Surabaya l’anonima (a sorpresa) – videoclip indonesiano n. 93 – 571.

sono arrivato a Surabaya e avevo nella testa Surabaya Johnnyla canzone scritta da Brecht (e da Elisabeth Hauptmann) e musicata da Kurt Weill; la cantava Milva, diversi anni fa, ma in un modo un poco kitsch, quando Strehler portava Brecht nei teatri.

faceva parte di una commedia musicale, Happy End, del 1929, ma provate a dire che questa musica ha 84 anni, se siete capaci: no, è una musica immortale e senza tempo, provocatoria e perfetta.

l’ho scelta come base del video, non potevo farne a meno, ma in un’altra esecuzione, molto più sobria e più intensa: il tema è quello dell’amore non ricambiato, dell’amore calpestato, dell’amore un poco masochista.

se volete, del lato femminile dell’amore…

* * *

Surabaya Johnny

Ero giovane, avevo solo sedici anni allora,
quando un giorno te ne sei venuto dalla Birmania.
E mi hai detto di fare le valigie,
e l’ho fatto, e mi hai portato via.
Ho detto, “Hai un bel lavoro fisso,
o te ne vai a spasso per il mare?”
E tu hai detto, “Ho un lavoro nelle ferrovie,
e piccola, come sarà tutto meraviglioso.”
Ne hai dette un sacco, Johnny. Erano tutte bugie.
Mi hai sicuramente preso in giro, proprio dall’inizio.
Ti odio quando mi prendi in giro così.
Togliti la pipa dalla bocca, Johnny.

Surabaya Johnny. È davvero la fine?
Surabaya Johnny. Guarirà mai la ferita?
Surabaya Johnny. Ooh, brucio al tuo tocco.
Sei senza cuore, Johnny, ma oh, ti amo così tanto.

All’inizio pensavo fossi carino e gentile,
finché non ho fatto le valigie e sono venuta via con te.
Ed è durata due settimane finché un giorno
mi hai preso in giro e mi hai anche picchiato.
Mi hai trascinato per tutta la città,
dal fiume fino al mare.
Adesso mi guardo allo specchio
e una quarantenne mi guarda di riflesso.
Non volevi l’amore, Johnny, volevi i soldi.
Ti ho dato tutto quello che avevo. Volevi di più.
Oh, non mi guardare così.
Sto solo cercando di aiutarti.
Togliti quel sorriso dalla faccia, Johnny.

Surabaya Johnny. È davvero la fine?
Surabaya Johnny. Guarirà mai la ferita?
Surabaya Johnny. Ooh, brucio al tuo tocco.
Sei senza cuore, Johnny, ma oh, ti amo così tanto.

Quando ci siamo incontrati mi sono dimenticata di chiederti
perché ti chiamassero con quel nome buffo,
ma in ogni hotel della costa
l’ho scoperto, e ti ho amato lo stesso.
Sono stanca. Sono sfinita.
Il mare mi pulsa nelle orecchie.
E tendo le braccia per stringerti.
Tu non sei qui e chi se ne importa poi?
Sei senza cuore, Johnny. Semplicemente non sei buono.
Te ne vai ora? Oh, dimmi perché.
Ti amo, ti amo così tanto.

* * *

ma a Surabaya credo di avere sbagliato tutto: aggiungete al fascino brechtiano le notizie della guida sulla città come centro della lotta di liberazione dai colonialisti olandesi, e vi avvicinerete alla immagine romantica impropria che mi ero fatto.

per questo stesso motivo ho scelto di andare di nuovo in un hotel vetusto, in effetti notevole all’apparenza, perché la statua di un leone accovacciato all’ingresso io non l’avevo ancora incontrata in nessun albergo, prima: e anche l’atrio, un salone grandioso, scandito da colonne.

ma le camere! “simili a celle”, definiva la guida quelle col ventilatore, così mi sono rassegnato ad una con l’aria condizionata.

l’hotel era però vicino alla parte più antica del centro, ed io pensavo di ritrovarci una specie di romantica Semarang, con i suoi canali (che in effetti c’erano), il suo tempio cinese (c’era anche quello), la sua Chinatown: un fantasma desolato, questa; quando ci vado per cenare, trovo solo un psto squallidissimo sotto un portico in rovina e un cinese esoso, che mi fa pagare come se avessi preso tre porzioni di pesce all’hotel elegantissimo di Semarang, dove ho cenato la sera prima: e i noodles sono così abominevoli, che li lascio persino lì.

insomma, a sorpresa, Surabaya, 2 milioni e mezzo di abitanti, cioè quattro volte Semarang, si rivela come una sua brutta copia.

ed ora che ci rifletto ho anche capito perché: proprio perché è una città molto più moderna, i relitti del passato sono ancora più disgragati e residuali e meno interessanti.

l’indomani, sul treno per Probolinggo l’incontro con un coreano che si è fermato nella parte moderna della città, due km più a sud, e mi mostra decine di foto spettacolari di una festa popolare scatenata e coloratissima, che mi sono persa.

insomma, Surabaya, in barba del suo nome, era il posto giusto per provare a conoscere l’Indonesia moderna, non per andare ancor asulle tracce di quella che sta scomparendo e che qui è già stata cancellata quasi del tutto.

