per i motivi che sto per dire questo post è anche la conclusione dei miei post sul viaggio in Indonesia, oltre che la ripresa dei post sul mio sesto viaggio in India.
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il 19 aprile scorso, il giorno prima di partire per l’Indonesia avevo pubblicato il post 193. che presentava il videoclip Madurai, the Kudalagar temple – My India, 6 23; il titolo dice chiaramente che si trattava del videoclip n. 23 del mio sesto viaggio in India; mi trovavo in quel momento – mentalmente – a Madurai e illustravo qualche aspetto della mia visita del novembre 2010 ad un tempio cosiddetto minore di quella città, dopo la separazione da Mike, un giovane compagno americano di viaggio conosciuto sull’autobus per Munnar tre giorni prima.
il videoclip successivo era già pronto, e continua ad illustrare altri aspetti della vita del tempio, più piccolo decisamente di quello principale di Madurai, ma altrettanto riccamente decorato ed interessante, con la selvaggia musica delle tube all’interno e poi una visita alla terrazza, che nell’altro tempio non è possibile, per vedere da vicino le statue riccamente colorate che a decine affollano il suo gopuram.
ma non ci fu il tempo di preparare un commento; poi, di ritorno dall’Indonesia, ho dedicato sinora ai 137 videoclip di questo viaggio il tempo disponibile per i montaggi e i post di viaggio.
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ora voglio riprendere i montaggi indiani del 2010, anche se forse sarà per un periodo molto breve, dato che probabilmente il mese prossimo tornerò in India, e quindi raccoglierò, in una rincorsa infinita, nuovi materiali per My India 7, che avrà di nuovo la precedenza, per non disperdere l’immediatezza delle sensazioni.
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si potrà anche capire, però, che in questo momento faccio un poco di fatica, con la testa che risuona ancora di Indonesia, a rientrare pienamente nel clima indiano: soltanto avere guardato questo video già montato mi ha creato uno sconcerto violento: il passaggio è certamente brutale.
aggiungo anche, senza volere avere l’aria di tirarmela troppo, che la qualità del video mi sembra anche decisamente inferiore agli ultimi che avete visto sull’Indonesia.
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insomma, se lo guardi pure soltanto chi vuole, il video, per il momento mi limito a richiamarlo qui.
e rinvio ulteriori commenti su Madurai al prossimo post e al prossimo video indiano.
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ma a questo punto la bruttezza del video mi ha indotto ad alcuni tentativi tecnici di migliorarlo (di poco), pur lasciandone intatta la struttura di fondo.
tentativi riusciti male, caricamenti su You Tube ripetuti e cancellati, a totale insaputa dei visitatori del mio canale, mi auguro, e nel frattempo l’improvvisa maturazione di una illuminazione che forse serve a concludere il mio viaggio in Indonesia con un lampo di comprensione, più che a riprendere le mie osservazioni sul viaggio a Madurai e in India.
e questa volta è la musica che parla e porta all’intuizione.
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se la musica sacra dell’induismo indiano è barbarica e brutale, come questo video ben dimostra, e ci dice che l’India pacifista e vegetariana lo è in un modo brutale e barbarico, l’induismo indiano, quello di Bromo, di Bali, di Lombok, che è la radice autentica del paese, è un induismo gentile.
ho pensato alla musica gamelan, per contrasto, e ho visto il gamelan sullo sfondo delle divinità induiste dei grandi siti archeologici di Giava e della religione viva in altre isole, delle loro rappresentazioni stilizzate ed un poco leziose.
ho capito che il tratto distintivo della cultura indonesiana è questa gentilezza, che si è travasata dall’induismo gentile all’islamismo gentile.
se l’Indonesia ci appare dall’identità vaga e poco emergente è per il suo culto della discrezione, e perché chi è gentile è sempre meno appariscente di chi è brutale, aggressivo o violento.
la gentilezza la diamo per scontata e dove la incontriamo facciamo fatica a riconoscerla e sentirla: ci mette a nostro agio e quindi non la notiamo.
