Atlantide: la mia rassegna stampa del 3 settembre 2015 – 420.

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la notizia e` cosi` straordinaria, secondo me, che le dedico l’intera rassegna stampa di oggi.

Repubblica titola cosi:

Sommersa nel mare del Nord c’è un’Atlantide europea tutta da scoprire.

ma io credo che questa non sia una specie di Atlantide Europea, ma semplicemente l’Atlantide di cui si e` sempre parlato.

quindi, capirete, che la scoperta di Atlantide e` per me la notizia non solo del giorno, ma dell’anno.

vediamo esattamente di che cosa si tratta.

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fino a 7.500 anni fa, alla fine dell’ultima glaciazione, il mare del Nord, cosi` come il canale della Manica (anche se dalla cartina qui sopra non risulta), erano terre emerse, abitate dalle tribù del neolitico.

con lo scioglimento dei ghiacci la pianura che stava al posto del Mare del Nord divenne prima un’isola molto grande, poi, via via che il livello del mare saliva (sali` di quasi 200 metri), gli abitanti furono costretti a ritirarsi nei punti più alti dell’isola, ma alla fine anche le sue colline furono sommerse dalle acque.

la distruzione di una intera civilta` per l’innalzamento del livello dei mari seguito alla fine dell’ultima grande glaciazione e` un destino che questa regione condivide con le rive del Mar Nero, anche se li` la catastrofe avvenne in forme ben piu` devastanti, sotto forma di uno tsunami di inimmaginabili proporzioni e in poche ore, per il crollo del Bosforo, allora un istmo che separava dal Mar Mediterraneo il Mar Nero, rimasto a un livello piu` basso, come mare chiuso.

oggi nel Mare del Nord al largo dell’Inghilterra e` rimasto un enorme banco di sabbia sommerso a non più di trenta metri di profondità, chiamato Dogger Banks, l’ultima traccia dell’antica Doggerland.

e ora questa civilta` ancora sepolta nei fondali marini sara` l’oggetto di una esplorazione archeologica, finanziata dalla Comunita` Europea e condotta dall’Universita` di Bradford.

chissa` se si ritroveranno davvero i resti della antica Atlantide.

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ho sostenuto che si tratta della Atlantide di cui parla Platone in due dei suoi dialoghi, il Timeo e il Crizia.

e` una tesi difficile da dimostrare rigorosamente, la mia, e ci sono diversi elementi di questi due testi che la contraddicono.

eppure questa sembra una ipotesi abbastanza convincente, fino a che non si troveranno tracce di altre isole che possano corrispondere meglio alla descrizione di Platone.

e, se le indagini archeologiche dovessero trovare qualcosa che assomiglia alla descrizione che fa Platone nel Crizia, avremmo finalmente risolto un enigma alquanto new age, su basi storiche e razionali.

vediamo i pro e i contro, a partire da una citazione suggestiva, che conclude nel Timeo il cap. 3 che descrive quest’isola:

E però ancora presentemente quel mare non è corso da nessuno ed è inesplorabile; essendo d’impedimento il profondo limo, il quale, all’inabissare dell’isola, si scommosse.

non sembra la descrizione esatta dei banchi di sabbia di Dogger?

ah, occorre aggiungere una cosa: che gli antichi non avevano mai immaginato che il mare potesse alzarsi di decine di metri, come avvenne alla fine dell’era glaciale, e dunque Platone parla sempre, per descrivere il fenomeno, della terra che si inabissa…

secondo Platone l’isola e` nell’Oceano Atlantico, fuori dalle colonne d’Ercole; e questo corrisponde, ma non e` di fronte a loro, come scrive lui.

Quel mare (…) aveva un’isola innanzi alla bocca, che voi chiamate Colonne di Ercole.

secondo Platone l’isola era molto grande, piu` che la Libia (l’Africa settentrionale) e l’Asia (l’Asia minore) messe assieme.

ed era, l’isola, più grande che la Libia e l’Asia insieme, donde era passaggio alle altre isole a quelli che viaggiavano di quel tempo, e dalle isole a tutto il continente che è a dirimpetto, che inghirlanda quel vero mare.

le dimensioni del Doggerland originario non erano proprio cosi` cospicue, tuttavia la sua dimensione era di poco inferiore alla Germania e maggiore dell’Inghilterra, anche se oggi i banchi di sabbia di Dogger hanno soltanto le dimensioni di una media regione italiana.

secondo il racconto di Platone pero` l’isola fu sommersa dal mare da un terremoto in una notte sola.

Passando poi tempo, facendosi terremoti grandi e diluvii, sopravvegnendo un dì e una notte molto terribili (…) l’Atlantide isola, (…) inabissando entro il mare, sí sparve.

noi sappiamo invece di uno sprofondamento progressivo, anche se non si puo` neppure escludere qualche terremoto catastrofico dovuto alla sparizione dell’enorme peso esercitato dalla calotta glaciale, in particolare sulla vicina Scandinavia.

infine la cronologia: il racconto di Platone colloca a 9.000 anni prima di Solone la nascita di una civilta` in Grecia, dice che dopo parecchio tempo questa civilta` si scontro` con la civilta` che io qui chiamero` di Dogger, ma che lui chiama di Atlantide e che dominava l’Europa occidentale e anche il Mediterraneo occidentale, e infine che, passato del tempo ancora, come abbiamo appena letto, l’isola sprofondo` nel mare.

nel Crizia, invece, colloca 9.000 anni prima la guerra tra Atlantide e la Grecia di allora.

quanto allo sprofondamento finale del Doggerland esso viene datato oggi all’incirca al 5.500 a. C., come abbiamo visto, una data non troppo lontana da quella del crollo del Bosforo, che avvenne, se non ricordo male, attorno al 5.700 a. C., ma entrambe queste date non coincidono pienamente con quelle ricordate da Platone.

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non mi resta che aggiungere in appendice degli stralci dei due dialoghi di Platone che si occupano di Atlantide.

il secondo, in particolare, contiene una descrizione cosi` accurata della citta` principale, oltre al resto, che sarebbe davvero meraviglioso se gli archeologi trovassero qualcosa di simile li` sotto nei bassi fondali del Mare del Nord.

(spero che sopravviviate allo stile molto antiquato della traduzione del Timeo, ma in rete ho trovato questa…)

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Timeo, cap. 3

Io dirò quest’antica istoria, che io udii da uomo non giovine; perché allora Crizia, come disse ei medesimo, era già presso a novant’anni, ed io in su i dieci. (…)

Un certo uomo della nostra tribù, o perché così gli paresse, o per far piacere a Crizia, disse che Solone pareva a lui non solo nelle altre parti il maggiore sapiente che mai fosse, ma ancora in poesia più notabile di tutt’i poeti.

Il vecchio, mi par di vederlo, tutto si rallegrò; e, sorridendo, gli disse: 

O Aminandro, se la poesia egli avesse coltivato, non a sollazzo, ma sì come altri studiosamente, e compiuto l’istoria che ci recò egli qua dall’Egitto, la quale le sedizioni e i mali che trovò, facendo ritorno, necessitarono a trascurare; secondo mio avviso né Esiodo, né Omero, né qualunque altro poeta si voglia, mai non sarebbe venuto in maggiore fama di lui .

Quegli domandò:

Qual’era questa storia, o Crizia? (…)

Mi di’ dal principio, che ti raccontò Solone? e come? e chi la raccontò a lui per novella vera?

E Crizia a lui:

In Egitto, nel Delta propriamente, alla cui punta la fiumana Nilo si fende, e sì lo intornia, è una provincia, la quale si chiama Saitica; e la piú grande città di questa provincia è Sais, dove anco nato fu il re Amasi. (…)

Disse adunque Solone che là pervenendo, lo ricevettero a grandissimo onore; e che, dimandando delle antiche cose a quei sacerdoti in ciò più savii, si fu accorto che niente, per dire così, non sapevano né egli né gli altri Greci.

Fra le altre una volta, desideroso di trarli a ragionare degli antichi avvenimenti, si pone a dire delle cose di Grecia piú antichissime: di Foroneo, detto il primo, di Niobe, di Deucalione e Pirra, come camparono appresso il diluvio; e annovera le generazioni loro, e si studia, rammemorando i tempi, mettere a ragione gli anni degli avvenimenti de’ quali egli favella.

E uno molto vecchio de’ sacerdoti, gli disse così:

O Solone, Solone, voi Greci siete sempre fanciulli; un Greco non ci è, vecchio.

Ed egli, ciò udendo, disse:

Come di’ tu questo?