* * *

invece, appena sistemato, dopo il lungo giro in taxi dalla stazione, eccomi a camminare per vialoni privi di attrattive e terribilmente assolati, per raggiungere quella che risulta la principale attrazione turistica della metropoli: indubbiamente originale e nuova nel suo genere, ma decisamente modesta.

è una fabbrica di tabacco, che dovrebbe trovarsi al di là di un ponte, dove si combatté una celebre battaglia per l’indipendenza e che dovrebbe trovarsi al centro di un quartiere che “ricorda Amsterdam“, secondo la Lonely Planet; nessuna traccia, invece: i palazzoni nuovi e i centri commerciali che si incontrano ad ogni passo, ne hanno evidentemente preso il posto e il quartiere oramai è stato quasi totalmente demolito.

* * *

nella House of Sapoerna si produce il tabacco kretek, uno dei più famosi del mondo (ne compero anche per la pipa di mio figlio): la produzione mise la famiglia al centro di un vero e proprio impero economico; il museo, a cui, volendo si può accedere persino con un mostruoso trenino, che parte non so da dove, e al quale arrivano i pullman delle compagnie da “giro di Surabaya”, ne celebra prima di tutto i fasti e i trionfi, attraverso esempi storici delle merci prodotte e fotografie dei momenti salienti della storia della Ditta e del suo successo.

dal secondo piano il visitatore si affaccia sullo stanzone enorme dove stanno centinaia di donne a lavorare tuttora: ma, per iella, proprio oggi è il giorno di chiusura; sarebbe stato proibitissimo fotografare, comunque.

* * *

in ogni caso, un posto silenzioso, pieno di oggetti di artigianato, soprattutto in venduta al secondo piano, immerso in un piacevole profumo di tabacco, rigorosamente climatizzato, e oggi a Surabaya fa davvero caldo; fornito persino di un caffè elegante, dove faccio il mio pranzo e mi ributto fuori alla ricerca di qualche traccia di vita autentica.

che per il momento ho trovato soltanto nei numerosi murales e graffiti: diffusi in tutte le città dell’Indonesia, come già sa chi si è guardato qualche video, ma che a Surabaya trovano il loro trionfo.

la retorica nazionalista della città protagonista della guerra di indiopendenza, porta tuttavia a dei murales ufficializzati veramente piuttosto modesti, se non fosse per i colori squillanti: i murales veri si incontrano piuttosto altrove, in qualche angolo scrostato, dove i giovani artisti locali si sono mossi sull’onda degli esempo internazionali.

e nelle poco foto scattate la mattina dopo nella zona della stazione, dove sono andato a cambiare gli euro, prima di ripartire, dato che la prima scorta di moneta locale è finita, ri-ecco un sommergibile ed altri simboli militari, ma mescolati e confusi ai cartelloni giganti della pubblicità.

decisamente Surabaya non è certo la città che mi è piaciuta di più in Indonesia…, potrei perfino dire che è stata una delusione e che non mi capiterà più di pensare a Brecht sentendo il suo nome…

6 risposte a “Surabaya l’anonima (a sorpresa) – videoclip indonesiano n. 93 – 571.

    • la bellezza per me è che in questo modo viaggio due volte: la prima volta, tre settimane piene di esperienze e clic in loco; la seconda due ore al giorno a casa per diversi mesi, mentre monto i video e rivivo tutto…

  1. il commento via mail:

    Per la promessa fatta non volevo saltare il commento
    invece è saltata la mail lunga e più dettagliata di quella che segue .
    Sono stanca PAZIENZA.

    Ecco subito un grattacielo, me lo dovevo aspettare per la tua descrizione.
    Basta prati risaie , vulcani e angoli caratteristici e semplici di piccole cittadine.
    040 un pesce stilizzato che ricorda quello coloratissimo di fibre vegetali comprato durante il penultimo viaggio.
    1,03 La moschea non manca mai .
    1.16 1.23 Un carro di fiori, di quella mancata festa
    1.36 Ecco la decorazione tipica per ricordarti dove ti trovi
    2.11 I caschi non si usano o sono turisti napoletani.
    2.34 Ma poi al museo sei andato con questo trenino ?
    2.40 Che colori forti
    2.56 questa attrezzatura fa parte del museo, riguardo la carta?
    3.31 pure le vetrate colorate e pure
    3.46 gli strumenti musicali
    4.16 L’alce ripresa di fronte ha trasformato le corna in ali.
    E per finire la colonna sonora: la canzone bellissima c’entrava solo per il tuo momento particolare, forse era preferibile solo la musica.
    io, intanto, me lo sono rivisto senza audio ed era effettivamente migliore.

