è stato un poco imbarazzante davanti al tassista arrivare nella notte, dopo una corsa di 15 km, all’Hotel Raden Patah di Semarang, ospitato, come dice la guida, “nel cuore del quartiere coloniale della città vecchia“: un palazzo quasi fatiscente, davanti al quale si estende sotto i fanali una specie di immensa piscina fangosa, in altri termini un’enorme pozzanghera, che rende quasi impossibile l’accesso.
trascino il mio trolley all’angolo della via, dove si apre lo spiraglio di un piccolo camminamento all’asciutto che porta all’ingresso; solo l’indomani capirò che questa mezza alluvione, che per me rappresenta quasi il simbolo incarnato di una città degradata, è invece a Semarang un fatto normale che non suscita stupore, visto che mezza città è abituata a finire molto spesso sotto l’acqua: invece di restare perplesso, dovrei rallegrami con me stesso, piuttosto, di essere arrivato ad una specie di Venezia indonesiana, limitatamente all’acqua alta, naturalmente…
per il resto l’hotel, con la sua aria vetusta e depassé, perfettamente adeguata a me, ha perfino una sua grandezza e nobiltà: chi vuole può vedere il solenne cortile in una delle foto del videoclip.
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un riposino veloce, limitato allo stretto indispensabile, e poi si esce, per buttarsi senza troppi distinguo nel primo ristorantino ancora aperto: piastrelle bianche, lavandino modestissimo nella sala, per rispettare il rito islamico della abluzione delle mani prima del pasto, gente semplice.
e grandi quadri dappertutto della principale attrazione del quartiere e quasi l’unico edificio ben tenuto, che sorge lì davanti, appena visto nell’arrivare: la Gereja Blenduk, o chiesa cristiana, illuminata da faretti gialli, non so bene di quale confessione in particolare.
un prospettino neo-classico elementare, colonne e frontone a triangolo ribassato, e poi una grandissima cupola che praticamente abbraccia la chiesa intera, fra due campaniletti tozzi e privi di grazia.
la chiesa è del 1753 ed è la prima, se non sbaglio, che incontro nel mio viaggio: segno della dominazione olandese.
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ma le esperienze più interessanti, quando esco con una densa minestra nello stomaco e qualche energia in più, non sono legate agli sguardi sulle facciate sbrecciate e sulla rovina di una splendida città coloniale che cade a pezzi dappertutto, ma alla musica che proviene da qualche strada più avanti.
si arriva lungo le rive di uno dei canali che attraversano la città e che sono probabilmente la causa delle alluvioni, si varca un ponticello, si svolta, e ci si trova in piena Chinatown improvvisata, per una festa di quartiere della minoranza cinese, si direbbe: domattina sarà tutto smantellato.
ci sono dei lampioncini rossi all’ingresso, molta gente per strada, bancarelle e cantanti dappertutto, cibo cinese, musica e cantilena han nella gente che parla, e perfino un cagnolino pechinese che dorme lungo disteso sul tavolo di un ristorantino improvvisato.
ovvio, sono tornato alla riva nord dell’isola di Giava; sono forse a 200 km ad est di Cirebon, e l’influenza cinese torna a farsi sentire in questo paese così multiforme, che ha stampato nel proprio simbolo nazionale “Uniti nelle diversità”.
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ma la muffa disegna delle ombre inquietanti sulle facciate di alcune case che si affacciano sul canale, mentre torno a dormire.
non mi esce facilmente dalla mente quel che ho letto sui progrom anti-cinesi e continua ad inquietarmi l’idea del cinese, che in Indonesia ha assunto il ruolo storico dell’ebreo in Europa, come il segno di una tendenza mentale oscura e profonda che attraversa obliquamente culture anche molto diverse e sembra nascere da un patrimonio genetico o mentale pre-culturale dell’essere umano in generale.
il cinese, l’ebreo di Giava, altrettanto ricco, altrettanto odiato, viene egualmente isolato, chiuso in suoi ghetti e perseguitato.
e chi perseguita non sembra capire il nesso oscuro che lega persecuzione e successo, e i progrom che agiscono come strumento della sezione naturale del più adatto fra i perseguitati, facendo dei sopravvissuti esseri umani mediamente più intelligenti e intraprendenti…
che, proprio per questo, solleciteranno ancora maggiore antipatia e nuove persecuzioni…
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ma come fanno i cinesi a vivere, sorridere, cantare, qui?
ah, quelle ombre…