Rispose:

Tutti siete giovani dell’anima, imperocché in essa non avete serbato niuna vecchia opinione di tradizione antica, e niuna dottrina canuta per il tempo.

La cagione di ciò è questa: ei ci furono e saranno molti e diversi sterminii di uomini, grandissimi quelli per fuoco e acqua, da meno quelli per le altre innumerabili cose.

E veramente quello che si dice appresso voi, Fetonte, figliuolo del Sole, una volta aggiogato i cavalli al carro del padre, e montatovi su, non sapendo carreggiare la strada, avere arso ogni cosa sopra la terra, morendo egli di folgore; questo a forma di favola; il vero poi è lo dichinamento degli astri che si rivolvono per lo cielo attorno alla terra, e lo incendimento di tutte le cose sopra la terra per molto fuoco.

Piú allora periscono quelli che abitano in su le montagne e in alti luoghi aridi, che non quelli appresso al mare od ai fiumi; ma noi, il Nilo che bene è salvatore nelle altre distrette, campa ancora di questa, sciogliendosi dalle ripe e inondando.

E allora che diluviano la terra gli Iddii, si salvano quelli di su le montagne, i bifolchi e i pastori; là dove gli abitatori delle vostre terre portati sono dai fiumi dentro del mare: ma in questa contrada né allora, né le altre volte, mai da su non ruina l’acqua nella campagna; per lo contrario, di giù levasi ella naturalmente, e sí allaga.

E però si dice che serbate sono qua le memorie delle antichissime cose, da poi che sempre, alle volte più e alle volte meno, è umana semenza in tutt’i luoghi de’ quali non la discaccino verni crudi o caldi distemperati.

Per questo, ogni bella cosa grande o in qual si voglia modo notabile appresso voi intervenuta, o qua, o in altri luoghi, la quale noi avessimo conosciuto per fama, tutto registrato è infino dall’età antica e serbato qua nei templi.

Ma i vostri avvenimenti, e quelli degli altri, sono ogni volta registrati di fresco nelle scritture e negli altri monumenti che a repubblica si convengono; e novamente a usati intervalli di anni, sí come un morbo, scoppia, ruinando su voi, la fiumana di cielo, e lascia di voi quelli selvaggi di muse: sicché tornate da capo come giovini, non sapendo nulla di tutti gli avvenimenti di qua, né di quelli presso di voi, che furono negli antichi tempi.

Onde, o Solone, quello che hai narrato ora tu delle generazioni vostre, quasi differisce poco dalle novellette dei fanciulli; imperciocché voi non ricordate che uno solo diluvio della terra, là dove furono molti per lo passato; e così non avete pure nuove che vissuta sia nella vostra terra la più bella e buona generazione di uomini che mai si vedesse, de’ quali siete usciti, tu e tutta la cittadinanza, del piccol seme salvato; e vi mancan le nuove per ciò che di quelli sopravvanzati molte generazioni finiron la vita loro muti di lettere.

Un tempo, o Solone, avanti il paventosissimo scempio delle acque, la repubblica, la quale or si dice degli Ateniesi, era eccellentissima in arme, e in tutto governata a leggi bonissime; e si narrano di lei opere molto leggiadre e ordinanze bellissime sovra tutte quelle che il sol vide sotto il suo cielo, delle quali noi si abbia novelle.

Solone raccontò che egli, a udire, fu molto stupefatto; e prega i sacerdoti con grande istanza, che gli voglian diligentemente narrare e per ordine le cose tutte quante de’ cittadini suoi antichi.

E il sacerdote a lui:

Niente ho invidia, e sì il fo per te e per la tua città e per la Dea, la quale ebbe in sorte e quella e la nostra, e allevolle e disciplinò tutt’e due: quella mille anni innanzi, prendendo la semenza da Terra e Vulcano, questa poi; e dell’ordinamento suo è segnato nei sacri libri il numero di anni otto mila.

Adunque, dei tuoi cittadini vissuti è nove mila anni, ti dirò brevemente la più gentile opera che mai abbiano fatto: un’altra volta, poi, avendo agio, recandoci in mano le scritture, le sporremo tutte con cura e ordinatamente.

Quanto è a leggi, poni mente alle nostre; imperocché molti esempi di quelle che allora furono appresso voi, ritroverai qua appresso noi ancora presentemente. In prima, la generazion dei sacerdoti è sceverata dalle altre; e così similmente quella degli artigiani, dei quali ciascheduno, non meschiandosi ad altro, fa suo mestiere: e così similmente i pastori, i cacciatori, e gli agricoltori.

E la generazion degli uomini d’arme, vedi già ch’ella è spartita da tutte l’altre; ai quali comandan le leggi, che di niun’altra cosa prendano cura, salvo che delle faccende di guerra.

È armadura loro eziandio lo scudo, e arma la lancia; e noi primi ce ne fummo armati in Asia, avendole mostrate la Dea prima a noi, siccome mostrolle prima a voi in quei luoghi.

Quanto è poi a gentilezza, tu vedi la legge che è appo noi quanta sollecitudine da principio avesse della universale scienza del mondo, infino alla divinazione e alla medicina che alla sanità provvede, rivolgendo essa queste divine scienze a utilità delle umane cose; e come curasse delle altre scienze che seguitano a quelle.

Ora la Dea ordinò voi prima con questa instituzione e ordinamento; e vi elesse per istanza la terra dove nati siete, bene avvedendosi, che, posta essendo a dolce guardatura di cielo, porterebbe ella uomini prudentissimi.

Adunque, come vaga ch’ella è di guerra e sapienza, quel luogo elesse e allegrò prima di abitatori, il quale avea a portare uomini simigliantissimi a lei.

E vivevate con cotali buone leggi, e ancora con molto piú buono reggimento, entrando voi innanzi a tutti gli uomini in ogni virtú, come si conveniva, essendo voi rampolli e creature degli Iddii.

E molte generose opere della vostra repubblica, qua registrate, fanno maraviglia; ma una è, che avanza tutte in virtú e grandezza.

Imperocché narrano le scritture quanta spaventosa oste una volta i cittadini vostri raffrenassero, in quello che su tutta Europa e Asia riversavasi furiosamente, erompendo da fuori dall’atlantico pelago.

Quel pelago allora era navigabile, da poi che un’isola aveva innanzi dalla bocca, la quale chiamate voi Colonne di Ercole; ed era l’isola piú grande che la Libia e l’Asia insieme, donde era passaggio alle altre isole a quelli che viaggiavano di quel tempo, e dalle isole a tutto il continente che è a dirimpetto, che inghirlanda quel vero mare.

E per fermo, quel tanto mare che è dentro alla bocca della quale favelliamo, è un porto dalla stretta entrata, a vedere; ma quell’altro assai propriamente dire si può vero mare, e continente la terra che lo ricigne.

Ora, in cotesta isola Atlantide, venne su possanza di cotali re, grande e maravigliosa, che signoreggiavano in tutta l’isola, e in molte altre isole e parti del continente; e di qua dallo stretto, tenevano imperio sovra la Libia infino a Egitto, e sovra l’Europa infino a Tirrenia.

E tutta cotesta possanza, in uno restringendosi, tentò una volta, a un impeto, ridurre in servitù e la vostra terra e la nostra e tutte quante giacciono dentro dalla bocca.

Allora, o Solone, la milizia della città vostra per virtù e prodezza nel cospetto degli uomini si fe’ chiara.

Conciossiaché, essendo ella animosa sovra a tutti e molto sperta di guerra, parte conducendo le armi de’ Greci, parte necessitata a combatter sola per lo abbandonamento degli altri; ridotta in estremi pericoli; da ultimo gli assalitori ricacciolli e trionfò; e quelli non ancora fatti servi ella campò da servaggio, e quanti abitiamo dentro ai termini di Ercole liberò tutti molto generosamente.

Passando poi tempo, facendosi terremoti grandi e diluvii, sopravvegnendo un dì e una notte molto terribili, i guerrieri vostri tutti quanti insieme sprofondarono entro terra; e l’Atlantide isola, somigliantemente inabissando entro il mare, sí sparve.

E però ancora presentemente quel pelago non è corso da niuno ed è inesplorabile; essendo d’impedimento il profondo limo, il quale, al nabissare dell’isola, si scommosse.

