Krammer, il problema degli italiani

Il post nasce così d’impeto, senza rifletterci troppo.

Il problema degli italiani non lo vedo tanto nell’ignoranza, ossia nella mancanza di cultura di per sè: tutte le popolazioni se prese nel loro complesso sono mediamente ignoranti, anche se certo in italia ci difendiamo benissimo in questa gara.

Il problema più grande lo vedo piuttosto nell’arroganza, nella convinzione di sapere, di essere intelligenti, di essere svegli, scafati, esperti. E’ questo che ci frega in particolare, come popolo.

Se pensi di sapere, non ti informi nemmeno, non ti incuriosisci, non approfondisci, non ascolti nemmeno posizioni diverse dalle tue. Questo a mio avviso è il cancro più profondo del nostro paese.

Scriveva bortocal in un commento, e sono perfettamente d’accordo: in Italia il ruolo della politica è rovesciato, nel senso che mentre nei paesi civili un politico propone un programma nell’intento di migliorare il paese attraverso un governo con l’appoggio degli elettori con la sua visione politica, invece in Italia i programmi politici si creano al solo scopo di piacere alle masse per conquistare il potere, e mantenerlo il più a lungo possibile.
“non e` il potere che serve per realizzare un programma, ma il programma che serve per conquistare il potere”.

Ma perchè questa inversione abominevole? La spiegherei proprio con l’arroganza di conoscenza: gli italiani danno il voto a chi è d’accordo con le loro posizioni precostituite, non a chi analizza il problema (e dunque per forza lo complica) e propone soluzioni più o meno valide ed articolate.

Ognuno è arroccato sulla sua posizione, sono i politici che a seconda di come gira il vento ammiccano ad una parte o l’altra dell’elettorato cambiando pure bandiera di volta in volta. Non hanno alcuna funzione di guida, d’esempio propositivo e propulsivo, si limitano a farsi piacere ad ogni costo. Non pastori che cercano di condurre le greggi verso pascoli migliori, ma pulci che si nutrono del sangue dei gruppi maggioritari, senza nemmeno tentare di farli spostarli di un millimetro: siamo piantati come sassi, e pure le pulci ci danno fastidio.

Accondiscendenza, questa è la politica in Italia.

Eppure mi chiedo: ma perchè gli italiani sono tanto arroganti, nascono imparati e non hanno alcun interesse a confrontarsi per apprendere magari qualcosa di nuovo?

Se la famiglia ed il gruppo sociale di cui si fa parte è ignorante ed arrogante, l’unico baluardo di salvezza dovrebbe essere la scuola, certo. Scuola che in Italia viene metodicamente smantellata, che non sprona gli studenti ad incuriosirsi, ad appassionarsi alle materie, ad imparare bensì scuola incentrata solo nella valutazione e nel giudizio, e che finisce sempre più spesso per regalare voti positivi, sempre nell’ottica dell’accondiscendenza popolare.

E’ un bel cane che si morde la coda, una situazione di stallo.

Non ci vedo soluzioni, se non il vagheggiamento di leader che sappiano promuovere cultura, passione e senso critico riuscendo al tempo stesso a piacere alle masse (utopia!), però azzardo un’ipotesi sul perchè siamo finiti in tale condizione.

E l’ipotesi è la nostra chiusura, linguistica prima di tutto (che ci taglia fuori dal confronto con il resto del mondo), ma anche culturale: ci hanno sempre detto che l’Italia è il paese più bello, più ricco di storia, arte, genio etc etc. Perchè dunque mettere il muso fuori di casa, per vedere effettivamente come gira il mondo altrove?

L’attaccamento alle radici è importante, ma se le radici marciscono significa che l’albero presto morirà, con una lenta agonia, ed è questo che sta avvenendo da noi, e l’italiano medio ne ha pure consapevolezza ma non ha i mezzi culturali e soprattutto la passione per cambiare prospettive.

Credo che sia giusto dire che non siamo i migliori da decenni ormai, altro che promuovere l’eccellenza: dovremmo estirpare con sudore e fatica tutto il marcio che sta sotto ad ogni sistema socioculturale del nostro paese.

E riconoscendo il nostro stato moribondo non dovremmo aver timore a chiedere aiuto all’esterno, aprirci a soluzioni esotiche, tentare strade originali, imparare nuove lingue e culture, mettere il muso fuori di casa. Ricominciare ad essere quello che eravamo un tempo e che ora non siamo più. Pluralità, questo ci manca e questo temiamo.

