avevo detto che dalla Cina non avrei potuto raggiungere il blog, ma per ora sono in quella specie di mondo di passaggio tra Cina e Occidente che è Hong Kong, non ancora nella Cina vera e propria, e così mi accorgo, stamattina 19 luglio, di potere effettivamente gestire il blog come da casa.
il vero problema semmai sono le bizze assurde che sta facendo il netbook, che rifiuta di lavorare regolarmente in questo nuovo ambiente e sta rendendo penosa la scrittura di un testo.
questo comunque è stato composto quando ancora il netbook non era stressato, il giorno 16 in aereo.
sono le divagazioni di una mente in volo: vi prego di prenderlo come tali e di perdonarle.
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non solo questo viaggio, ma tutta la mia vita in questo ultimo periodo sembra condividere l’impronta della esagerazione; ma in quel che è smisurato si fa più fatica a cogliere il dettaglio, ed è dei dettagli che ci innamoriamo di solito.
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all’aeroporto (Malpensa), in attesa dell’imbarco, avverto qualcosa di strano nell’uomo che cammina davanti a me, dinoccolato; in altri tempi avrei detto che sta parlando di solo, ma i fili bianchi degli auricolari dicono soltanto che è un esemplare di una nuova specie, l’homo sapiens connexus, alla quale non mi sono ancora abituato.
da post-neandertaliano della specie homo sapiens sapiens non so ancora chi vincerà la prossima selezione naturale; dovesse essere il gruppo più simile a me, questo significa che la storia futura dell’umanità ricomincerà da un gruppo molto ristretto.
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intanto i lunghi labirintici percorsi, che hanno trasformato la stazione di Milano come l’aeroporto di Malpensa in enormi centri commerciali e fatto perdere a questi luoghi la loro funzione originaria di offrire un transito funzionale e veloce in vista di qualche spostamento, per farne invece una esposizione di merci di consumo, prevalentemente di lusso, che dovrebbero esprimere l’anima stessa del paese, a me fanno l’impressione di luoghi archeologici e di tristi monumenti, oramai quasi in rovina, di una idea consumista del mondo che ho sempre disprezzato e trovato irrealistica, anche se molto funzionale all’arricchimento dei pochi che controllano il mondo.
ma temo che insistere su questi concetti sia vetero-moralismo: d’altra parte, che cos’altro sto facendo pure io, che non sia lo sfruttare le ultime opportunità di questo mondo in declino per inseguire delle manie personali e cercare di raggiungere chissà quale record del viaggiatore?
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tutto scorre bene, tuttavia: almeno, se lasciamo perdere il vezzo di queste considerazioni.
pronunciate peraltro da una comodissima poltrona, dopo il viaggio in treno e in pullman, il check in senza coda, e un sorridente ricordo della dolcissima e raffinata impiegata che carica il mio bagaglio di 15 chili e poi guarda all’enorme zaino-borsone che ne trasporta altrettanti, sotto forma di guide di viaggio e netbook, per chiedermi (sottile ironia?):
Ha solo quello zainetto?
Se vuole chiamarlo così.
Lei si ferma ad Hong Kong?
Ci arrivo, ma non mi ci fermo.
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ma, ora che l’aereo è decollato e sta anzi già sorvolando il Mar Nero, devo ammettere, se sono sincero con me stesso, di avere sempre più sperato nelle ultime settimane che qualcosa facesse saltare questo viaggio.
– pensare col senno di poi – aggiungo oggi -, che abbiamo volato basso: e l’Ucraina ce la siamo lasciata al nord…
le mie non erano paure che il viaggio non si svolgesse, come venivano rappresentate qui; erano piuttosto oscure speranze del contrario.
il fatto è in questi 10 mesi dalla fine del lavoro, io sono cambiato profondamente: essere pensionato non è tanto un piccolo cambiamento della propria condizione esistenziale, attraverso la liberazione dal lavoro, ma una profonda modifica della propria immagine interiore.
e così un uomo condannato a lavorare la gran parte della sua giornata aveva un bisogno vitale di garantirsi un’evasione dalla quotidianità, immaginando e programmando un viaggio che lo mettesse in un nuovo esperimento di conoscenza del mondo, ma un uomo già libero da questa schiavitù avverte molto meno l’esigenza di una fuga.
con tutte le difficoltà logistiche ed organizzative della medesima, oltretutto, proprio per le sue dimensioni inusuali e ad un’età in cui uno slancio progettuale è più una sfida a se stessi, che un autentico, immediato bisogno.
