quando finalmente riesco a liberarmi dal taxista che vuole portarmi lui in un’ora veloce a Padangbai lungo la litoranea e a farmi invece depositare alla stazione del bus che mi ci porterà in tre ore, per una strada interna che sembra infinita e attraversa in sequenza un paese dopo l’altro a mezza costa, non so ancora quanto sia stata fortunata la mia scelta, ma me ne rendo conto quasi subito.
questo percorso si rivela una gita così straordinaria, che i videoclip in questo caso riescono a stento a restituirne solo un’immagine molto vaga.
è una sequenza ininterrotta di monumenti, templi, palazzi, portali, riccamente decorati: chi oserà dire ancora che l’Italia è il paese del mondo a più alta concentrazione artistica, non è stato evidentemente a Bali.
Bali è certamente molto più piccola, ma si ha la sensazione di un cambio di continente rispetto a Giava (e a Sumatra, per quel poco che ne ho visto): ci si trova di colpo immersi in un’altra cultura, in un’altra gente.
è l’arte, per il momento, a segnalare immediatamente il cambiamento: la sequenza delle decorazioni, delle statue, dei tetti a spioventi di tegole rosse, delle colonne, spesso addobbate con drappi gialli, è praticamente ininterrotta: si ha la sensazione di passare lungo un enorme museo all’aperto lungo decine di km.
si ritrovano, ma molto più carichi di motivi ornamentali, gli strani portali di Cirebon, che hanno due stipiti perfettamente lisci nell’apertura di accesso, mentre i pilastri si allargano in forme un poco sfrangiate sul lato opposto, inserendo sul colore di base, che è il rosso cupo dei mattoni, i giallognoli dei fregi e dei rilievi.
* * *
ma in questo videoclip mi occupo soprattutto di un altro aspetto: alternati ai monumenti del passato e altrettanto numerosi, fino a fare nella memoria una cosa sola, sono le centinaia di laboratori artistici moderni, in molti dei quali si lavora.
l’autobus scorre in mezzo al picchiare festoso e operoso dei martelli e scalpelli (questa cosa mi ricorda irresistibilmente il mio primo impatto con l’India a Mamallapuram, nel 2004), mentre migliaia di divinità, non importa se buddiste o induiste, sorridono, danzano, o stanno assorte in meditazione.
non conta di quale culto siano, basta che siano di una religione che non rifiuta la rappresentazione della figura umana, perché il messaggio che trasmettono è comune ed è di amore della vita e della bellezza.
quel che se ne vede nel videoclip, e sembrerà forse lungo, è soltanto un piccolo assaggio di un percorso che dura più di un’ora prima di lasciare lo spazio ad altri centri urbani dove non sembra che quasi l’intera popolazione sia fatta di artisti dediti alla scultura.
* * *
ho scritto che l’autobus scorre, ma l’autista è così gentile, che in certi punti più belli sembra a me che si fermi solo per me, e comunque mi invita con i gesti della mano a scendere per fotografare…
il sole stesso sorride pieno oggi e il tempo scorre come in un pacifico e sereno delirio di forme: migliaia di uomini hanno studiato le curvature di quelle labbra, le sagome degli occhi, l’intreccio delle mani; migliaia di uomini stanno lavorando attorno a me attorno all’impresa di dire con le loro mani qualcosa di assoluto e definitivo, o soltanto di emozionante, sulla nostra esistenza.
* * *
di colpo comincio a capire il fascino di Bali, di cui tanto ho sentito parlare senza mai riuscire a metterlo a fuoco del tutto, e anche quella vena di disapprovazione islamista dell’isola come luogo di perdizione.
in effetti a Bali la fantasia calpesta ogni divieto e lascia semplicemente commossi e coinvolti come in uno dei luoghi della terra dedicati all’arte e anche alla fede, ma non settaria.
* * *
il videoclip è accompagnato da una musica di Bali che suonerà certamente dissonante e probabilmente anche sgradevole, secondo certi parametri nostri; però volevo qualcosa che per prima cosa esprimesse questa vitalità profonda di Bali, sconvolgente, perfino urtante…