Ecco, se fossimo in un’isola spersa nel pacifico non avrei alcuna speranza.

Ma forse proprio il “dramma” dell’immigrazione potrà essere la nostra salvezza, se ci sapremo adattare cogliendo tutto ciò che di buono porta in seno.

Sulla rete invece pongo poche speranze, finchè non cominceremo a navigare su siti che non siano italiani fatti per italiani.

24 risposte a “Krammer, il problema degli italiani

  1. “Sulla rete invece pongo poche speranze”.

    dopo una decina d’anni di ubriacatura mentale mia sulla rete come strumento di democrazia, ci sto arrivando anche io.

    aggiungo al quadro gia` abbastanza torbido che, con tecniche che non so neppure individuare bene, alle nuove generazioni e` stata tolta ogni voglia di agire politicamente, al massimo qualche protesta insignificante contro questo o quel provvedimento singolo che disturba…

    • non dirlo a me…

      le nuove generazione sono vissute in una bolla di vetro, politicamente parlando, me compreso.
      io ho cominciato ad avvicinarmi alla politica dopo i 26-27 anni, informandomi scrupolosamente intendo, e guardacaso è coinciso con l’inserimento nel mondo lavorativo e relativa disillusione derivante.
      fino alla fine delle superiori non sapevo assolutamente nulla di politica, non faceva proprio parte del mio mondo e non me ne sono mai interessato (sentir parlare sempre e solo di berlusconi mi procurava conati di vomito), e neanche all’università mi sono mai addentrato nell’argomento in modo critico: come me un’infinità di coetanei che ho frequentato, e parlo dell’area veneta.
      poi certo qualche nicchia di politicamente attivi c’era, soprattutto alle superiori, ma si risolveva per lo più in figli di attivisti che riproponevano paro paro i pensieri di famiglia e della bandiera per cui parteggiavano, senza approcciarsi alla politica con quell’apertura mentale che sarebbe necessaria per comprenderne gli aspetti di fondo, per costruirsi un’opinione critica ragionata.

      l’impressione è che ci si avvicina alla politica solo quando si comincia a camminare con le proprie gambe uscendo dal nido e scontrandosi con la realtà (diversa da quella televisiva), ossia mediamente dopo gli studi per chi è benestante.
      storicamente la mia attenzione era solo rivolta al lavoro (quando non allo svago che mi potevo abbondantemente permettere, o ad altri interessi culturali), ma il lavoro lo vedevo come un dato di fatto solo da cogliere come una mela sull’albero: il dilemma era scegliere quale mela mi piacesse di più.
      la realtà è ben differente. il lavoro bisogna costruirselo, come singoli individui in primis ma pure salvaguardando il sistema sociale che sta alla base e dunque attraverso la politica.
      i giovani nella mia generazione che ora hanno tra i 25 e i 40 anni, hanno sempre guardato agli edifici ideali senza prestare la benchè minima attenzione al terremoto fattuale che li demoliva dalle fondamenta. e senza prestare attenzione al mondo che cambiava di anno in anno più rapidamente, distratti da quello stesso mutevole mondo sempre più variopinto.

      una trentina di anni fa le occupazioni extrascolastiche dei ragazzi erano enormemente limitate rispetto ai decenni successivi: allora quando ci si stufava della tv (accadeva ben presto, prima della tv commerciale) si faceva gruppo e inevitabilmente si parlava, ci si confrontava e si finiva per fare anche politica.
      dagli anni 90 con l’informatizzazione è cominciato l’isolazionismo individuale, con massicce dosi di tv commerciale prima e con i primi videogiochi casalinghi, poi con i pc, in seguito il bombardamento informativo attivo con le telecomunicazioni mobili e dagli anni 2000 con internet.
      i ragazzi oggigiorno sono al centro di un vortice caotico di distrazioni e “specchietti per le allodole”, pubblicità, mode, sovrinformazione, disinformazione mirata e di rimando (vedi i social).

      fintanto che c’erano i soldi immediati del papà e la prospettiva di un lavoro in apparenza “garantito”, i giovani che si potevano permettere di studiare se ne fregavano del marciume politico, c’erano centomila altre cose più allettanti a cui dedicarsi come passatempo.
      questo è un po’ il quadro generazionale di cui faccio parte, come ex studente di buona famiglia, appassionato ed intelligente.