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Crizia

Per prima cosa ricordiamoci che in totale erano novemila anni [10] da quando, come si racconta, scoppiò la guerra tra i popoli che abitavano al di là rispetto alle Colonne di Eracle e tutti quelli che abitano al di qua; e questa guerra bisogna ora descriverla compiutamente.
[11] A capo degli uni dunque, si diceva, era questa città, che sostenne la guerra per tutto il tempo, gli altri invece erano sotto il comando dei re dell’isola di Atlantide, la quale, come dicemmo, [12] era a quel tempo più grande della Libia e dell’Asia, mentre adesso, sommersa da terremoti, è una melma insormontabile [13] che impedisce il passo a coloro che navigano da qui per raggiungere il mare aperto, per cui il viaggio non va oltre.

Quanto ai numerosi popoli barbari e a tutte le stirpi greche che esistevano allora, per ciascuna lo sviluppo del discorso nel suo svolgersi mostrerà ciò che accadde; quanto invece alla stirpe degli Ateniesi di allora e degli avversari contro i quali guerreggiarono, è necessario innanzi tutto esporre da principio la potenza di ciascuno e le loro costituzioni. (…)

Essendoci dunque stati molti e terribili cataclismi in questi novemila anni – perché tanti sono gli anni che intercorrono da quel tempo fino a oggi – (…) quanto poi ai loro avversari, quali fossero le loro condizioni e come andassero le cose in origine, se in noi non è spento il ricordo di ciò che udimmo quando eravamo ancora bambini, ve lo spiegheremo: e ciò che sappiamo sia in comune [35] con gli amici.

E` d’uopo tuttavia, prima di iniziare il discorso, fornire ancora una breve chiarificazione, perché non vi sorprendiate di sentire pronunciare nomi greci per uomini barbari: ne apprenderete la causa. Solone, poiché aveva in mente di usare questo racconto per la sua poesia, cercando informazioni sul senso di questi nomi, trovò che quegli Egiziani che per primi avevano scritto questi nomi, li avevano tradotti nella propria lingua, e di nuovo egli, a sua volta, recuperando il significato di ciascun nome, li trascrisse trasferendoli nella nostra lingua.
E questi scritti appunto si trovavano in possesso di mio nonno, attualmente sono ancora in mio possesso, e me ne sono molto occupato quando ero un ragazzo. [36]

Se dunque udrete tali nomi, simili a questi nostri, non vi sembri strano: ne conoscete la ragione.

Ed ecco dunque qual era press’a poco l’inizio di questo lungo racconto.

Come si è detto prima [37] a proposito del sorteggio degli dèi, che si spartirono tutta la terra, in lotti dove più grandi dove più piccoli, e istituirono in proprio onore offerte e sacrifici, così anche Poseidone, che aveva ricevuto in sorte l’isola di Atlantide, stabilì i propri figli, generati da una donna mortale, in un certo luogo dell’isola.

Vicino al mare, ma nella parte centrale dell’intera isola, c’era una pianura, che si dice fosse di tutte la più bella e garanzia di prosperità, vicino poi alla pianura, ma al centro di essa, a una distanza di circa cinquanta stadi, [38] c’era un monte, di modeste dimensioni da ogni lato.

Questo monte era abitato da uno degli uomini nati qui in origine dalla terra, il cui nome era Euenore e che abitava lì insieme a una donna, Leucippe.

Generarono un’unica figlia, Clito.

La fanciulla era ormai in età da marito, quando la madre e il padre morirono.

Poseidone, avendo concepito il desiderio di lei, sì unì con la fanciulla e rese ben fortificata la collina nella quale viveva, la fece scoscesa tutt’intorno, formando cinte di mare e di terra, alternativamente, più piccole e più grandi, l’una intorno all’altra, due di terra, tre di mare, come se lavorasse al tornio, a partire dal centro dell’isola, dovunque a uguale distanza, in modo che l’isola fosse inaccessibile agli uomini: a quel tempo infatti non esistevano né imbarcazioni né navigazione.

Egli stesso poi abbellì facilmente, come può un dio, l’isola nella sua parte centrale, facendo scaturire dalla terra due sorgenti di acqua, una che sgorgava calda dalla fonte, l’altra fredda; fece poi produrre dalla terra nutrimento d’ogni sorta e in abbondanza.

Generò cinque coppie di figli maschi, [39] li allevò e dopo aver diviso in dieci parti tutta l’isola di Atlantide, al figlio nato per primo dei due più vecchi assegnò la dimora della madre e il lotto circostante, che era il più esteso e il migliore, e lo fece re degli altri, gli altri li fece capi e a ciascuno diede potere su un gran numero di uomini e su un vasto territorio.

Diede a tutti dei nomi, a colui che era il più anziano e re assegnò questo nome, che è poi quello che ha tutta l’isola e il mare, chiamato Atlantico perché il nome di colui che per primo regnò allora era appunto Atlante; [40] il fratello gemello nato dopo di lui, che aveva ricevuto in sorte l’estremità dell’isola verso le Colonne di Eracle, di fronte alla regione oggi chiamata Gadirica dal nome di quella località, in greco era Eumelo, mentre nella lingua del luogo Gadiro, il nome che avrebbe appunto fornito la denominazione a questa regione.

Ai due figli che nacquero nel secondo parto Poseidone diede, al primo, il nome Amfere e al secondo il nome Euemone; ai figli di terza nascita diede nome Mnesea, a quello nato per primo, Autoctone a quello nato dopo; dei figli di quarta nascita Elasippo fu il primo e Mestore il secondo; ai figli di quinta nascita fu dato il nome di Azae al primo, di Diaprepe al secondo.

Tutti costoro, essi stessi e i loro discendenti, per molte generazioni abitarono qui, esercitando il comando su molte altre isole di quel mare, ed inoltre, come si disse anche prima, governando regioni al di qua, fino all’Egitto e alla Tirrenia.

La stirpe di Atlante dunque fu numerosa e onorata, e poiché era sempre il re più vecchio a trasmettere al più vecchio dei suoi figli il potere, preservarono il regno per molte generazioni, acquistando ricchezze in quantità tale quante mai ve n’erano state prima in nessun dominio di re, né mai facilmente ve ne saranno in avvenire, e d’altra parte potendo disporre di tutto ciò di cui fosse necessario disporre nella città e nel resto del paese. Infatti molte risorse, grazie al loro predominio, provenivano loro dall’esterno, ma la maggior parte le offriva l’isola stessa per le necessità della vita: in primo luogo tutti i metalli, allo stato solido o fuso, che vengono estratti dalle miniere, sia quello del quale oggi si conosce solo il nome – a quel tempo invece la sostanza era più di un nome, l’oricalco, [41] estratto dalla terra in molti luoghi dell’isola, ed era il più prezioso, a parte l’oro, tra i metalli che esistevano allora – sia tutto ciò che le foreste offrono per i lavori dei carpentieri: tutto produceva in abbondanza, e nutriva poi a sufficienza animali domestici e selvaggi.

In particolare era qui ben rappresentata la specie degli elefanti.

Difatti i pascoli per gli altri animali, per quelli che vivono nelle paludi, nei laghi e nei fiumi e così per quelli che pascolano sui monti e nelle pianure, erano per tutti abbondanti e altrettanto lo erano per questo animale, nonostante sia il più grosso e il più vorace.

A ciò si aggiunga che le essenze profumate che la terra produce ai nostri giorni, di radici, di germoglio, di legni, di succhi trasudanti da fiori o da frutti, le produceva tutte e le faceva crescere bene; e ancora, forniva il frutto coltivato e quello secco [42] che ci fa da nutrimento e quei frutti dei quali ci serviamo per fare il pane – tutte quante le specie di questo prodotto le chiamiamo cereali – e il frutto legnoso che offre bevande, alimenti e oli profumati, il frutto dalla dura scorza, usato per divertimento e per piacere, difficile da conservare, [43] così quelli che serviamo dopo la cena come rimedi graditi a chi è affaticato dalla sazietà: [44] tali prodotti l’isola sacra che esisteva allora sotto il sole, offriva, belli e meravigliosi, in una abbondanza senza fine.

Prendendo dunque dalla terra tutte queste ricchezze, costruivano i templi, le dimore regali, i porti, i cantieri navali e il resto della regione, ordinando ogni cosa nel seguente modo.

