la raccolta delle Lettere platoniche messa da Trasillo in appendice alla sua edizione completa delle opere di Platone (anzi, un po’ più che completa, vista la presenza di alcuni falsi anche tra le opere).
chi vuole può saltare questa parte e passare direttamente alle ulteriori conclusioni dopo l’esame della lettera n. 13.
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1. la prima lettera, Platone a Dionisio con l’augurio che stia bene, piuttosto breve, non più di una paginetta, sarebbe scritta nel 360 a.C. o poco dopo da Platone per restituire a Dionisio una somma di denaro prestatagli “per il terzo viaggio di ritorno dalla Sicilia”; “nessuno oggi crede alla sua autenticità” (Antonio Maddalena, Platone, Opere, vol. II, pag. 1.035); “è una esercitazione retorica infiorata di citazioni dei poeti”.
questa mi pare una chiave di lettura da non sottovalutare: ancora quando ero ragazzo c’era l’abitudine nelle scuole di esercitare alla scrittura ponendo come tema da sviluppare delle lettere immaginarie: alcune di queste lettere platoniche hanno proprio l’apparenza di esercitazioni scolastiche; la prima ne è certamente un esempio.
questa lettera non ha neppure l’apparenza della autenticità e dimostra piuttosto proprio il tratto di una mano infantile:
“Tu, tiranno come sei, resterai solo”;
“Ma, dopo che fui a capo della vostra città con pieni poteri – ma quando mai??? –, mi mandaste via più oltraggiosamente che un mendico”;
“Addio: riconosci che hai gravemente peccato contro di me, e ti comporterai meglio con gli altri”.
il tono, come si vede, è quello di un aspro contrasto.
non manca in essa qualche dettaglio che ha la precisione del vissuto, anche se resta pienamente inventato:
“La bella somma che mi desti per la partenza, te la porta Bacchìo, latore di questa lettera”.
dettagli di questo genere sono tanto più precisi, dato che su di essi riposa in ultima analisi la credibilità stessa del testo, quanto più sono immaginari.
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2. la seconda lettera ha lo stesso titolo, Platone a Dionisio con l’augurio che stia bene, (“con l’augurio che stia bene” è del resto la formula di saluto di quasi tutte le lettere tranne una) ed è impostata in modo che sembri risalire a qualche anno prima della precedente, nel 363-64 a.C..
qualcuno la ritiene autentica, ma è ben difficile perfino immaginarlo: uno dei temi centrali di questa lettera è quello della sopravvivenza nel tempo del ricordo della amicizia fra Dionisio e Platone, che proprio non si vede ragionevolmente come Platone potesse sviluppare:
“Entrambi siamo conosciuti da tutti, per così dire, i Greci e conosciuta è la nostra amicizia, nè devi dimenticarti che di essa si parlerà anche in futuro, tanti sono quelli che ne sono informati, perchè è amicizia grande e non celata”.
il tono è ancora quello della esercitazione retorica di scuola:
“Io venni in Sicilia con la fama di sopravanzare d’assai gli altri filosofi”.
altre affermazioni sono decisamente stupefacenti:
“Per questa ragione io non ho mai scritto di queste cose: non esiste e non esisterà mai alcun trattato di Platone.
Quanto ora gli si attribuisce è dovuto a Socrate, bello e giovane.
Animo dunque e dammi ascolto: leggi parecchie volte questa lettera e poi bruciala”.
la parte dove ho interrotto il corsivo e dove si parla di Platone in terza persona è forse una glossa, cioè un commento interlineare?
il Socrate di cui si parla è poi quello che tutti conosciamo oppure è un altro personaggio, Socrate il Giovane?
e come mai la lettera non risulta affatto bruciata? e come mai lo stesso ordine non viene dato per le altre?
per il resto, il testo è logicamente discontinuo e continua a passare da un argomento all’altro senza nessun filo logico.
tuttavia la lettera gronda di dettagli concreti che inducono davvero a dubitare che possa essere vera:
“Ho saputo da Archedemo che tu vorresti che non solo io non mi occupassi dei fatti tuoi”.
“La piccola sfera non è fatta bene: te lo mostrerà Archedemo quando verrà”.
“Su quell’altra questione (…) per la quale tu (…) hai mandato Archedemo, dovrò darti accurate spiegazioni”.
