il rientro sotto la pioggia non ha tolto il clima di serena eccitazione con cui sto vivendo le ore di Bromo, uno dei momenti davvero alti del viaggio in Indonesia.
ma ora cala la notte nel piccolo borgo senza risorse, dove un ragazzo passa e ripassa con una cassetta di povera merce di montagna: cuffie dedicate a Cemoro Lawang e calzettoni di lana; mi aveva già intercettato all’inizio del percorso e gli avevo promesso che avrei comperato qualcosa al ritorno, e adesso eccolo qua, come mancare di parola? mi prendo queste calze grosse, che non sembrano neppure fatte a mano, ma a macchina, e lui sembra contento del paio di euro, praticamente un’elemosina.
* * *
veramente non c’è altro da fare nei 200 metri in discesa che costituiscono tutto il paese, che arrivare ad un baracchino all’aperto e mangiare di nuovo qualche saporito spiedino arrostito (è con scelte come queste che al rientro ho perso 7 chili e recuperato una pervenza di linea… :)); poi mi ritiro in camera, sotto una bella coperta, a rileggere per la terza o quarta volta fra i tre libri che ho portato con me.
ma soprattutto la guida; devo programmare il resto del viaggio fra due alternative, visto che sono al suo sedicesimo giorno e che ne ho davanti ancora sei (sette se consideriamo che arriverò a Malpensa il lunedì mattina): in sostanza è lunedì sera e domenica pomeriggio ho l’aereo a Jakarta per il rientro; dato che resterò qui fino a mercoledì mattina, da che parte dovrò andare mercoledì?
ancora a est, come sto facendo da circa due settimane, col rischio poi di non riuscire a rientrare in tempo e di dovere passare giornate in treno o in autobus – e poi chi si fida di rientrare via terra, con gli ingorghi indonesiani? oppure devo cominciare a tornare indietro per fare in 5 giorni al contrario quel che ho fatto in 13 all’andata?
il cuore chiede di passare a Bali, ma il tutto assume l’aria di una sfida alla sorte.
si può anche non crederci o scrollare le spalle, considerando che poi alla fine sono tornato, e che tutto questo sembra un falso problema, però la tensione, per non dire la paura di sbagliare, si fa sentire molto.
* * *
per fortuna mi addormento presto, tuttavia, considerando che devo levarmi alle prime luci dell’alba per l’esplorazione della grande caldera di Bromo.
una sola decisione devo prendere al momento e intanto è questa: certamente salirò al cratere ancora attivo arrivandoci a piedi, ma poi, lontano da ogni rotta turistica, attraverserò verso sud la grande caldera, che mi affascina.
voglio passare l’intera giornata camminando in quella desolata pianura vulcanica, come fossi il padre di Paris Texas, nel deserto americano, alla ricerca del figlio.
* * *
alba: il sentiero che discendo l’ho localizzato ancora ieri, stamattina nella luce ancora incerta farei fatica, e non rimane che fermarsi ad ascoltare gli uccelli che salutano i colori che vanno aumentando di gradazione come avessero qualche motore interno invisibile che potenzia la luce, o un videoritocco da Fotoshop, che li anima a pennellate successive.
ben presto un cavaliere mi supera, arrivandomi alle spalle.
i cavalli, ecco, non li avevo previsti, in questa landa di sabbia vulcanica grigia, che ha un nome molto evocativo, Laotian Pasir, ma a tratti pare di essere in certe foto di National Geographic della Mongolia o del Turkestan, non in Indonesia.
i cavalli a poco a poco aumentano di numero, aspettano i turisti; un cavaliere più giovane degli altri mi strappa la promessa che mi servirò di lui al rientro: per ora sono in forze, gli dico, e preferisco farmi questi primi tre km a piedi: si fida, mi lascia perfino un bigliettino col suo nome: dovrei averlo ancora nella piccola busta dei ricordi ed indirizzi indonesiani, e invece non lo trovo; del resto, non sarò di parola con lui…
* * *
a me poi una suggestione inspiegabile, forse la pura potenza dei colori dell’ambiente, abbinata alle bardature variopinte dei cavalli, ricorda irresistibilmente Petra.