Le cinte di mare che si trovavano intorno all’antica metropoli per prima cosa le resero praticabili per mezzo di ponti, formando una via all’esterno e verso il palazzo reale. Il palazzo reale lo realizzarono fin da principio in questa stessa residenza del dio e degli antenati, ricevendolo in eredità l’uno dall’altro, e aggiungendo ornamenti a ornamenti cercavano sempre di superare, per quanto potevano, il predecessore, finché realizzarono una dimora straordinaria a vedersi per la grandiosità e la bellezza dei lavori. Realizzarono, partendo dal mare, un canale di collegamento largo tre plettri, [45] profondo cento piedi [46] e lungo cinquanta stadi fino alla cinta di mare più esterna: crearono così il passaggio dal mare fino a quella cinta, come in un porto, dopo aver formato un’imboccatura sufficiente per l’ingresso delle navi di maggiori dimensioni. Inoltre tagliarono le cinte di terra che dividevano tra loro le cinte di mare all’altezza dei ponti, tanto da poter passare, a bordo di una sola trireme, da una cinta all’altra, e coprirono i passaggi con tetti, in modo tale che la navigazione avvenisse al di sotto: e infatti le sponde delle cinte di terra si elevavano sufficientemente sul livello del mare.

La cinta maggiore, con la quale era in comunicazione il mare, era di tre stadi di larghezza e di pari larghezza era la cinta di terra a ridosso; delle due cinte successive quella di mare era larga due stadi, quella di terra aveva ancora una volta una larghezza pari alla cinta di mare; di uno stadio era invece la cinta di mare che correva intorno all’isola stessa, nel mezzo.

L’isola, nella quale si trovava la dimora dei re, aveva un diametro di cinque stadi.

Questa, tutt’intorno, e le cinte, e il ponte, largo un plettro, li circondarono da una parte e dall’altra con un muro di pietra, facendo sovrastare il ponte, da entrambe le parti, da torri e porte, lungo i passaggi che portavano al mare; tagliarono la pietra tutt’intorno, al di sotto dell’isola centrale, e sotto le cinte, nella parte esterna e in quella interna, bianca, nera, rossa, [47] e mentre tagliavano creavano all’interno due profondi arsenali la cui copertura era di quella stessa pietra.

Quanto alle costruzioni, alcune erano semplici, mentre altre le realizzavano variopinte, mescolando, per il piacere della vista, le pietre: e così rendevano loro una grazia naturale; rivestirono tutto il perimetro del muro che correva lungo la cinta esterna con il bronzo, servendosene a guisa di intonaco, mentre quello della cinta interna lo spalmarono con stagno fuso, e infine quello che circondava la stessa acropoli con oricalco dai riflessi di fuoco. Il palazzo reale, all’interno dell’acropoli, era sistemato nel seguente modo.

Al centro il santuario, consacrato in quello stesso luogo a Clito e a Poseidone, era lasciato inaccessibile, circondato da un muro d’oro, e fu là che in origine concepirono e misero al mondo la stirpe dei dieci capi delle dinastie reali; ed era ancora là che ogni anno venivano, da tutte e dieci le sedi del paese, le offerte stagionali per ognuno di quelle divinità.

Il tempio dello stesso Poseidone era lungo uno stadio, largo tre plettri, proporzionato in altezza a queste dimensioni, e aveva nella figura un che di barbarico.

Rivestirono d’argento tutta la parte esterna del tempio, ad eccezione degli acroterii, e gli acroterii erano d’oro; quanto agli interni, il soffitto era a vedersi interamente d’avorio, variegato d’oro, argento e oricalco; tutte le altre parti, pareti, colonne e pavimento, le rivestirono di oricalco.

Vi collocarono statue d’oro, il dio in piedi su un carro, auriga di sei cavalli alati, egli stesso tanto grande da toccare con la testa il soffitto del tempio, tutt’intorno cento Nereidi [48] su delfini – perché tante pensavano allora che fossero le Nereidi – e vi erano molte altre statue, doni votivi di privati. Intorno al santuario, all’esterno, si trovavano immagini d’oro di tutti, le donne e quei re che nacquero dai dieci, e molte altre offerte votive di grandi dimensioni, di re e privati, originari della città stessa e di altri paesi esterni, quelli sui quali governavano.

L’altare, per la grandezza e la raffinatezza del lavoro, era in armonia con questo apparato, e la reggia, allo stesso modo, ben rispondeva da una parte alla grandezza dell’impero, dall’altra allo splendore del tempio stesso.

Quanto alle fonti, quella della sorgente di acqua fredda e quella della sorgente di acqua calda, di generosa abbondanza, ognuna straordinariamente adatta all’uso per la gradevolezza e la virtù delle acque, le utilizzavano disponendo intorno abitazioni e piantagioni di alberi adatte a quelle acque e installandovi intorno cisterne, alcune a cielo aperto, altre coperte usate in inverno per i bagni caldi, da una parte quelle del re, dall’altra quelle dei privati, altre ancora per le donne, altre per i cavalli e per le altre bestie da soma, attribuendo a ciascuna la decorazione appropriata.

L’acqua che sgorgava da qui la portavano fino al bosco sacro di Poseidone, alberi d’ogni sorta, che avevano, grazie alla virtù della terra, bellezza ed altezza straordinarie, e facevano scorrere l’acqua fino ai cerchi esterni attraverso canalizzazioni costruite lungo i ponti.

E qui erano stati costruiti molti templi, in onore di molte divinità, molti giardini e molti ginnasi, alcuni per gli uomini, altri per i cavalli, a parte, in ognuna delle due isole circolari. Inoltre, al centro dell’isola maggiore, per sé si erano riservati un ippodromo, largo uno stadio e tanto lungo da permettere ai cavalli di percorrere per la gara l’intera circonferenza. Intorno a questo, dall’una e dall’altra parte, vi erano costruzioni per le guardie, per la gran massa dei dorifori; [49] ai più fedeli era stato assegnato il presidio nella cerchia minore, che si trovava più vicino all’acropoli, mentre a coloro che fra tutti si distinguevano per fedeltà erano stati dati alloggi all’interno dell’acropoli, vicino ai re.

Gli arsenali erano pieni di triremi e delle suppellettili necessari alle triremi, tutte preparate in quantità sufficiente.

E nel modo seguente erano poi sistemate le cose intorno alla residenza dei re: per chi attraversava i porti esterni, in numero di tre, a partire dal mare correva in cerchio un muro, distante cinquanta stadi in ogni parte dalla cinta maggiore e dal porto.

Tale muro si chiudeva in se stesso in uno stesso punto, presso l’imboccatura del canale dalla parte del mare.

Tutta questa estensione era coperta di numerose e fitte abitazioni, mentre il canale e il porto maggiore pullulavano di imbarcazioni e di mercanti che giungevano da ogni parte e che, per il gran numero, riversavano giorno e notte voci e tumulto e fragore d’ogni genere.

Abbiamo dunque riferito ora press’a poco quanto a quel tempo si disse della città e dell’antica dimora; cerchiamo allora di richiamare alla mente quale fosse la natura del resto del paese e come fosse organizzato.

In primo luogo tutto quanto il territorio si diceva che fosse alto e a picco sul mare, mentre tutt’intorno alla città vi era una pianura, che abbracciava la città ed era essa stessa circondata da monti che discendevano fino al mare, piana e uniforme, tutta allungata, lunga tremila stadi sui due lati e al centro duemila stadi dal mare fin giù.

Questa parte dell’intera isola era rivolta a mezzogiorno e al riparo dai venti del nord.

I monti che la circondavano erano rinomati a quel tempo, in numero, grandezza e bellezza superiori ai monti che esistono oggi, per i molti villaggi ricchi di abitanti che vi si trovano e d’altra parte per i fiumi, i laghi, i prati, capaci di nutrire ogni sorta di animali domestici e selvaggi, per le foreste numerose e varie, inesauribili per l’insieme dei lavori e per ciascuno in particolare.

Questa pianura in un lungo lasso di tempo, per opera della natura e di molti re, prese dunque la seguente sistemazione.

Aveva, come ho già detto, la forma di un quadrilatero, rettilineo per la maggior parte, e allungato, ma là dove si discostava dalla linea retta lo raddrizzarono per mezzo di un fossato scavato tutt’intorno: ciò che si dice della profondità, larghezza e lunghezza di questo fossato non è credibile, che cioè opera realizzata dalla mano dell’uomo potesse essere di tali dimensioni, oltre agli altri duri lavori che aveva comportato.

Bisogna tuttavia riferire ciò che udimmo: ebbene, era stata scavata per una profondità di un plettro, mentre la sua larghezza era in ogni punto di uno stadio, e poiché era stata scavata tutto intorno alla pianura, ne risultava una lunghezza di diecimila stadi.

Riceveva i corsi d’acqua che discendevano dai monti e girava intorno alla pianura, arrivando da entrambi i lati fino alla città, da lì poi andava a gettarsi nel mare.

Dalla parte superiore di questo fossato canali rettilinei, larghi circa cento piedi, tagliati attraverso la pianura, tornavano a gettarsi nel fossato presso il mare, a una distanza l’uno dall’altro di cento stadi.