“Questo tu mi dicesti di aver pensato quand’eravamo nel giardino sotto gli allori e che questa era una tua scoperta; ed io ti risposi che, se ti pareva che le cose stessero così, mi avevi liberato della necessità di fare lunghi discorsi”.
“Hai fatto bene a mandarmi Archedemo, ma dovrai mandarmelo ancora”.
“Ti sei meravigliato che ti abbia mandato Polisseno. (…) Di Filistione, se ne hai bisogno, serviti senza riguardo; poi, se ti è possibile, mandalo in prestito a Speusippo. Te ne prega anche Speusippo. Filistione per parte sua mi ha promesso di venire subito ad Atene, se tu lo rilasci.
Hai fatto bene a rilasciare colui che era rinchiuso nelle latomie.
Anche per i suoi familiari e per Egesippo, figlio di Aristone, mi è agevole pregarti”.
nella lettera, come si vede, predomina un tono molto amichevole.
la somma dei dettagli rende quasi irresistibile credere alla autenticità della lettera, nonostante i contenuti lo impediscano del tutto.
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3. la terza lettera, più lunga ancora della seconda, è l’unica che cambia la formula iniziale di saluto, Platone a Dionisio, ma appartiene in evidenza alla stessa serie di esercitazioni di scuola retorica: eccone l’inizio:
“Se io ti scrivo “Platone a Dionisio con l’augurio d’esser lieto”, forse ti faccio l’augurio migliore? o sarebbe meglio augurarti di star bene, come sono solito di fare quando scrivo agli amici?”
questa lettera figura scritta dopo il terzo viaggio in Sicilia del 360 a.C., ma prima della cacciata di Dionisio da Siracusa sd opera di Dione nel 357 a.C..
tuttavia essa presuppone la lettera settima, anzi ne è praticamente un riassunto, anche se questa ha dei destinatari diversi e figura scritta dopo la cacciata di Dionisio e dopo l’uccisione di Dione, cioè dopo il 354 a.C..
questo permette di sviluppare alcune ipotesi, che esporrò illustrando la settima lettera.
il cambiamento del destinatario toglie ogni funzione alla lettera, inutilmente provocatoria e insultante verso Dionisio, di nuovo apostrofato come tiranno – come nella Lettera XIII: lo scopo sarebbe quello di diffidare Dionisio dall’affermare che Platone lo distolse dal realizzare una monarchia costituzionale.
lo scopo vero, invece, appare piuttosto quello di rivendicare l’innocenza di Platone rispetto alla tirannia di Dionisio:
“Fui calunniato abbastanza (…) perché rimasi dentro l’acropoli e quelli fuori attribuirono a me la responsabilità di tutto il male che si faceva, convinti che tu seguissi sempre i miei consigli; tu stesso sai benissimo, invece, che di affari politici, insime con te, io mi sono occupato assai poco di mia voglia (…). Si trattava di piccole cose, soprattutto dei proemi alle leggi (…): Poi ho sentito che qualcuno di voi li ha rimaneggiati”.
ovviamente non ha alcun senso comunicativo scrivere queste cose a Dionisio: questo solo basta a dimostrare che si tratta di pseudo-lettere scritte con funzioni diverse.
ma se queste che abbiamo finora esaminato, sono esercitazioni di scuola, palesemente di autori diversi per capacità e stile, non ha neppure senso cercare in loro un senso complessivo: ognuna ha il suo, particolare, e si fa fuorviare chi cerca una coerenza dell’insieme.
si aggiunga che lo storico Diodoro Siculo non sa nulla del secondo e terzo presunto viaggio di Platone a Siracusa e parla solo del primo; per cui anche l’intera situazione (che tuttavia finisce regolarmente nelle biografie platoniche ufficiali e studiate a scuola) è priva di fondamenti storici: qualche maestro di scuola di retorica assegnò ai suoi scolari il tema di lettere immaginarie per viaggi immaginari di Platone in Sicilia; gli scolari svolgevano i temi assegnati con tutta la loro fantasia ed inesperienza giovanile; alcune dissertazioni che sembravano particolarmente ben fatte finirono nell’edizione completa delle opere di Platone e ne segnarono una biografia immaginaria di filosofo prestato alla politica, che ha avuto un enorme successo per 2.000 anni di leggende.