      aggiungo nel quadro la parte sociale meno benestante che non si poteva permettere l’università e che non ha avuto i nostri privilegi: loro certamente si sono scontrati con la realtà ben prima, inserendosi immediatamente nel lavoro dopo le superiori se non addirittura dopo la scuola dell’obbligo.
      eppure, anche in quei casi, le circostanze sono risultate nefaste: a quei tempi di lavoro ce n’era ancora in abbondanza, sia nel pubblico che nel privato.
      questi giovani si sono “emancipati” in fretta, ma i soldi guadagnati si convertivano facili nelle nuove distrazioni sopra descritte.
      e in uno stato di carenza culturale (frequentazioni delle sole scuole superiori tecniche, quando non in assenza pure di quelle) questo strato sociale è finito per essere il più manipolabile.

      per chi è diventato presto imprenditore o dipendente di piccoli-medie imprese padronali, i problemi del lavoro che pian piano facevano capolino nelle loro esperienze dirette come si descrivevano?
      facile, colpa delle tasse!!! ecco costruirsi il nocciolo duro della destra berlusconiana.
      se un partito incita all’evasione, e l’evasione viene posta mediaticamente dalle TV (unico mezzo di informazione per moltissimi italiani, specie per chi sa a malapena leggere) come la sola possibilità per controbattere le varie “crisi economiche mondiali” e per arrivare a fine mese (secondo gli standard economici del tempo s’intende, ossia casa macchina moto vestiti griffati svaghi di ogni tipo etc etc) e in opposizione ai “comunisti” che le tasse volevano aumentarle (forti anche del precedente creato dal governo prodi nel 96 con la manovra per entrare nei parametri euro), diventa evidente dove la mancanza di informazione, di cultura e di senso critico vadano a parare.
      e loro si che facevano politica, e propaganda, senza mai accendere per un attimo il cervello: non ne avevano proprio i mezzi.

      ma vediamo pure l’altra sfera occupazionale: chi senza cultura è entrato nel settore pubblico e nelle grandi industrie manifatturiere, legandosi spesso ad un qualche tipo di clientelismo come i sindacati italiani (se non ne era legato già di famiglia), ha avuto una vita analoga ma con visione politica diametralmente opposta eppure allo stesso modo superficiale, di bandiera. loro lottavano (e lottano) di volta in volta solo per mantenere lo status quo: privilegi a volte abominevoli all’interno di un quadro economico e politico in caduta libera che non può più in alcun modo sostenerli, in barba al mondo che cambia.
      e la sinistra italiana purtroppo, almeno dal punto di vista mediatico, è stata proprio stereotipata in questa visione.
      eccoci dunque allo stallo.

      a completamento del quadro ci sono gli indifferenti anestetizzati, e non sono pochi, che lavorano anche come schiavi (quando lavorano) e hanno come unico pensiero quello di terminare la serata al bar a ubriacarsi vedendo la partita. ma ce ne sono sempre stati, suppongo.
      non considero nemmeno gli sbandati che si perdono nelle infinite varietà di droghe moderne, compresi passatempi online, gioco d’azzardo oltre alla chimica più classica.
      loro sono definitivamente persi e in genere non votano neppure, o votano quello che gli dice l’amico di turno.

      dunque ritorno per chiudere alla classe sociale che ha avuto la fortuna di avere un’istruzione adeguata, ed un minimo spirito critico e di interesse al confronto (fossero anche stati impartiti dalla propria famiglia, dove fosse mancata la scuola).
      non sono pochi, beninteso, quelli come me. con le dovute proporzioni, molti leggono e qualcuno scrive in blog come questo, che è a mio avviso l’esempio più emblematico di quello che significhi fare buona informazione, e discussione soprattutto.