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ma intanto sull’aereo si è cenato, mentre c’era ancora luce, si è dormito un poco ed è calata una stralunata notte fuori tempo che lascia gli occhi aperti, anche se appesantiti dal bruciore alle palpebre del sonno imminente che però non arriva.
volendo posso guardare sullo schermo dello schienale davanti al mio la storia di Noah, con i sottotitoli in inglese, e comincio a farlo, ma mi annoia presto.
ed ecco che si profila uno dei vantaggi di questi viaggi lunghi e senza compagnia, che è il dialogo intenso con me stesso, oppure con interlocutori al momento immaginari: favorevole a strane svolte del pensiero, a passi in avanti che, nel silenzio della solitudine introspettiva, appaiono eccezionali.
è il momento in cui pensieri a lungo rovistati in qualche angolo della mente riappaiono per assumere una disposizione nuova.
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la prima riflessione è nata stamattina prima della partenza, in un dialogo un poco affrettato sul mio sito col blogger che si è dato il nome di krammer.
lui ha provocato con una domanda una frettolosa esposizione della mia teoria probabilistica della realtà, con cui ho cercato di conciliare la fisica quantistica con la nostra tradizione filosofica.
con questo si rientra nel solipsismo estremo. è plausibile, ma non me lo sento mio 😉
mi piace molto di più pensare che ci sia qualcosa di vero al di fuori di me, considera che ho da sempre rifuggito anche l’antropocentrismo 😀
mi viene più plausibile pensare che ci sia un’infinità di misteri attorno a noi ed in noi, in dinamica mutazione, e sono convinto che siamo direttamente correlati all’eternità adimensionale oggettiva, che poi è una delle immagini che mi oso dare di Dio.
ma a questo punto krammer ha denunciato il limite che a lui appare solipsistico di questa teoria, come se ci portasse a concludere che ogni singolo individuo è il creatore del mondo in quanto osservatore.
e io gli ho risposto in fretta e quasi senza rendermi conto della portata di quel che stavo dicendo:
no, non è solipsistico, secondo me: questo processo ha a che fare con la mente collettiva, non riguarda i singoli, ma la rete stessa della comunicazione globale umana.
l’individualità stessa, in questa visione, è una mera apparenza: perché ciascuno di noi è soltanto una sfaccettatura particolare della comunicazione globale.
(scusa la fretta)
non siamo lontani, comunque.
poi sono corso alle ultime sistemazioni dei bagagli.
ma solo adesso, in viaggio, mi accorgo di questa unificazione, nata per caso, di due punti della mia visione del mondo che fino ad ora hanno viaggiato separati: il carattere probabilistico della realtà e il carattere meramente apparente della individualità.
l’Occidente crede fermamente all’individuo, ed è questa fede cieca che lo trattiene sino ad oggi dall’accettare completamente l’idea che le cose sono il velo di Maia di una realtà più profonda.
questo succede se mettiamo al centro dell’essere l’osservazione (come faceva Berkeley); ma se invece comprendiamo che la realtà è creata dalla rete della comunicazione, allora ogni rischio di soggettivismo individualistico viene meno.
la cosa in fondo divertente, per me, è che da tempo io stesso mi arenavo di fronte a questa obiezione, senza vedere modo alcuno di superarla; ed invece la soluzione era semplice se solo l’avessi vista subito in un altro del mio pensiero.
essere non è essere percepiti, la pura percezione non ha la forza di dare esistenza alle cose; essere è essere comunicati; e dove esiste comunicazione, esiste per definizione una pluralità di soggetti e una rete comunicativa quasi illimitata che è essa sì il fondamento della realtà delle cose, che si definisce solamente attraverso i discorsi che ne facciamo.
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un altro pensiero intanto si deposita nella mente ed ho l’impressione che sia quasi collegato a questo che ho appena esposto, ma non saprei dire come.
questo nasce da un articolo letto ieri sera sull’Espresso e riguarda una tendenza che si va sempre più rafforzando sul piano giuridico e della tecnica processuale a introdurre nei processi per gravi delitti analisi approfondite del cervello dell’interlocutore che ne mostrano qualche visibile anomalia che sta all’origine del delitto stesso.
tipico il caso di alcuni esseri umani che hanno una visibile riduzione morfologica dell’area del cervello che si attiva per l’identificazione emotiva con l’altro, e una corrispondente riduzione funzionale di sentimenti come la compassione o il sentirsi parte di un gruppo.
fino a che punto persone con queste caratteristiche possono essere giudicate egualmente responsabili di azioni violente contro altri, dalle quali sono meno trattenuti per sentimenti di empatia umana?
ovviamente questa riflessione mi ha colpito perché si connette alle mie convinzioni sul carattere meramente convenzionale e sociale del concetto di responsabilità individuale, che è uno dei fondamenti della nostra visione morale del mondo e della nostra idea di giustizia.
ora, riflettevo, è sempre più probabile che si facciano strada considerazioni di questo tipo, rese oggi possibili da un livello di conoscenza del funzionamento del cervello enormemente sviluppato anche soltanto rispetto a qualche anno fa.