Ed era per questa via dunque che facevano scendere fino alla città il legname dalle montagne e su imbarcazioni trasportavano verso la costa altri prodotti di stagione, scavando, a partire da questi canali passaggi navigabili e tagliandoli trasversalmente l’uno con l’altro e rispetto alla città.

Due volte l’anno raccoglievano i prodotti della terra, in inverno utilizzando le piogge, in estate irrigando tutto ciò che offre la terra con l’acqua attinta dai canali.

Quanto al numero degli uomini abitanti la pianura che fossero utili per la guerra, era stato stabilito che ogni lotto fornisse un capo: la grandezza di un lotto era di dieci stadi per dieci e in tutto i lotti erano sessantamila; per quel che concerne invece il numero degli uomini che venivano dalle montagne e dal resto del paese, si diceva che fosse infinito e tutti, secondo le località e i villaggi, venivano poi ripartiti in questi distretti, sotto il comando dei loro capi.

Era dunque stabilito che il comandante fornisse per la guerra la sesta parte di un carro da combattimento fino a raggiungere il numero di diecimila carri, due cavalli e i relativi cavalieri, inoltre un carro a due cavalli senza sedile, che avesse un soldato capace all’occasione di combattere a piedi, munito di un piccolo scudo, e assieme al combattente un auriga per entrambi i cavalli; due opliti, due arcieri e due frombolieri, tre soldati armati alla leggera che lanciano pietre e tre lanciatori di giavellotto, quattro marinai per completare l’equipaggio di milleduecento navi.

Questa era dunque l’organizzazione militare della città regia; diversa invece quella in ognuna delle altre nove province, che tuttavia sarebbe troppo lungo spiegare.

Quanto alle magistrature e alle cariche pubbliche, furono così ordinate fin da principio.

Ciascuno dei dieci re esercitava il comando nella propria parte e nella sua città sugli uomini e sulla maggior parte delle leggi, punendo e mettendo a morte chiunque volesse; ma il potere che avevano l’uno sull’altro e i rapporti reciproci erano regolati dalle prescrizioni di Poseidone, così come li avevano tramandati la tradizione e le lettere incise dai primi re su una stele di oricalco, che era posta nel centro dell’isola, nel santuario di Poseidone, dove ogni cinque anni e talvolta, alternando, ogni sei si riunivano, assegnando uguale importanza all’anno pari e all’anno dispari. In tali adunanze deliberavano degli affari comuni, esaminavano se qualcuno avesse trasgredito qualche legge e formulavano il giudizio.

Quando dovevano giudicare, prima si scambiavano tra loro assicurazioni secondo il seguente rituale.

Alcuni tori [50] venivano lasciati liberi nel santuario di Poseidone, e i dieci re, rimasti soli, dopo aver rivolto al dio la preghiera di scegliere la vittima che gli fosse gradita, davano inizio alla caccia, armati non di armi di ferro, ma solo di bastoni e di lacci; il toro che riuscivano a catturare, lo conducevano davanti alla colonna e lì, sulla cima di questa, lo sgozzavano proprio sopra l’iscrizione.

Sulla stele, oltre alle leggi, v’era inciso un giuramento che lanciava terribili anatemi contro i trasgressori.

Così, compiuti i sacrifici conformemente alle loro leggi, quando passavano a consacrare tutte le parti del toro, mescolavano in un cratere il sangue e ne versavano un grumo per ciascuno, mentre il resto, purificata la stele, lo ponevano accanto al fuoco; dopodiché, attingendo con coppe d’oro dal cratere e offrendo libagioni sul fuoco, giuravano di giudicare conformemente alle leggi scritte sulla stele, di punire chi in precedenza tali leggi avesse trasgredito e, d’altra parte, di non trasgredire per precisa volontà in avvenire nessuna delle norme dell’iscrizione, che non avrebbero governato né obbedito a chi governasse se non esercitava il suo comando secondo le leggi del padre.

Ciascuno di loro, dopo aver innalzato queste preghiere, per sé e per la propria discendenza, beveva e consacrava la coppa nel santuario del dio, poi attendeva al pranzo e alle occupazioni necessarie, e quando scendevano le tenebre e il fuoco dei sacrifici si era consumato, indossavano tutti una veste azzurra, bella quant’altre mai, sedendo in terra, accanto alle ceneri dei sacrifici per il giuramento.

Di notte, quando ormai il fuoco intorno al tempio era completamente spento, venivano giudicati e giudicavano se uno di loro avesse accusato un altro di violare qualche legge; dopo aver formulato il giudizio, all’apparire del giorno, incidevano la sentenza su una tavola d’oro che dedicavano in ricordo insieme alle vesti.

Vi erano altre leggi, numerose e particolari, che concernevano i privilegi di ciascun re, tra le quali le più importanti: che non avrebbero mai impugnato le armi l’uno contro l’altro e che si sarebbero aiutati vicendevolmente, e se uno di loro in qualche città tentava di cacciare la stirpe regia, avrebbero deliberato in comune, come i loro antenati, le decisioni che giudicassero opportuno prendere riguardo alla guerra e alle altre faccende, affidando il comando supremo alla stirpe di Atlante.

Un re non era padrone di condannare a morte nessuno dei consanguinei senza il consenso di più della metà dei dieci.

Tanta e tale potenza, viva allora in quei luoghi, il dio raccolse e diresse poi contro queste nostre regioni, dietro siffatto pretesto, come vuole la tradizione.

Per molte generazioni, finché fu abbastanza forte in loro la natura divina, erano obbedienti alle leggi e bendisposti nell’animo verso la divinità che aveva con loro comunanza di stirpe: avevano infatti pensieri veri e grandi in tutto, usando mitezza mista a saggezza negli eventi che di volta in volta si presentavano e nei rapporti reciproci.

Di conseguenza, avendo tutto a disdegno fuorché la virtù, stimavano poca cosa i beni che avevano a disposizione, sopportavano con serenità, quasi fosse un peso, la massa di oro e delle altre ricchezze, e non vacillavano, ebbri per effetto del lusso e senza più padronanza di sé per via della ricchezza; al contrario, rimanendo vigili, vedevano con acutezza che tutti questi beni si accrescono con l’affetto reciproco unito alla virtù, mentre si logorano per eccessivo zelo e stima e con loro perisce anche la virtù.

Ebbene, come risultato di un tale ragionamento e finché persisteva in loro la natura divina, tutti i beni che abbiamo precedentemente enumerato si accrebbero.

Quando però la parte di divino venne estinguendosi in loro, mescolata più volte con un forte elemento di mortalità e il carattere umano ebbe il sopravvento, allora, ormai incapaci di sostenere adeguatamente il carico del benessere di cui disponevano, si diedero a comportamenti sconvenienti, e a chi era capace di vedere apparivano laidi, perché avevano perduto i più belli tra i beni più preziosi, mentre agli occhi di coloro che non avevano la capacità di discernere la vera vita che porta alla felicità allora soprattutto apparivano bellissimi e beati, pieni di ingiusta bramosia e di potenza.

Tuttavia il dio degli dèi, Zeus, che governa secondo le leggi, poiché poteva vedere simili cose, avendo compreso che questa stirpe giusta stava degenerando verso uno stato miserevole, volendo punirli, affinché, ricondotti alla ragione, divenissero più moderati, convocò tutti gli dèi nella loro più augusta dimora, la quale, al centro dell’intero universo, vede tutte le cose che partecipano del divenire, e dopo averli convocati disse…

qui il testo del Crizia si interrompe; forse il resto dell’opera ando` perduto nell’incendio della biblioteca di Alessandria; o forse davvero Platone la lascio` incompiuta.

34 risposte a “Atlantide: la mia rassegna stampa del 3 settembre 2015 – 420.

    • la mia cultura fumettistica è zero su zero, ma chiunque condivide il mio entusiasmo è mio fratello, fosse pure fatto di cartoon… 😉

      come vedi non ho esitato a partire, ameno con la mente, per quei luoghi che ora saranno un po’ meno impossibili.

      ma chissà se ci faranno mai sapere qualche cosa di più!!!

          • Eh, Amen ☺
            Già che ci siamo hai mai provato ad usare il markdown? È una convenzione di scrittura che impagina automaticamente i pezzi (elenchi puntati, numerati, titoli ecc) che potresti trovare comodo

            • sono andato a leggermi la voce markdown su wikipedia e mi sta ancora girando la testa.

              inutile dirti che non ho capito affatto, praticamente, di che cosa si tratta.

              pero` intravvedo che si tratterebbe di una estensione anche di Chrome…

              onestamente neppure questo mi fa fare passi avanti e non ho capito neppure dove procurarmelo per capire in pratica come funziona…

              ma insomma, perche` dovrei smettere di digitare normalmente (a parte i lapsus continui) e passare a un sistema di scrittura piu` complicato? 😦

              che vantaggi me ne verrebbero?