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non è sorprendente che religioni molto diverse fra loro come l’induismo e l’islam, nel penetrare in Indonesia, perdano i loro tratti più netti e caratterizzati e si lascino attraversare da valori e visioni del mondo non detti, che sono ispirati al valore di una vita aggraziata e dagli angoli smussati?
di colpo osservo che mancano completamente nell’architettura indonesiana, le linee rette, che le decorazioni alterano ogni profilo troppo netto in un frastagliamento di linee ciascuna delle quali suggerisce una tendenza, ma non la traccia senza possibili discussioni, come fa invece tutta la tradizione costruttiva della classicità europea.
linee smussate, che indicano non tanto una propensione al compromesso, ma la comprensione della complessità della vita.
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a differenza che in altri paesi, in Indonesia la religione ufficiale non è dunque il deposito della autentica visione della vita e del mondo che caratterizza la cultura locale, ma solo uno strumento provvisorio per esprimerla.
l’induismo, l’islam e, per quel poco che vi si è affermato, il cristianesimo dei conquistatori hanno dovuto piegarsi ed adattarsi ad una tradizione più antica che è una religione non detta che precede tutte le altre, venite dopo attraverso le successive conquiste.
questa tradizione oscura, che l’Indonesia tace, è dunque l’animismo?
improvvisamente mi ricordo che, quando parla dell’Indonesia, Terzani la rappresenta come un paese dove la generale superstizione dell’Asia ha una forza particolarmente viva.
e che cos’altro è la superstizione se non la forma moderna, globalizzata che assume un animismo così scavalcato dalla storia da non poter essere più detto?
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è così che frammenti di cose viste riappaiono di colpo alla mente e assumono un possibile significato, una collocazione: sono le coloratisssime tombe che circondano i cimiteri islamici, è la danza dell’ira recitata dalle antiche maschere nel palazzo reale di Yogyakarta, sono le maschere stesse che ritrovi ovunque o le sagome per il teatro delle ombre.
ecco, qui mi fermo, perché l’animismo indonesiano, pur se taciuto, non è grossolano, ma ha uno spessore culturale che nasce dalla sua forza simbolica intrinseca, non dalle parole.
a Platone sarebbe forse piaciuto il teatro delle ombre dell’antica Indonesia: un modo simbolico per ricordarci che la vita è apparenza, è sogno, che il saggio lo sa e non soffre per le delusioni del desiderio che sono l’essenza stessa del vivere, e guarda più in là dentro un mondo vuoto di significati che si lascia completamente attraversare.
che strano paradosso: è stata l’India a rivelarmi (forse) l’Indonesia…
l’India che viveva la stessa saggezza, ma la diceva poi in modo tanto diverso.
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a proposito dell’Indonesia e di Terzani, trovo via google questa citazione di Elisabetta Borzini, dal sito di “un progetto di ricerca e volontariato artistico”:
Leggo della Mongolia di Terzani e alzo gli occhi sull’Indonesia di Pramoedya Ananta Toer. Si, tutto cambia, non sempre per il meglio, ma il cambiamento è comunque necessario e inevitabile.
E allora si, centri commerciali grandi come città inghiottono senza pietà la storia di questo paese, coloniale, sanguinosa e brutale ma pur sempre storia, e poi cosa resta?
Un periodo di interregno tra la distruzione e la ricostruzione, la direzione da prendere è oscura ma per quanto ci ostineremo a cambiare radicalmente o a preservare, la storia seguirà il suo corso.
E questo è un pensiero rassicurante.
è una strana coincidenza che anche questa blogger arrivi all’Indonesia partendo da un altro paese (in questo caso, la Mongolia) e che nel farlo si riferisca a Terzani.
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Toer è uno scrittore indonesiano che mi pare in qualche modo il corrispondente in letteratura di quel che Affandi è stato per la pittura di quel paese: un autore che ha cercato, attraverso una ricchissima serie di romanzi storici, di arrivare al cuore dell’identità indonesiana, ma lo ha fatto in rapporto stretto con la tradizione europea e cercando di far diventare l’Indonesia parte della tradizione culturale mondiale.
una operazione tipicamente novecentesca, che a me oggi appare datata e anche esaurita.