ma le loro conseguenze sono duplici: da un lato possono portare a una maggiore indulgenza verso il criminale che è più facilmente tale perché an-affettivo, dall’altro possono però portarci a chiederci – terribilmente – se vi può essere spazio nel mondo per chi è più portato a fare del male agli altri e a compiere delitti di sangue.
il rischio è cioè che la protezione sociale dalla violenza si sposti tendenzialmente, dalla punizione come rimedio post factum, ad un tentativo di controllo preventivo che non potrebbe che avere un lugubre significato eugenetico.
però potrebbe fare da antidoto a questo rischio l’episodio davvero emblematico che viene raccontato in quello stesso articolo: uno scienziato che sta svolgendo ricerca proprio su questo tema e casualmente scopre che il suo stesso cervello è quello di un potenziale criminale… ecc. ecc.
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i motori continuano a rombare, e io penso anche alla strana risposta ricevuta da quel mezzo genio caratteriale che è il blogger … (non ne farò il nome, e mi space se qualcuno lo riconoscerà egualmente).
mi ha offeso pesantemente nei giorni scorsi – a seguito di una mia critica esposta in modo veramente discreto – su un blog di gruppo su cui scrive, e io gli ho risposto abbastanza per le rime, oramai esausto dai suoi ripetuti sgarbi.
a questo punto sul SUO blog personale mi ha chiesto scusa, ed io ho provato a chiudere la storia, con un commento conciliante, se non altro per estenuazione, ma senza troppa convinzione.
infatti! l’intervento di un coautore del blog di gruppo sul suo blog è bastato a fargli cancellare il post di scuse.
e la giustificazione che ha dato è stata sostanzialmente che un buon rapporto con quel blogger gli fa comodo perché l’altro sa come portare più lettori al blog di gruppo…
sono rimasto colpito dalla spietatezza di questo opportunismo e dalla sua contemporanea assoluta ingenuità.
come è possibile mettere alla berlina la propria immagine pubblica per un “vantaggio” così ridicolo e inconsistente?
ecco un altro caso di an-affettività?
o comunque di cervello anomalo, che compensa alcune prestazioni eccezionali sul piano logico ed espressivo con una vera e propria mutilazione affettiva.
di nuovo non ha nessun senso introdurre il concetto di colpa, così non ha senso rimproverare qualcuno perché ha la sindrome di Asperger e dunque non è in grado di avere un comportamento coerente oppure di vedere negli altri esseri umani qualcosa di diverso da meri fantasmi, spettatori dei suoi giochi.
ancora una volta il concetto di colpa è rozzo e primitivo: allontana oramai dalla comprensione di quel che abbiamo attorno.
ma in fondo già esiste una specie di filosofia popolare che da un lato considera ciascuno di noi un carattere con caratteristiche proprie immodificabili, e dall’altro, senza porsi nessun problema di coerenza, considera ciascuno di noi pienamente responsabile delle sue azioni, come se il carattere in cui fermamente si crede non esistesse, oppure non dovesse contare più di fronte all’idea necessaria di colpa.
il concetto di colpa – che interviene socialmente – dovrebbe interferire poco con una valutazione ben documentata sulla utilità, e quale, di mantenere comunque delle relazioni anche con esseri umani che appaiono potenzialmente lesivi.
anche perché l’alternativa è di non avere alla fine nessuna relazione, e perché noi stessi siamo tali.
– e lo sappiamo bene: magari soltanto in misura differente, ma dove sta il confine?
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ma perché vi (mi) intrattengo con queste tediose questioni?
non farei meglio a cominciare a riassumere quel che ho letto sulla guida di Hong Kong (e di Macao) in queste ore che sto impiegando ad arrivarci?
per il momento mi soffermo su un punto soltanto: che in queste due parti autonome della Cina esistono due monete speciali, diverse da quella nazionale: il dollaro di Hong Kong e un’altra ancora a Macao.
al mondo non esistono solo stati diversi che condividono la moneta, come nel caso dell’euro, il più vistoso fra i tanti, ma anche stati che hanno al proprio interno monete differenti.
davvero non ci si finisce mai di stupire, e forse si viaggia proprio per questo.
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ed ora chiudo le trasmissioni e provo a dormire.
ma sarà dura perché il netbook sul quale scrivo ha conservato l’orario della partenza, senza tenere conto dei fusi orari, e mi dice che sono soltanto le 19:42; ho alle spalle 7 ore di volo e ne ho davanti altre 4.
a riscriverci a presto.
Ti ho letto!
Tutto estremamente interessante, ma… ora è tardi per me, anche per me nottambula.
Hong Kong… ricordo!
Bort, stai bene!
Ti scrivo presto!
Un abbraccio
gb
che bello un saluto che trasvola i cieli!
e io che devo alzarmi, invece, se voglio vedere qualcosa, quando mi piacerebbe girarmi dall’altra parte e rimettermi a dormire! 😦
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