da Madurai a Rameswaram sono poco meno di 200 km in autobus: il che significa che buona parte della giornata se ne va nel trasbordo; mi rendo conto adesso che avrei anche potuto prendere il treno, grande assente di questo mio viaggio in India, ma non ci ho pensato.
consulto il post scritto quella sera stessa, e ci trovo ben poco sul viaggio:
9 novembre il lungo viaggio per Rameswaram * * * gli appunti perduti
eppure fu una giornata importante, trascorsa con la testa in ebollizione, a scrivere sul netbook riflessioni che mi parevano assolutamente fondamentali: forse a forza di frequentare templi, avevo avuto una “illuminazione” che mi aveva permesso finalmente di capire la vera natura del tempo.
o almeno così mi pareva.
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ma tutta questa parte del mio viaggio in India del novembre 2010, l’ultimo per il momento (ma sto per ripartire), è stata funestata da “un minuscolo errore fatale” compiuto “sul piccolo feroce laptop, che ha cancellato, nel salva con nome, un intero file, con diverse pagine di appunti in situazione”.
ne parlo subito dopo, e quel che scrivo su una nuova fisica che assuma come elemento base per la descrizione del mondo non lo spazio e il tempo, ma la velocità, mi induce a dubitare che i troppi profumi, i suoni dei tamburi oppure il caldo, perchè anche a novembre le temperature sfiorano i 40 gradi, oltre che la velocità del bus…, mi conducessero in realtà sul bordo di una specie di delirio.
il viaggio Madurai
ben poco riesco a ricordare di questi frammenti sparsi, se non uno stile diverso in loro, non narrativo né coerente, quasi un disordinato e frammentario flusso di coscienza, se l’espressione non fosse una contraddizione in termini, visto che pare difficile immaginare un flusso che nello stesso tempo è formato di momenti staccati (anche se poi la luce e dunque anche il tempo stesso sono fatti proprio così): a meno che la coscienza stessa non sia uno specchio spezzato, che riflette in direzioni eterogenee così da frammentare oltre a se stessa il mondo, o meglio a vanificare l’apparente ricomposizione del mondo che la ragione faticosmente elabora in un tutto apparentemente compatto, e a restituircelo per quello che è, una serie di conati, convulsi, di slanci vitali che in gran parte finiscono a vuoto, intervallati da momenti di un buio pesante, afono, accidioso ed ottuso, che potremmo definire di dubbio pesante, materico, se soltanto potesse dirsene qualcosa.
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vi rimando a quel post, per altri pensieri, che ora quasi mi vergogno a riportare, come quello che difficilmente un grande viaggiatore è anche un grande amatore; ma non trascuro il finale, dato che ci riporta al videoclip:
ho scritto queste sciocchezze ed altre appollaiato nel sedile di testa di un autobus instabile, del tutto indifferente a fatto che in diverse zone dell’India i primi sedili sono riservati alle donne, dalle quuli sono infatti circondato, ma ho l’alibi che questo è l’unico posto dove posso sistemare troller e zaino a spalla senza creare disturbo. (…)
è anche una postazione dalla quale posso percepire fino in fondo la guida regolarmente avventata del solito autista baffuto, e non so se sia questa percezione inquieta di pericolo che mi induce a riprendere alcune riflessioni parallelamente abbozzate via blog con mcc43, dal carattere talmente delirante da adattarsi bene a questa giornata di cui la più parte trascorre su questo autobus inquieto che discende verso il mare in un paesaggio sempre più arido e salmastro, che si va via via spopolando. (…)
esausto rinchiudo il blocknotes e mi lascio andare a fantasticare come sarebbe il mondo se ogni uomo sapesse di essere solo un lampo di luce di un secondo incredibilmente rallentato…
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più tardi lo riprendo per scrivere qualcosa di competamente diverso: ho il cervello che ribolle, mi chiedo perfino se non sto dando qualche segno molto induistico di totale alienazione mistica, mi riguardo indietro negli ultii giorni: effetto della dieta, di qualche benedizione ricevuta da un santone, dei troppi profumi dei templi, del sole?
l’incredibile India mi ha colpito ancora: solo qui, su queste strade oggi tremendamente assolate si respira con naturalezza il profumo delle verità più assurde e ci si sente totalmente liberi di inventare qualunque dottrina serva – sia utile – ad un mondo più pacifico e tollerante!
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e se invece oggi parlassimo della meta di questo viaggio, che raggiungerò nell’avanzato pomeriggio?
Rameswaram l’ho definita alla fine dell’India, nel titolo del post 386. : non nel senso che sia sulla punta della penisola del Deccan; lì ci sta Kanyakummari e ci arriveremo fra qualche giorno; Rameswaram è a nord della punta del Deccan, su una lunghissima penisola che si trova rivolta vero est, e si fa facendo sempre più stretta fino ad essere larga una decina di metri soltanto, che sono occupati dalla strada e dalla ferrovia; anzi, veramente sta su un’isola oltre questa penisola,e collegata ad essa da un lungo ponte lagunare, di una decina chilometri.
questo ponte non è antico, ma è una delle prodezze ingegneristiche dell’India moderna: fu finito di costruire nel 1988 e dedicato alla memoria di Indira Gandhi, assassinata dalle guardie del corpo sick, ad opera del figlio Raoul, succedutole al governo, che sarebbe stato di lì a poco egualmente assassinato, lasciando il potere di guida del partito sino ad allora egemone alla vedova Sonia Gandhi, un’italiana.
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sì, percorrendo quel ponte, circondato di navigli, in particolare sul suo lato meridionale, sembra di arrivare a Venezia, avete ragione: solo che l’isola di Rameswaram non è dentro una laguna, ma tra due golfi, ed è come la base di partenza di una successione incredibile di centinaia di isole e di isolotti che la prolungano idealmente verso est, formando il cosiddetto “ponte di Adamo”, che congiunge India e Sri Lanka – o meglio oggi li separa, per i motivi che dirò più avanti.
come spesso capita in India, il carattere suggestivo e particolare dell’ambiente conferisce al luogo una immediata sacralità, e così nella mitologia indiana viene collegato alla figura divina di Shiva questa specie di istmo frammentato fra due mondi (ma di là, a Jaffe, dove si approdava un tempo quando i traghetti fra i due paesi funzionavano ancora, ci stanno ancora i tamil, quelli perseguitati dalla teocrazia buddista che domina lo Sri Lanka).
il mito racconta di Rawana, che rapì Sita, e di suo fratello Vibishana, che proprio qui, sulla spiaggia che porta a Danushkodi, si arrese a Rama che si battè per liberare Sita: per cui questa spiaggia è per gli indiani come la spiaggia di Troia, altrettanto sacra e suggestiva, o come la grotta di Betlemme.
vi fu una battaglia, a Lanka, condotta dall’eroe Rama, il protagonista del Ramajana, che venne qui a venerare il dio che gli aveva dato la vittoria, iniziando la costruzione del tempio, uno dei più suggestivi dell’India.
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di tutto questo troverete poco nel videoclip, che si accontenta di mostrarci qualche paesaggio, dei quali coglierete il progressivo accostamento al mare, nella vegetazione, nella purezza dell’aria e nella limpidezza dei colori.
quel che vi ho raccontato sulla mitologia locale lo ritroverete piuttosto nella musica molto particolare che è quella di una cerimonia religiosa del Tamil Nadu, mi pare, o almeno deriva da un filmato su questo stato indiano, di un viaggiatore veramente eccezionale come autore di video.
ma ci sarà tempo di parlare ancora di tutto questo, quando si visiterà il tempio dedicato al ricordo di Rama.