  1. allora ho sbagliato epoca io: io sono del 1948, la prima metà del secolo scorso, giusto per dare l’idea… 🙂

    e allora si parlava del 1984, già indicato da Orwell come data cruciale, come di un favoloso futuro… 😉

  2. Santorini!

    Del resto, nessun evento del 5’500 avanti Cristo potrebbe essere arrivato fino a Platone. Non dico che sia impossibile che mio nonno alle 9 di mattina di centonovantacinque anni fa abbia assitito a una corrida. Dico, pero’, che è assolutamente impossibile che io oggi possa saperlo. Essi’ che centonovantacinque anni fa esisteva già la scrittura!

        • Precisamente, partendo dal presupposto che Lo Onorevole Platone non potesse assolutamente disporre di dati validi

          • no, i sacerdoti egizi che dicevano di conservare delle cronache scritte antichissime erano dei bugiardi, cosi` come gli autori della Bibbia che dicevano altrettanto: quei testi erano stati scritti molto piu` tardi e chissa` per quali esigenze politiche.

            comunque quel che dicono in generale della civilta` umana travolta da periodiche catastrofi che cancellano anche la sua memoria e` una delle cose piu` sagge e piu` vere mai sentite raccontare da una antica religione.

            rimane il fatto pero` che confusamente dietro alcune di queste storie si riesce ad individuare un possibile riferimento in qualche gigantesca catastrofe, anche veramente antica, come nel caso del diluvio (che ricorda bene lo tsunami mostruoso del Mar Nero per il crollo del Bosforo), oppure in questo ricordo di una grande isola, con una sua civilta`, sommersa dal mare.

            qui nel caso di Atlantide abbiamo due alternative: considerare valido che l’isola fosse molto grande e collocata oltre le colonne d’Ercole (qualunque fosse il significato di questa espressione al tempo di Platone) e dunque propendere per la tesi esposta qui sopra; oppure dare la prevalenza all’idea di un’isola che viene travolta da un’immane esplosione, piu` che da un terremoto, e dunque pensare a Santorini.

            ma questa seconda ipotesi mi convince poco e ritengo piu` probabile che abbia fornito solo un dettaglio finito nell’altra storia.

            insomma, quando si ha a che fare con tradizioni orali (come nel caso dei vangeli) capire dove stia il nucleo di verita` e` sempre molto difficile, se non ce lo dice qualche fonte esterna.

            e qui abbiamo a disposizione sia la sommersione dell’isola di Dogger sia l’esplosione dell’isola di Santorini.

              • il rapporto Mar Nero diluvio lo considererei assodato, ma soltanto in questo senso.

                tutte le civilta` umane o quasi conservano la storia di un cataclisma immane che ha sommerso nelle acque le terre abitate.

                difficile non riconoscervi la descrizione dell’innalzamento dei livelli dei mari di quasi 200 metri seguiti all’era glaciale su tutto il pianeta, soprattutto ora che sappiamo che l’innalzamento di quasi 10 gradi delle temperature alla fine dell’era glaciale avvenne in tempi assai rapidi, geologicamente parlando, e non fu spalmanto sui millenni, ma sui decenni e neppure moltissimi.

                nel Mediterraneo si aggiunse un tardo effetto di questo fenomeno, cioe` il crollo del Bosforo.

                non sappiamo bene se qualcosa del genere abbia riguardato anche lo stretto di Gibilterra in un periodo precedente: la profondita` minima attuale di circa 300 metri porta ad escluderlo, ma potrebbe essersi determinata anche successivamente e anche il Mediterraneo stesso in epoca glaciale avrebbe potuto essere un mare chiuso, piu` basso dell’oceano.

                • Pare che la stessa cosa sia successa allo stretto di GIbilterra ma talmente tanto tempo prima che l’uomo non ne fu nemmeno testimone.

                  Più pertinente mi sembra il fatto che leggo su wikipedia, che le colonne d’Ercole inizialmente erano quelle del Mar Nero, e che solo in un secondo tempo per analogia sono state chiamate con lo stesso nome anche quelle di Gibilterra. Tra l’altro Ercole anche come mito veniva proprio da li’.

                  • sul crollo di Gibilterra aspettiamo, col tempo forse ne sapremo di piu`.

                    quanto a quell’articolo di wikipedia e` veramente pessimo: non da` nessun riferimento per verificare le varie citazioni che fa.

                    ma non si trova neppure molto di meglio online, almeno a guardare i primi link di google.

                    ma credo di essermi messo su una strada senza sbocco con qiuesto post. 😦

                    vedi un po` la discussione con marta sul libro di Frau fra questi commenti, o questo articolo di Repubblica:
                    http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/07/13/sardegna-dalle-colonne-dercole-ad-atlantide-i-misteri-antichi-e-moderni/1867364/

                    rispetto al quale ritengo di obiettare che pero` certamente Platone distingueva l’Oceano Atlantico dal Mediterraneo, anche occidentale.

                    • Tu che vuoi sempre le fonti, ho verificato adesso la fonte di Wikipedia riguardo alla storia delle colonne d’Ercole orientali: è l’utente Fafabifiofo. Più autorevole di cosi’ HAHAHAHA

                  • qui trovo una prima citazione di Erodoto.

                    sapendo che Libia indicava allora l’Africa, pare evidente che qui Erodoto colloca le colonne d’Ercole a Gibilterra e che descrive rapporti commerciali tra i Fenici e popolazioni africane equatoriali (la Costa d’Oro?).

                    non risulta infatti alcuna produzione di oro nella parte mediterranea dell’Africa ne` oggi ne` nei tempi piu` antichi.

                    196, 1. I Cartaginesi raccontano anche questo: c’è una località della Libia e ci sono uomini che la abitano fuori dalle colonne d’Eracle; quando i Cartaginesi giungono presso di loro, scaricano le merci, le mettono in fila sulla spiaggia, salgono sulle navi e innalzano del fumo; gli indigeni, visto il fumo, vengono al mare e quindi, deposto dell’oro in cambio delle merci, si ritirano lontano da esse. 2. Allora i Cartaginesi sbarcano e osservano: se l’oro sembra loro corrispondere al valore delle merci, lo prendono e se ne vanno; in caso contrario, salgono di nuovo sulle navi e vi restano; gli indigeni si accostano e aggiungono altro oro, finché non li soddisfino. 3. Nessuno fa torto all’altro; infatti né i Cartaginesi toccano l’oro prima che gli indigeni l’abbiano equiparato al valore delle merci, né gli indigeni toccano le merci prima che gli altri abbiano preso l’oro [3].

                  • ed ecco dove Erodoto parla di nuovo delle Colonne d’Ercole:

                    Libro II 42
                    La Libia – come già abbiamo visto è il nome che i greci antichi danno all’Africa – in effetti si rivela essere interamente circondata dal mare, fuorché nel tratto di confine con Asia.
                    Per quanto ne sappiamo il primo ad averlo dimostrato fu il re d’Egitto Neco: interrotto lo scavo del canale che dal Nilo porta al Golfo Arabico, egli inviò dei Fenici su delle navi con l’incarico di attraversare le Colonne d’Eracle sulla via del ritorno, fino a giungere nel mare settentrionale e così in Egitto.

                    – notare bene che per chi viene da sud-ovest le Colonne d’Ercole sono descritte come punto di accesso al mare settentrionale, cioè il Mediterraneo, come strada per l’Egitto; la definizione non si adatterebbe alle localizzazioni proposte da Frau -.

                    I Fenici, pertanto, partiti dal Mare Eritreo, navigavano nel mare meridionale; ogni volta che veniva l’autunno, approdavano, in qualunque punto della Libia fossero giunti, seminavano e aspettavano il tempo della mietitura.
                    Dopo aver raccolto il grano, ripartivano, cosicché al terzo anno dopo due trascorsi in viaggio doppiarono le Colonne d’Eracle e giunsero in Egitto.
                    E raccontarono anche particolari attendibili per qualcun altro ma non per me, per esempio che nel circumnavigare la Libia si erano trovati il sole sulla destra.