    • mi spiace che tu ti senta quasi obbligata a questi commenti e neppure ricordo una vera e propria promessa di mandarmeli; dovresti farlo solo quando ti va o puoi; capisco poi la jella del commento che si perde: ma lì non ci si può fare proprio niente: occorre riscriverlo (sempre malamente rispetto a prima, per via della ripetizione che toglie slancio), maledicendo la sorte.

      0.01 “Ecco subito un grattacielo” – hai colto subito la novità, ma io no e l’ho purtroppo rifiutata, come ho scritto nel post
      1,03 – l’onnipresenza delle nuove moschee è uno dei dati più pesanti del paesaggio naturale ed umano dell’Indonesia: io non l’ho vissuta come il segno naturale della religione di un popolo, altrimenti le moschee non sarebbero per il 90% di redente o recentissima costruzione, ma come il segno di un islamismo rampante che avanza modificando gli equilibri culturali tradizionali: pr un paradosso questo islamismo è uno dei segnali della globalizzazione, perché non è l’islamismo locale adattato a quella cultura, ma l’islamismo standard e internazionale .
      1.16 1.23 “Un carro di fiori, di quella mancata festa”: osservazione acuta anche io ho pensato la stessa cosa, rivedendolo adesso per il montaggio: ma col senno di poi!
      1.36 “Ecco la decorazione tipica per ricordarti dove ti trovi” – certo: è l’arco che introduce alla Chinatown di Surabaya, e sempre le chinatown del mondo sono introdotte da archi simili: hai fatto caso? è una specie di distinzione e separazione simbolica del cinese dal resto del mondo (torna il paragone fra cinesi ed ebrei, in modi differenti naturalmente)
      2.11 “I caschi non si usano o sono turisti napoletani”. – con quella faccia non direi… :): motociclisti senza casco della gioventù trasgressiva internazionale…
      2.34 “Ma poi al museo sei andato con questo trenino?” – assolutamente no, ti immagini? come le avrei fatte, se no, tutte le altre foto? tra l’altro qui è già davanti al museo, nel piazzale.
      2.40 “Che colori forti” – naturali, non c’è foto-ritocco
      2.56 “questa attrezzatura fa parte del museo, riguardo la carta?” non lo so, ma siamo nel museo, sì
      3.31 “pure le vetrate colorate e pure 3.46 gli strumenti musicali” – il museo – da questo punto di vista, decisamente interessante, pur se molto piccolo – è il realtà dedicato alla colonizzazione e alla cultura dei dominatori, che trasportano in Indonesia anche li stili dell’arte europea (lo si vede anche da alcuni edifici nel videoclip seguente;

      da ultimo provo a difendere la scelta della canzone (o meglio a motivare di nuovo, perché se qualcosa non piace, non c’è nulla da dire), che hai criticato anche tu, come un’altra commentatrice: questi non sono videoclip sull’Indonesia come potrebbe farli un’agenzia turistica, ma ricordi mirati del mio viaggio in Indonesia; e se io arrivo a Surabaya con la canzone di Brecht nella testa che me l’ha fatta conoscere, ovviamente non posso che metterla nel video, dato che la canticchiavo mentalmente mentre visitavo la città: peccato che sia una cosa un po’ troppo mia, che chi vede il video non può capire o neppure accettare dopo che gliel’ho spiegata: ma non cambierei questa musica, perché sarebbe come falsare i miei ricordi.

      la canzone però per me è anche particolarmente adatta, invece, a questo video, che ha come tema nascosto, ma non tanto, la dominazione olandese in Indonesia, che qui è particolarmente evidente e il legame rimasto fra l’Indonesia e la cultura europea.
      una canzone dedicata all’Indonesia e a Surabaya, vista come città di avventurieri loschi e un poco malfattori, a me pare che fosse adatta a commentare ìun video dedicato in una parte importante alle imprese dei fabbricanti di sigari che si sono installati qui, con le loro abitudini, la loro mentalità e il loro commerciale spirito di avventura.
      appunto come dei Surabaya Johnny.
      è vero che le parole sono in tedesco (lingua vicina all’olandese): avrei potuto mettere anche una versione in inglese, ma era cantata in modo un po’ sguaiato, alla Milva…

      però proviamo a pensare che la ragazza di 16 anni che canta, sedotta e sfruttata dall’avventuriero europeo, sia indonesiana, sia anzi un simbolo stesso dell’Indonesia colonizzata, e tutto diventerà un pochino più chiaro nella mia scelta.

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