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la mia analisi delle prospettive della situazione indonesiana, esaurite queste analogie, è tuttavia diversa da quella accennata in quanto citato qui sopra da quel blog.
che la storia segua il suo corso è una morale che posso ricavare anche io dall’osservazione della trasformazione in corso in Indonesia, ma che questo possa essere rassicurante non riesco proprio ad accettarlo.
chi ha scritto questa frase sembra dare per scontato che il corso della storia debba essere positivo e che l’esito delle trasformazioni sia un miglioramento: è una filosofia che non condivido, e in particolare non nel caso dell’Indonesia, oltretutto, uscita dalla guerra per l’indipendenza e proiettata nel presente convulso, caotico e disgregante della globalizzazione attraverso la guerra civile più feroce del secondo dopoguerra.
la globalizzazione che fa dei giovani indonesiani dei cittadini del mondo, li sottomette nello stesso tempo ai miti gestiti dalla agenzie del controllo, e la morsa dello sviluppo economico a tutti i costi devasta in maniera irreversibile e non più recuperabile un mondo che era meraviglioso.
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mi rendo conto che questo punto di vista rischia di essere altrettanto generico e semplicemente contrapposto all’altro: mi piacerebbe che non venisse preso per vero, in contrapposizione ad un ottimismo giudicato falso, ma che almeno questi due punti di vista si problematizzassero a vicenda…
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2 gennaio 2014
aggiungo una nota, a proposito dell’islamismo gentile.
sono entrato in contatto con un blogger indonesiano, kaligrafinusantaraonline – e quel tanto di indonesiano che ho imparato mi permette oggi di riconoscere la radice nusa, isola, e la parola nusantara, arcipelago.
ho già parlato di lui qui: si tratta di un giovane artista che realizza opere di arte islamica, esercizi calligrafici attorno a temi religiosi.
proprio oggi ha pubblicato una variazione sul nome di Mohammed (che lui scrive Mohammad, in una variante, suppongo, indonesiana): la dimostrazione perfetta di quel che scrivevo sulla trasformazione che l’islamismo subisce, almeno in parte, in Indonesia, rendendosi accettabile perfino a una persona come me.
però, se andate direttamente sul suo sito, sarete premiati, in più, da una musica molto espressiva di questa stessa gentilezza interiore…
Che post interessante!
Condivido ciò che scrivi, Bort, in linea di massima.
Rileggerò tutto con più cama.
Tratti problemi differenti anche.
Poi ti risponderò meglio.
Sorrido a te
gb
grazie del sorriso e delle parole di incoraggiamento gelso.
rileggo (come sesso mi capita) il post, dopo il commento, cercando di vederlo con l’occhio di chi l’ha commentato.
adesso mi pare (ma un po’ già lo sapevo) molto affastellato e un poco caotico: ci sono tanti spunti diversi, è vero.
però è un post molto sincero, perché riproduce, nel male e nel bene, i miei processi di pensiero su questo tema, proprio nel momento del loro farsi.
ed è vero quello che dice: che non avevo ancora capito l’Indonesia e che è stato davvero questo post indiano a farlo, mettendomi di fronte un termine di confronto, che improvvisamente ha illuminato tutto e ha dato un senso a tutte le impressioni e osservazioni sparse che non riuscivano ancora a trovare un centro comune…
Thank you for this,
you have a lot of travel to Indonesia have a nice trip. I have not had time to look at your video because my internet connection was a bit slow. but I hope that you will find the real truth about the diverse cultures of the archipelago.
and my hope you succeed always.
best wishes
calligraphy archipelago
best wishes to You, nusantara!
it is very difficult to understanding the indonesian nusantara; only a travel is not enough; I hope to travelling more there…
a travel is just a drop in the bucket.
🙂
gb
🙂
ma tu lo sai, cara gelso, che io non so l’inglese?
ecco una differenza, finalmente, altrimenti ci sarebbe stato da preoccuparsi… 🙂
sono autodidatta e per capire il tuo commento ho dovuto usare il traduttore automatico… ;(
parlo inglese.
ho viaggiato così tanto e discusso in inglese su vari argomenti.
beata te.
io ho ricavato dai mei viaggi, come autodidatta, solo un inglese elementare di sopravvivenza, pronunciato malissimo, oltretutto.