                    43) Così si riconobbe la prima volta com’è la Libia; poi sono i Cartaginesi a dirlo, in quanto l’Achemenide Sataspe, figlio di Teaspe, non circumnavigò la Libia, benché fosse stato inviato con tale compito: ebbe paura della lunghezza della navigazione e della solitudine e tornò indietro, senza portare a termine la prova che sua madre gli aveva imposto.
                    Sataspe aveva violentato una ragazza, figlia di Zopiro figlio di Megabisso; quando poi per la sua colpa stava per venire impalato per ordine di re Serse, sua madre, sorella di Dario, intercedette per lui, affermando che gli avrebbe imposto una punizione ancora maggiore: lo avrebbe costretto a navigare intorno alla Libia fino a tornare, ultimato il giro, nel Golfo Arabico.
                    A queste condizioni Serse si dichiarò d’accordo, sicché Sataspe venne in Egitto, prese con sé navi e marinai egiziani e salpò alla volta delle Colonne d’Eracle; le varcò, doppiò il capo estremo della Libia, che si chiama Solunte, e diresse la rotta verso sud, percorrendo in molti mesi un lungo tratto di mare; ma gli restava pur sempre il tratto maggiore, voltò la prua e se ne tornò in Egitto.

                    qui c’è un problema, perché Solunte era una città cartaginese nel nord ovest della Sicilia…

                    ma nel libro I Erodoto ha definito molto bene anche che cos’è l’Atlantico:

                    I 202: effettivamente le acque percorse dalle navi greche, quelle situate al di là delle colonne d’Ercole, dette Atlantico, e il Mare Eritreo, formano un unico mare.

                    ma ecco altri passi che smontano la tesi di Frau:

                    Erodoto, Libro IV,
                    184) Ad altri dieci giorni di cammino dai Garamanti ci sono una collina di sale e una sorgente; attorno vi abitano uomini che si chiamano Ataranti: che sono gli unici uomini al mondo, a nostra conoscenza, a non avere nomi personali; tutti assieme si chiamano Ataranti, ma individualmente non hanno nomi.
                    Maledicono il sole, quando picchia forte, e oltre a maledirlo pronunciano al suo indirizzo tutte le imprecazioni possibili, perché con il suo ardore li sfinisce, loro e la loro terra.
                    Dopo dieci ulteriori giorni di marcia, altra collina di sale, altra sorgente e altri uomini stanziati intorno a essa.
                    Poco oltre si innalza il monte chiamato Atlante.
                    L’Atlante è un monte stretto e arrotondato su ogni versante, ma tanto alto che le sue vette, pare, non si possono nemmeno vedere: non sono mai sgombre di nubi, né d’estate, né d’inverno; a sentire gli abitanti del luogo, l’Atlante è la colonna che sorregge la volta celeste.
                    La popolazione ha derivato il suo nome da quello del monte: si chiamano infatti Atlanti.
                    Affermano di non cibarsi di alcun animale e di non sognare.
                    185) Fino agli Atlanti sono in grado di elencare i nomi dei popoli stanziati nel ciglio sabbioso, oltre non più; ma la zona di sabbia si estende fino alle colonne d’Eracle e oltre. In tale regione si trova una miniera di sale ogni dieci giorni di viaggio e uomini stanziati; tutte queste genti si costruiscono abitazioni con blocchi di sale; si tratta già di zone della Libia prive di piogge: in effetti i muri fatti di sale non resterebbero in piedi se vi piovesse. Il sale estratto dal suolo si presenta di colore bianco o rosso.
                    Al di là di questa striscia di territorio, verso il sud e l’interno della Libia, il paese è un deserto senz’acqua, senza animali, senza pioggia e alberi, senza la minima traccia di umidità.
                    186) In sostanza fino alla Palude Tritonide i Libici sono nomadi che si cibano di carne e bevono latte, che si astengono rigidamente dalle femmine dei bovini, per la stessa ragione degli Egiziani, e che non allevano maiali.
                    Neanche le donne dei Cirenei considerano lecito mangiare carne di vacca: se ne astengono in onore dell’Iside egiziana; per questa dea anzi osservano digiuni e celebrano feste.
                    Le donne di Barca evitano di consumare carne di vacca e anche carne suina.

                    quanto alla lunghezza della tradizione egizia, Erodoto racconta questa volta di cose viste in prima persona (Istoriai, che noi oggi traduciamo con Storie, significava in origine Cose viste).

                    [2]. Erodoto, Libro II,
                    142 1) Fino a questo punto della mia storia mi hanno raccontato gli Egiziani ed i loro sacerdoti.
                    Essi mi dimostrarono che, dal loro primo re fino a questo sacerdote di Efesto, che regnò per ultimo, corsero trecentoquarantuno generazioni, e che in questo periodo vissero altrettanti grandi sacerdoti e re.
                    2) Trecento generazioni in linea maschile portano a diecimila anni, perché tre di queste generazioni coprono cento anni; e le rimanenti quarantuno generazioni che si aggiungevano alle trecento danno mille e trecentoquarant’anni.
                    3) Così essi venivano a dire che in undicimila e trecentoquarant’anni non c’era stato nessun Dio in forma umana.
                    Non solo.
                    Ma negavano che alcunché di simile fosse avvenuto prima e dopo fra i re che continuarono a susseguirsi in Egitto.
                    4) Aggiunsero che durante questo periodo il sole cambiò quattro volte il suo oriente: levandosi due volte dove ora tramonta e tramontando due dove ora sorge, senza che nell’Egitto avvenisse alcun mutamento, né nella vita agricola, né nei sui fenomeni fluviali, né per le malattie, né per le morti.
                    143 1) Quando lo scrittore Ecateo espose a Tebe la sua genealogia, ricollegando la sua stirpe ad un Dio come sedicesima generazione, i sacerdoti di Zeus fecero con lui come più tardi fecero con me, ma io non esponevo la mia personale genealogia. 2) M’introdussero nell’interno del tempio, che è vasto; e mi mostrarono, enumerandole, ingenti statue di legno in quel numero che ho detto.
                    Perché ogni gran sacerdote fa nella sua vita erigere qui la propria immagine.
                    3) Mostrando ed enumerando i sacerdoti mi fecero vedere che ciascuno era figlio di un padre compreso nella serie; e percorsero tutte le statue, cominciando dal morto più recente, fino a che non le mostrarono tutte.
                    4) Ad Ecateo, che aveva esposto la propria genealogia e che si ricollegava ad un Dio nella sedicesima generazione, avevano essi con questa enumerazione opposta un’altra genealogia, respingendo la sua affermazione che da un Dio fosse nato un uomo.
                    Gli opposero questa genealogia come segue.
                    Gli affermarono che ciascuna delle statue colossali rappresentava un piromis nato da un piromis , e dimostrarono questa discendenza da piromis a piromis per tutte le trecentoquarantacinque statue, senza collegarle né a un Dio né a un Eroe.
                    Piromis corrisponde al valent’uomo della lingua ellenica.
                    144 1) Così fecero vedere che tutti coloro che erano rappresentati dalle immagini erano siffatti, e assi diversi dagli Dei; 2) mentre prima di questi uomini quelli che regnavano in Egitto erano Dei che vivevano insieme agli uomini, ed era sempre uno di loro che deteneva il potere.
                    Avrebbe regnato per ultimo, sul paese, Horo figlio di Osiride, che gli Elleni chiamavano Apollo.
                    Egli avrebbe, dopo aver deposto Tifone, regnato per ultimo sull’Egitto.
                    Osiride corrisponde in lingua greca a Dioniso.

    • Santorini e` decisamente inadatta al racconto del Crizia e, a parte la posizione, alle misure molto precise che da` Platone della capitale di Atlantide.

      lo osserva giustamente anche Buseca nel suo commento.

      ciononostante Santorini puo` avere fornito lo spunto per l’idea dell’inabissamento di Atlantide in una notte.

      il problema della sopravvivenza per millenni di informazioni cosi` dettagliate porterebbe davvero a considerare quel che Platone fa risalire ai sacrdoti egizi un semplice mito.

      pero`, a quanto ho appena scoperto, c’e` un problema, e cioe` che la descrizione del Crizia di quella citta` potrebbe ricordare in maniera addirittura sospetta e quasi alla perfezione anche nelle misure quella che il profeta Ezechiele fa nl suo libro biblico (capp.40;41) di una citta` e di un edificio che gli appaiono in una visione, anche se questa descrizione e` molto dettagliata, in maniera cosi` strana che sembra quasi si stia descrivendo una mappa.

      e questa e` considerata una descrizione del regno messianico; ma anche per Platone Atlantide era la sede di un mondo inizialmente perfetto.

      insomma, la descrizione molto minuziosa di una citta` e di un edificio ideali potevano essere una abitudine culturale di quel tempo.