ma di nuovo la verosimiglianza intrinseca, che manca a questo testo nel suo insieme, viene ricreata attraverso il racconto di aneddoti molti concreti: uno, in particolare, manca del tutto nella settima lettera che ispira questa e non è neppure coerente col racconto dei fatti lì presentato: in questa infatti si dice che nell’ultimo periodo del terzo soggiorno di Platone a Siracusa non vi furono più rapporti diretti diretti fra lui e Dionisio:
“Alla presenza di Archedemo e Aristocrito, circa venti giorni prima che io partissi da Siracusa per ritornare in patria, mentre ci trovavamo nel giardino… (…) Poi, sempre in loro presenza, mi domandasti anche se ricordavo che… (…). Io risposi che me ne ricordavo benissimo (…). Devo però ricordare anche il seguito della conversazione (…)”.
la funzione di questi passaggi è nulla dal punto di vista di una comunicazione reale, ma ha l’unico scopo di dare una apparenza di realtà all’invenzione.
(chi legge le lettere di Paulus si trova continuamente davanti a passaggi di questo genere…).
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4. nella quarta lettera, Platone a Dione Siracusano con l’augurio che stia bene, il destinatario, come si vede, è diverso: questa è di nuovo breve, della misura di circa una paginetta e figurerebbe scritta dopo la presa del potere da parte di Dione, quindi verso il 356 a.C. ed esprime un sostegno molto generico; in sostanza è una lettera senza alcuna finalità pratica visibile; sembra che l’autore stesso se ne renda conto:
“Forse tu troverai ridicolo che io ti dica queste cose, perché sono cose che sai bene anche tu; ma io vedo che negli spettacoli anche i fanciulli incitano gli atleti”.
penso che questa voce, “fanciulli”, sia inconsapevolmente autobiografica.
nel testo, del resto, balza evidente un contrasto illogico tra il tono entusiasta dell’inizio e la conclusione, che sembra una secca presa di distanze:
“Rifletti anche che molti ti considerano troppo poco cortese e che nulla si può fare se non si gode il favore degli uomini e che l’arroganza è tutt’uno con l’isolamento. Buona fortuna”.
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5. nella quinta lettera, sempre breve, Platone a Perdicca con l’augurio che stia bene, un destinatario ancora una volta diverso: Perdicca III, fratello maggiore di Filippo e dunque zio di Alessandro Magno, fu re della Macedonia dal 366 al 359.
ci troviamo dentro la cupa storia delle lotte dinastiche attorno al regno di Macedonia.
Alessandro II era stato re del paese dal 370 al 368 a.C., dovette combattere su più fronti e sconfisse un pretendente al trono, Pausania; ma fu assassinato quasi subito, poco più che ventenne, ad opera del cognato Tolomeo di Aloro durante una festa.
questo divenne reggente per conto del fratello più giovane di Alessandro II, Perdicca, che era ancora minorenne; appena divenne maggiorenne Perdicca fece però uccidere Tolomeo e prese il suo posto nel regno nel 365 a.C.; regnò però solo sei anni, e fu ucciso in battaglia nel 359 a.C.
il suo successore fu poi il figlio Aminta IV, ancora un bambino, ma fu spodestato da Filippo II (il padre di Alessandro Magno), il quale anni dopo nel 336 a.C. fu ucciso in una congiura di palazzo probabilmente guidata dal figlio stesso.
a Perdicca, nel breve periodo del suo regno (366-359 a.C.), scriverebbe dunque Platone questa lettera, in risposta ad una sua nella quale gli verrebbe chiesto come servirsi di Eufreo, un consigliere esperto di politica che Platone gli avrebbe mandato, e che, da altre fonti storiche, risulta che avrebbe poi cercato di opporsi ai Macedoni e si sarebbe suicidato dopo esserne stato sconfitto.
la lettera ha un tono amaro e scostante: Platone spiega perché “non ha mai fatto sentire la sua voce in pubblico” :
“Platone è nato troppo tardi nella sua patria e v’ha trovato un popolo oramai troppo vecchio e abituato dagli uomini politici passati a fare troppe cose disformi dai consigli che egli potrebbe dare: il suo popolo egli sarebbe felicissimo di consigliarlo, come se fosse suo padre, ma giudica che si esporrebbe invano al pericolo e non otterrebbe nulla”.
il bello è che lo stesso fa dire in via di immagine a Perdicca stesso:
“Lo stesso – dirai – io credo che farebbe anche con me: se vedesse che io sono incurabile, fattomi un bel saluto, non si occuperebbe più di me né dei miei affari.
Buona fortuna.”
francamente incomprensibile, così come l’Idea che Platone potesse proporsi come consigliere politico, anche solo indiretto, in una situazione come quella sopra descritta.
