Tijuana, 29 ottobre, secondo l’ora locale
che cosa raccontare di Tijuana, una citta` che un secolo fa era un borgo di 1.000 persone ed ora e` cresciuta di 1.200 volte tanto, cioe` e` diventata piu` grande di Torino o di Genova ed e` considerata una citta` ricca e costosa rispetto agli standard delle altre citta` messicane?
dopotutto l’ho visitata dalle 11 di mattina, orario in cui sono uscito dalla camera, alle 3 del pomeriggio, con in mezzo due pranzi, uno alle 11 e uno alle 14 e un rientro all’hotel all’una per il check out.
in realta` credo che per una visita completa sarebbe bastato solo un paio d’ore in piu`, cioe` muovere le chiappe alle 9, quando mi sono svegliato.
ma proprio il carattere cosi` comune di Tijuana, che e` priva di qualunque caratteristica troppo individualizzata che non sia la velocita` tutta californiana della sua espasione, la rende interessante come primo approccio al Mexico e qui provo a dire tutte le mie impressioni sulla citta` e su questo primo squarcio di nazione.
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per prima cosa, sono spariti i barboni dalle strade; se volete il livello medio della ricchezza (e della bellezza) si e` molto abbassato, anzi e` chiaro che siamo tornati ai confini del terzo mondo, in un paese non troppo sviluppato e c’e` il solito disordine, che e` anche vitalita`; ma la conferma che la poverta` estrema e` il prodotto della diseguaglianza sociale sta nelle strade modeste di Tijuana, dove mancano le immagini di abbrutimento estremo dell’altra California, quella degli States.
capisco che questo possa meravigliare o sembrare preconcetto, ma non posso fare altro che dire la verita` di quello che ho visto.
magari molti che si recano li` non li vedono neppure gli homeless o e` come se non li vedessero, ma io invece ho uno sguardo che li vede; che cosa posso farci?
e a Tijuna, un poco stracciona, sporca e disordinata non ce n’erano…
insomma, la sensazione mia e` di essere in un paese molto piu` egualitario, cioe` piu` democratico.
l’America che ho visto non e` veramente la patria della democrazia, intesa come potere del popolo; e` piuttosto la patria della liberta`, intesa come possibilita` dei potenti di arricchirsi sempre di piu` e di fare quel che gli pare: individualismo sfrenato, che si traduce anche in freddezza dei rapporti sociali.
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per farmi perdonare questa tirata, diro` subito allora degli abitanti di Tijuana, che sono pure esteticamente mediocri: nessuna stangona bionda, ma neppure bruna, e raramente qualche viso carino; nessun iper-muscolato da palestra; meno tatuaggi e dove ci sono, limitati: nessuna cattedrale ambulante del tatuaggio, come se ne vedevano un centinaio di km piu` su; visi dimessi, a volte senza troppa luce e con qualcosa di teso; ma…
ma la seconda sorpresa sono i colori e la ricchezza dei murales.
niente di particolare ne` tanto meno d’autore, cose in fondo dozzinali, pero`, forse anche per merito della luce solare, questo affascinante accostamento di colori sgargianti colpisce tanto di piu` quanto piu` e` casuale e privo di una precisa intenzionalita` artistica: e` un modo di essere felice e spontaneo, inconsapevole e soltanto naturale per chi lo pratica.
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terza sorpresa, e adesso non ridete: saluto anche il felice ritorno dello stuzzicadenti anche nella trattoria popolare in cui mangio la prima squisita ziuppa di trippa e ossa col grasso: mi mancavano.
e dopo gli stuzzicadenti con tanto di piccolo capitello del Giappone e quelli sottilissimi e flessibili, quasi invisibili, della Polinesia, saluto degli stuzzicadenti dalla forma tipicamente italiana, appuntiti dalle due parti, e mi viene in mente quel film dove Benigni li scelse a perfetto simbolo di italianita`, o quanto meno, avederlo da qui, di mediterrenita`.
perfettamente consapevole di sembrare un idiota nel dirlo, gli stuzzicadenti a due punte credo mi facciano lo stesso effetto che le bacchette per il riso a un cinese: mi sento gia` tornato quasi a casa.
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il monumento moderno piu` notevole di Tijuana, citta` fortemente impegnata a darsi una identita` come centro di ricerca culturale avanzata, e` il suo recentissimo Centro Culturale, che contiene diversi musei e agisce come centro di varie inziative.
mi piacerebbe dare un’occhiata almeno all’acquario, ma oramai sono nella paranoia solita di un arrivo molto anticipato all’aeroporto.
e potrei anche prendermela piu` comoda: dopotutto ieri, mentre cercavo uno sportello bancomat funzionante, non ho anche scoperto che la fermata dei taxi e` solo a un centinaio di metri dal Caesar Hotel?
non troppi neppure per il trascinamento del mio azzoppato trolley…
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ed ecco che accetto senza fiatare la richiesta del nuovo tassista di 15 dollari per l’aeroporto, e lui resta piacevolmente sorpreso: evidentemente qui si e` abituati a trattare.
non sa che lo faccio per spirito scaramantico: vedremo all’aeroporto se mi hanno fregato in qualche modo col biglietto oppure no; in ogni caso, lungo la strada, ecco la famigerata agenzia di viaggi, aperta, dovessi tornarci a protestare.
ma no, tutto bene!
soltanto, direi in questo momento che mancano 10 minuti alla partenza e il check in non e ancora iniziato, che l’aereo partira` in ritardo, e dunque arrivero` alla capitale dopo mezzanotte, considerando che si cambia fuso orario e si aggiunge un’ora; e spero di trovare qualche hotel economico aperto…
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macche`, tutto bene: il taxi e` costato piu` o meno come a Tijuana, anche se la distanza e` doppia; l’ho preso per sicurezza ai banconi dell’aeroporto che offrono il servizio di prenotazione, considerando che un taxi preso a caso qui puo` risultare pericoloso, e sono sbarcato all’Hotel Isabel, nel centro storico, scelto sulla guida Lonely Planet per il suo aspetto un poco decadente e bizzarro, che infatti non ha deluso, e la camera col bagno esterno costa esattamente come il taxi.
alla reception un coetaneo del Quebec, molto socievole, appena arrivato anche lui: scambiamo in francese battute e risate e ci lasciamo con l’augurio di ritrovarci nei prossimi giorni.
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