    • no, non conoscevo questo testo, e ho letto, prima di risponderti…, e ti ringrazio molto di avermelo indicato.

      non e` affatto assurda la tesi che le colonne d’Ercole non fossero, in un primo momento, pensate come a Gibilterra, dove sarebbero state collocate mentalmente soltanto da Strabone nel I secolo a.C., ma a….

      ecco, dove esattamente?

      l’autore non mi pare che lo sappia: in un passo dice fra capo Bon e la Sicilia occidentale, ma e` assurdo, dato che Platone ad esempio le descrive come una bocca!

      ma allora perche` non pensare, invece, all’unico luogo del Mediterraneo chiamato bocca, cioe` alla Bocca di san Bonifacio?

      in un altro passo, invece, Frau le pone a Malta, e, a giudicare dalla descrizione, questa identificazione e` molto piu` convincente.

      pero` per fare questo bisogna ritenere che l’Oceano Atlantico che si apriva dopo di loro fosse in realta` il Mediterrano Occidentale…

      questo mi pare piu` difficile.

      e certamente non regge l’idea che Atlantide sia la Sardegna, visto che non e` sprofondata affatto. 🙂

      questo per dire velocemente le prime cose che mi vengono in mente.

      in ogni caso una tesi stimolante: e interessante davvero l’idea che le colonne d’Ercole fossero in origine una specie di cortina di ferro di mare fra mondo greco e mondo fenicio, poi spostata alla fine del Mediterraneo, quando Roma ne unifico` il controllo politico, in modo tale che non aveva piu` senso pensarle ancora li`.

      ma che stile difficile! e che confusione e che pesantezza espositiva!

      purtroppo a me questo stile da` l’idea di qualcuno che vuole intorbidire le acque (giusto per restare in tema…) piu` che chiarirle.

      in ogni caso, per quel che riguarda il tema del post non e` importante tanto la storia di questo concetto geografico cosi` come la abbozza Donadoni, ma l’idea che poteva averne Platone, che scrive il Timeo nel IV secolo.

      rileggiamo la sua descrizione:

      Quel mare allora era navigabile, da poi che aveva un’isola innanzi alla bocca, la quale chiamate voi Colonne di Ercole; ed era, l’isola, piú grande che la Libia e l’Asia insieme, donde era passaggio alle altre isole a quelli che viaggiavano di quel tempo, e dalle isole a tutto il continente che è dirimpetto, che inghirlanda quel vero mare.

      E per fermo, quel tanto mare che è dentro alla bocca della quale favelliamo, è un porto dalla stretta entrata, a vedere; ma quell’altro assai propriamente dire si può vero mare, e continente la terra che lo ricigne.

      non mi pare che si adatti bene alla ipotesi che fa Frau.

      ma per essere sincero, non si adatta bene a nessuna altra ipotesi, neppure a quella indicata qui sopra, che tuttavia e` migliore in un punto.

      che si trattava di un mare, secondo Platone, che e` diventato non navigabile per i bassi fondali dopo lo “sprofondamento” di una enorme isola che costituiva un vasto regno diviso poi in dieci regni minori, ma noi meglio abbiamo visto che si tratta invece di una sommersione per l’innalzamento del livello del mare…

      se si prende questo passaggio come fondamentale, torniamo sempre ai banchi di Dogger del Mare del Nord: non vedo altre candidature possibili, a meno di non pensare che quelle raccontate da Platone siano favole del tutto prive di ogni fondamento… 🙂

      e in questo caso le colonne d’Ercole le dobbiamo mettere tra Dover e Calais!

      si potrebbe anche pensare alla vasta zona a sud della Sicilia sommersa dal mare alla fine dell’ultima era glaciale, e questo collimerebbe in qualche modo con l’idea che le colonne d’Ercole fossero a Malta, ma non regge la descrizione dell’insieme delle isole alle quali si passa dopo varcate le colonne d’Ercole e del continente che costeggia quel mare, che descrive molto bene invece l’aspetto del mare del Nord alla fine dell’era glaciale.

        • ho approfondito ancora un pochino, dopo averti risposto.

          diciamo che c’e` voluta non piu` di un’oretta di letture varie da internet e ho esposto i miei risultati in altri commenti in modo piu` analitico.

          la tesi di Frau puo` essere affascinante, ma e` al di sotto di ogni standard di serieta` scientifica.

          nessun dubbio e` possibile sul fatto che gia` Erodoto, vissuto mezzo secolo circa prima di Platone, collocava, nella sua opera Istoriai (Cose viste, malamente tradotto di solito Le storie), le colonne d’Ercole dove le ha poi descritte anche Strabone qualche secolo dopo.

          e` vero che Platone attribuisce la testimonianza base su Atlantide a Solone, vissuto a sua volta un altro mezzo secolo, o poco piu`, prima di Erodoto, e che molto in teoria ai tempi di Solone, sessant’anni prima di Erodoto, forse le colonne d’Ercole potevano essere immaginate da qualche altra parte.

          ma non e` concepibile che in questo caso Platone non precisi nulla, visto che ai suoi tempi era assodato, per la gente colta, che le colonne fossero all’inizio occidentale del Mediterraneo e avrebbe dovuto evitare di indurre in errore i suoi lettori, se la collocazione geografica che intendeva Solone fosse stata diversa.

          o forse Platone non ha capito che Solone pensava che le colonne d’Ercole fossero in un punto diverso?

          e` pero` abbastanza incredibile che Frau non discuta questi aspetti del problema, almeno nei capitoli del suo libro accessibile in internet: anzi che ignori LE testimonianze fondamentali sulla questione, che sembrano dare torto senza appello alla sua ipotesi; non e` serio da parte sua.

          le sensazioni strane di pelle della lettura a questo punto cedono il posto ad un giudizio consapevole e informato di stroncatura per disonesta` intellettuale.

          (sempre che Frau non abbia affrontato questi problemi preliminari e dato qualche risposta in qualche parte del suo studio che non ho letto online).

          resta comunque sempre fermo il mio grazie per avermelo fatto conoscere, naturalmente!

  3. @ moselleorthodoxe

    certo che bisogna sempre cercare le fonti delle notizie!

    Fafabifiofo?

    urge mettere le mani su quella voce di wikipedia!!! che tentazione…

    • Fino al 2007 chiunque poteva modificare una pagina di wikipedia per renderla migliore. Oggi invece, te ne accorgerai facilmente anche tu, qualunque modifica fatta da un utente sconosciuto ai Solidali Membri della Comunità Wikipediana, viene cancellata senza spiegazioni. Dopo puoi provare a chiedere perché e allora, ex post, proveranno a inventarsi qualche menata per cui avevano assolutamente ragione di cancellarti, ma l’unico vero motivo è che a priori partono dall’idea che se non sanno chi sei hai sicuramente torto, e si coprono gli uni con gli altri per mantenere tutto come l’utente conosciuto, in questo caso Fafabifiofo, ha scritto. Ma forse sono io che son troppo pessimista, prova pure e chissà mai che i fatti non mi smentiscano!

      • veramente due anni fa, di ritorno dal viaggio in Indonesia, ho scritto per wikipedia una piccolissima voce sul pittore indonesiano Affandi, una specie di Picasso locale, dopo avere visitato il suo museo a Jogyakarta, senza trovare nessun problema.

        non ho controllato, ma credo che la voce sia ancora lì.

        e infatti, eccola:
        https://it.wikipedia.org/wiki/Kusuma_Affandi

        mi pare un po’ cambiata qua e là, ma riconosco come sicuramente mia almeno l’ultima frase!

        non è che il problema che hai trovato è tuo personale dopo qualche intervento improprio che hai fatto e che probabilmente ti ha fatto archiviare come fonte inattendibile???

        sinceramente mi sembrerebbe perfettamente logico e anche giusto…

        • Mah, che il problema sia solo mio è possibilissimo, ma loro non possono sapere chi sono perché ho cambiato connessioni e indirizzi IP moltissime volte, per cui se il problema è mio deve essere un problema legato al fatto che sbaglio l’approccio comunicativo, non lo so.

          • sbagliero`, ma non credo che basti cambiare quei dati per sfuggire al controllo.

            potrebbero facilmente riconoscerti per l’impronta stilistica, ad esempio, ci sono programmi abbastanza sofisticati per farlo.

            e dopotutto il modo in cui scriviamo e` altrettanto caratteristico delle impronte digitali fisiche.

  4. Pingback: Atlantide, diluvi… tutto vero | Buseca ن!·

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