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6. nella sesta lettera, Platone a Ermia, a Erasto e a Corisco con l’augurio di star bene, ecco destinatari ancora nuovi, ma una lettera sempre di lunghezza modesta: Ermia, un ex-schiavo affrancato di Eubulo, il tiranno di Atarneo e di Asso, città comprese nell’impero persiano, era stato allievo di Platone nell’Accademia di Atene da lui fondata, aveva governato con l’ex padrone le due citta` sopra ricordate e poi ne era diventato tiranno al suo posto; è ricordato storicamente soprattutto perché presso di lui qualche anno dopo si recò Aristotele, che ne sposò la figlia; Ermia fu uccisio nel 341 a.C. mediante crocifissione dal re persiano Artaserse per un tentativo di intesa con Filippo di Macedonia.
siamo di nuovo in un quadro di contesto non lontano da quello della lettera precedente, ai confini del mondo greco, in situazioni politiche tumultuose e in lotte di potere sanguinarie: a giudicare dalle lettere non pare che Platone frequentasse, sia pure a livello soltanto epistolare, delle buone compagnie.
la lettera, nella quale Platone (inteso come personaggio e non come autore) si definisce vecchio – teniamo conto che morì a ottant’anni 7 anni prima di Ermia nel 348 a.C. -, propone a Ermia e ad Erato e Corisco di diventare reciprocamente amici e di rivolgersi a lui, Platone, nel caso ipotetico di dissensi.
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della settima lettera, Platone ai familiari e aagli amici di Dione con l’augurio di star bene, voglio sottolineare l’importanza e anche la diversità da tutte le altre: è una specie di ampia e caotica autobiografia di Platone, con riferimento particolare, ma non esclusivo, ai suoi rapporti con Dionisio e con Dione; figura scritta poco dopo la morte di Dione, quindi verso il 353 a.C., quando Platone avrebbe avuto 75 anni.
va certamente distinta da tutte le altre per la lunghezza e il rilievo dei temi trattati, sia pure senza alcuna sistematicità e con una serie di passaggi incoerenti che definirei tipicamente “paolini”.
non può appartenere affatto alla categoria delle esercitazioni retoriche alle quali sospetto appartengano le precedenti, in particolare le prime, e credo vada considerata composta in ambienti completamente differenti; ma questo non significa che debba necessariamente essere autentica.
è di nuovo, come la terza che quasi la riassumeva, un manifesto a favore della monarchia costituzionale, ma anche una specie di ampia autodifesa di Platone sul piano politico.
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8. nell’ottava lettera, Platone ai familiari e agli amici di Dione con l’augurio di star bene, i destinatari sono gli stessi della lettera precedente, la collocazione cronologica immaginata è pure la stessa, e anche l’intestazione della lettera è uguale; anche la tesi di fondo è la stessa, favorevole ad un compromesso fra le diverse parti in lotta, anche per non mettere in crisi la stessa presenza greca in Sicilia, e alla istituzione di una monarchia costituzionale, con poteri suddivisi fra più persone; varia però in qualche particolare la descrizione delle circostanze e la lettera nel suo insieme è molto più breve.
metà della lettera ha l’aspetto di un discorso immaginario che Dione farebbe se non fosse già morto da qualche tempo.
rimane incomprensibile la presenza nella stessa raccolta di due lettere uguali agli stessi destinatari, che sostengono sostanzialmente la stessa tesi e non fanno riferimento in alcun modo ciascuna all’esistenza dell’altra.
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9. nella nona lettera, Platone ad Archita di Taranto con l’augurio di star bene, il destinatario è appunto il filosofo, matematico e politico pitagorico, coetaneo di Platone e morto 12 anni prima di lui nel 360 a.C. in un naufragio: i due si erano conosciuti a Taranto nel 388 a.C. circa, durante il primo viaggio di Platone a Siracusa, e unico documentato storicamente da Diodoro Siculo.