non dovrei citarmi; oltretutto la somiglianza è molto più interiore che obiettiva; anzi, riguardando il video c’è da domandarsi dove io l’abbia trovata.
però ecco il video, attorno al minuto 1:00; e chi guarderà avrà in premio il piacere di rendersi conto di come sono diventato decisamente più bravo come videomaker in questi cinque anni… 😉
* * *
ma cavalli e cavalieri, che del resto si alternano a banali e rumorose motociclette, non sono l’unica novità di questa camminata solitaria in una luce fortunatamente cristallina, che sembra un artista al lavoro che prepara per me foto una più bella dell’altra.
il misterioso scatolone color sabbia, che si intravvedeva dal punto panoramico di Cemoro Lawang, ora suggerito allo sguardo ancora da lontano, perché illuminato prima della pianura che lo precede: è infatti addossato alla prima salita che conduce alla sommità del cratere, da cui si leva qualche sbuffo di fumo indolente come l’alba; e si rivela, via via che mi ci avvicino, un tempio indù.
per qualche strano, ma fortunato motivo, la Lonely Planet lo ignora completamente, e questo permette a questo tempio straordinario, neppure antichissimo, di essere una vera sorpresa.
e, sorpresa nella sorpresa, questo tempio è vivo, funzionante: ecco una nuova dimensione, che era stata appena accennata da tracce assolutamente più modeste osservate in un contesto di luce e colori simili, a Sembungan, oltre il Dieng Plateau: la presenza di un induismo ancora vivo e non archeologico anche in Indonesia; per ora limitato a piccole comunità di alta montagna.
luoghi di resistenza culturale, dove l’induismo è diventato anche un elemento di isolamento e di ulteriore impoverimento nella chiusura.
ma già, ora che ci penso: non ho visto moschea a Cemoro Lawang, e una decorazione di piastrelle dell’hotel, la cui foto non ho ancora usato nei montaggi, non mi ha accolto con l’immagine lieta di Krishna che suona un flauto davanti ad una vacca sacra?
e io che non ci avevo neppure fatto caso, considerandolo un motivo banalmente turistico…
* * *
ma anche il tempio induista è superato, ora si entra in una specie di vallone sabbioso, col quale comincia la salita vera e propria al vulcano…
questa volta ci ha pensato lo spam:
Tutto nasce da un libro, come spesso mi accade, e questa volta si tratta di Le balene lo sanno di Pino Cacucci che mi regalò Marzia un compleanno di qualche anno fa forse senza sapere quanto mi avrebbe ossessionato il luogo di cui parla ossia la Baja California Sur.
Questa penisola messicana che si allunga tra l’Oceano Pacifico il Mar di Cortés è una delle mete preferite dalla balena grigia per accoppiarsi e partorire in tranquillità perchè è un’enorme riserva marina protetta dove un deserto con centinaia di specie di cactus diventa spiaggia e poi un bellissimo mare.
La stagione di avvistamento va da novembre a marzo, ma il periodo migliore è febbraio quando i cuccioli sono abbastanza cresciuti da giocare con le barchette dei turisti (mica i moderni traghettoni australiani, ma le tipiche bagnarole di legno messicane!) avvicinandosi curiosi fino a farsi accarezzare e le mamme giocano a sollevare le piccole imbarcazioni per poi rimetterle in acqua senza mai farle cadere.
Ah impazzivo dalla voglia di andarci, ma febbraio è sempre stato un mese complicato per le ferie sia per il mio lavoro, visto il periodo di bilancio, che per il TdC che tradizionalmente dedica una settimana di quel mese alla vacanza windsurf con Thomas.
d’accordo che sei uno spam intelligente, ma come fai a sapere che nel viaggio giro del mondo che sto progettando per l’anno prossimo passerò per la Bassa California?
leggi le mie mail, vero?
letto il tuo commento farò anzi una piccola modifica cronologica, in modo da esserci a novembre: grazie, se ha un senso ringraziare, e non lo ha.