Archita è una vera e propria calamita di testi spuri che gli vengono frequentemente attribuiti; nel confronto con Platone i due si sono influenzati a vicenda: il pitagorismo di Archita raccoglie diversi spunti dal platonismo, mentre nella sua filosofia Platone recupera diversi temi del pitagorismo.
questa lettera non è databile esattamente (salvo ovviamente il termine ante quem rappresentato dal 360 a.C., data della morte di Archita), è brevissima e sembra uno stralcio, di nuovo, di una esercitazione retorica, perchè è un generico appello ad occuparsi di politica: esortazione della quale non sembra proprio che Archita avesse bisogno, considerando che fu sette volte stratego della città di Taranto, cioè in pratica la guidò per diversi anni ispirando la sua azione alla equa distribuzione della ricchezza, basata sul principio pitagorico dell’armonia matematica.
l’origine di questo testo, che tra le altre cose contiene una particolare forma verbale entrata in uso molto dopo la morte di Platone, starebbe in un passo frainteso della Repubblica.
insomma, se Archita fu una figura perfino capace, nella pienezza di tante realizzazioni e del ruolo politico di leader esercitato nella sua città, di dare qualche ombra a quella di Platone per il suo disimpegno politico ad Atene, questo induce a pensare che questa lettera così strana abbia appunto il signficato di ridimensionare il ruolo della politica nella vita di Archita, valorizzandolo in quello di Platone, che qui è presentato come il vero ispiratore della sua eccezionale carriera politica.
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10. la decima lettera, Platone ad Aristodoro con l’augurio di star bene, il destinatario è sconosciuto; consiste in pochissime righe sulla vera filosofia.
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11. nell’undicesima lettera, Platone a Laodamante con l’augurio di star bene, il destinatario dovrebbe essere il matematico Laodamante di Taso, che potrebbe essere stato incaricato – se prendiamo questa lettera per buona – di seguire la fondazione di una colonia di Taso nel 350-359 a.C., in opposizione a Filippo di Macedonia, che avrebbe preso il potere giusto quell’anno (ma allora che rapporto potrebbe esserci fra questa lettera di sostegno ad un nemico greco dei Macedoni e la lettera a Perdicca che figura come quinta in questa raccolta?); anche qui la fonte potrebbe essere in una notizia sulla fondazione della colonia data da Diodoro Siculo.
risponde ad una presunta lettera di Laodamante e fa riferimento ad una precedente lettera scritta da Platone (non conservata), invitandolo a venire ad Atene a parlare di persona.
anche questa lettera, come la quarta o la quinta, ha un tono quasi sprezzante (“non avete, io credo, né chi vi possa educare né chi possa essere educato; pertanto non vi resta che pregare gli dei”); l’insegnamento politico contenuto è peraltro diverso da quello di altre lettere che si esprimono per la monarchia costituzionale: qui si sottolinea, in un contesto sempre piuttosto generico, invece, l’importanza di “un uomo valoroso, fornito di grande potere”.
a me pare difficile pensare che possano essere contemporaneamente autentiche lettere che fanno riferimento a sistemi di valori politici così differenti.
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12. la dodicesima lettera, Platone ad Archita di Taranto con l’augurio di star bene, con lo stesso destinatario della nona, è l’unica nella quale si riesce ad individuare con chiarezza l’origine e la finalità del falso: si tratta infatti di un breve biglietto in cui il presunto Platone dichiara di avere ricevuto le memorie di Archita e gli manda un abbozzo non finito delle proprie; la lettera attribuita ad Archita con l’invio delle memorie è conservata da Diogene Laerzio, e tutto l’insieme è semplicemente falso.
e se questo abbozzo di Memorie di Platone si riferisse in realtà invece alla Settima lettera, che ha proprio queste caratteristiche, prima che fosse rielaborata sotto forma di lettera?
sarebbe dimostrato il carattere spurio anche dell’unica lettera della raccolta considerata prevalentemente autentica…
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13. la tredicesima lettera, Platone a Dionisio tiranno di Siracusa con l’augurio di star bene, con lo stesso destinatario delle prime tre, è un esempio da manuale dell’arte della falsificazione: abbandonati i grandi temi filosofici e politici (trattati nelle lettere, comunque, in qualche maniera), la lettera, riconosciuta come falsa fin dal tempo dei primi umanisti e la cui autenticità non è mai stata in discussione come possibile, è una minuziosissima e fantasiosa rassegna di incarichi e momenti legati alla vita quotidiana (un solo esempio, spettacolare: “Ho fatto fare l’Apollo e Leptine te lo porterà: è opera di artista giovane e valente di nome Leocare. Costui aveva un’altra statua che mi è sembrata graziosa; l’ho comperata per farne dono a tua moglie”; ma quasi tutta la lettera è così: con nomi e situazioni di pura fantasia: “Ti mando anche dodici brocche di vino dolce per i fanciulli e due di miele”).
tipico è anche l’esordio della lettera: “Voglio che il principio stesso della lettera ti garantisca della sua autenticità”; segue il racconto di un presunto episodio personale che Dionisio avrebbe potuto ricordare, se fosse mai successo.
anche questa lettera sembra che servisse ad avvalorare a sua volta l’autenticità di altri falsi: “ti mando alcuni scritti pitagorici e delle distinzioni”.
ma dove il falsario supera se stesso è nella conclusione: “Del segno che distingue le lettere che ti scrivo seriamente credo che ti ricordi”.
è irresistibile il ricordo di alcune chiuse di lettere paoline:
“Guardate con che lettere grandi vi ho scritto di mia mano!” Galati 6, 11
“Il saluto l’ho scritto io, Paolo, di mio pugno.” Colossesi 4, 18
“Il saluto è di mio pugno, di me Paolo; esso è il segno che distingue ogni mia lettera.” II Tessalonicesi 3, 17 (la lettera è sicuramente falsa).
frasi di questo genere sono le tipiche prove non richieste che svelano di per se stesse il falsario, documentando se non altro l’ampia circolazione di lettere false.
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ma mi è bastato anche solo avvicinarmi (dopo tanti anni) a problematiche di filologia classica per trovarmi subito immerso nelle tipiche discussioni del settore: per me stesso annoto un’opera, molto interessante peraltro, che dibatte a fondo il problema della autenticità di questi testi uno per uno, attraverso l’esame di una fitta rete di rimandi interni.
ma prima di farmi nuovamente attrarre da questi duelli fra studiosi, che cercano disperatamente all’interno dei testi e soltanto lì la chiave che consenta loro di svelare se una lettera può essere autentica oppure no, io vorrei provare a porre alcune domande trasversali, che fanno riferimento, oltre ai testi, anche ai contesti.
alcune di queste lettere, poco numerose nel loro insieme, sono palesemente false: in alcuni casi riusciamo anche a capire lo scopo specifico per il quale sono state scritte: convalidare altri falsi.
in poche parole, nel mondo antico un libro era materiale altamente prezioso, prodotto grazie al lavoro prolungato di artigiani estremamente qualificati, i copisti; i libri erano molto costosi; quindi un falso libro era un falso d’autore e il mercato delle false opere era del tutto paragonabile a quello delle false opere d’arte oggi: piazzare come autentica una falsa opera di Platone sotto forma di libro era un colpo di fortuna e una grossa fonte di guadagno.
è in questo contesto culturale, ma anche economico, che va vista la comparsa di queste lettere; l’autore dell’edizione delle opere complete di Platone non fa eccezione e in conclusione ci mette dentro testi palesemente falsi (credo anche per lui), che allungano il libro e che vengono fatti pagare come autentici.
è veramente possibile che mescolate alle lettere inequivocabilmente false ci siano alcune lettere vere? e in questo caso come si spiega questa mescolanza?
la rivendicazione della autenticità di alcune lettere da parte di alcuni critici moderni riguarda a volte una lettera soltanto, la settima, a volte anche altre, ma come possiamo spiegare che alcune lettere vere o una sola si siano conservate confluendo all’interno di un gruppo di falsi?
la settima lettera è certamente particolare e credo che sia stata inserita in questa raccolta, messa al centro, come per metterla in evidenza, ed ha sicuramente una origine diversa da tutte le altre; ma questo non basta a definirla autentica.
in ogni caso questa discussione esula dalle finalità del mio studio.
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qui mi basta avere messo sotto gli occhi dell’eventuale lettore l’evidenza di una vera e propria scuola di falsari epistolografi, delle loro tecniche e dei loro trucchi, contemporanei all’epoca di Paulus, definendola per ora genericamente così.
trucchi che ritroviamo assolutamente identici, a volte perfino in modo sorprendente, nelle lettere paoline.
cosa questa che non basta a dichiararle false: tuttavia il sapere delle falsificazioni numerose ed abituali in uso all’epoca in cui esse vennero pubblicate potrà renderci più consapevoli della possibilità che lo siano e meno restii ad accettare questa ipotesi.
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questo post fa parte di una serie organica in via di elaborazione, raccolta con la sigla CCMC Contributi alla comprensione della mitologia cristiana; inserendo nel motore di ricerca del blog in alto a destra la sigla si troveranno anche gli altri.
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