      cosa ne scaturisce dalla lucida disamina che ci poniamo in questi spazi?
      che non c’è via d’uscita. che è meglio emigrare, o per chi può crearsi una nicchia di autosussistenza il più possibile slegato dalla società.
      se la politica è manovrata dagli imperi economici, perchè appassionarsi di politica, perchè lottare contro i mulini a vento?
      perchè combattere un sistema radicato capillarmente e infinitamente più potente di ogni singola persona, per quanto essa possa ritenersi intelligente e volenterosa? per di più a 30-40 anni…
      l’unico modo per emergere dallo stallo sarebbe il dialogo e l’unione di propositi tra un grande gruppo di persone curiose, competenti e dotate di senso critico, che si impegnino politicamente utilizzando i migliori mezzi oggi a disposizione: ma se il gruppo è sparuto, disgregato in gruppetti su sitarelli semisconosciuti, e se pure tra essi la comunicazione e l’accordo franano in molti casi, cosa ne resta?

      ogni entusiasmo viene spento attraverso la sana informazione del misero stato attuale: solo la disinformazione accende gli entusiasmi, in noi esseri emotivi, divisi e manipolabili. e non c’è alcun interesse ad accendere i nostri entusiasmi politici da parte di chi ha già potere, se non al contrario a smorzarli confondendoci le idee.
      questo credo possa rispondere un poco alla questione da te posta.

      ed aggiungo infine: se appare lampante che sia l’economia a tessere le trame del mondo umano, risulta allettante come conseguenza logica la ricerca della ricchezza, della popolarità e del successo individuale, anche nel caso (molto raro) si nutrano i migliori propositi di correzione del sistema.
      ed ecco spuntare così 10-100-1000 aspiranti ducetti, ognuno con la loro visione politica e col loro bagaglio più o meno vasto di incompetenza (il decisionista che fa da sè, in tali contesti così complessi, non può che far male a priori)
      e pletore di sostenitori ad inneggiare al seguito, nella speranza quasi religiosa che siano i nostri salvatori…

      vedi giusto per esempio il neoeletto sindaco brugnaro a venezia. ma pure berlusconi si centra bene in questo modello di decisionismo semplificante e populista all’italiana.
      così come renzi, salvini e pure grillo, mediaticamente parlando.

      • be`, hai scritto una bellissima riflessione, direi perfino un bellissimo post, anche se – come avviene per i miei – non so neppure bene quanti lo leggerebbero.

        pero` visto il contesto, direi che non stonerebbe nell’insieme delle riflessioni proposte, come post su questo blog che e` anche tuo.

        quanto a me, credo di avere rappresentato un’eccezione: ho cominciato a interessarmi delle cose del mondo (se vuoi, di politica) appena entrato alla scuola elementare, in seconda, a sei anni: il rito serale familiare dell’ascolto del giornale radio, dopo cena, credo che fosse all’origine di questa esperienza del tutto anomala.

        cosi` ricordo bene l’affondamento del transatlantico Andrea Doria (1956), la rivolta e la repressione sovietica in Ungheria (1956) e l’occupazione quasi contemporanea del canale di Suez da parte di inglesi e francesi, col leader russo Kruscev che, minacciando la guerra atomica, li costrinse a ritirarsi.

        credo che mi sia rimasta dentro quindi un’immagine della politica come enorme pericolo e catastrofe imminente.

        molto di quello che e` successo nei decenni ha confermato l’urgenza di agire per impedire guerre devastanti o la corruzione senza ritorno del nostro paese.

        questa PAURA e` l’unico motivo psicologica che mi constringe ancora oggi a interessarmene, anche se non piu` in modo attivo dopo la militanza che credevo rivoluzionaria degli anni Sessanta-Settanta.

        dal 1976 ho creduto ancora per una decina d’anni nel valore di un’azione culturale.

        poi sono diventato preside e ho fatto il mio lavoro al meglio che potevo, per 28 anni, spero abbastanza bene.

        le lotte che ho dovuto affrontare per questo, durissime e senza esclusione di colpi proprio da parte di qualche vecchio “compagno”, non mi hanno lasciato ebergie per fare altro, e il disincanto subentrato mi spinge ad amare il mio isolamento.

        negli ultimi 10 anni ho affiancato al mio lavoro il blog: gran bella esperienza e risveglio di molte illusioni.

        ma oggettivamente mi pare volga alla conclusione: riconosco che il mio mondo e` passato e forse non sono bene in grado di interpretare le nuove cose.

        non che non mi dia da fare e che mi manchino le idee, direi.

        tuttavia vedo il presente sotto l’occhio della catastrofe e credo che abbiamo superato il punto di non ritorno; non ho piu` ricette, le avevo, o meglio credevo di averle, dieci anni fa.

        • ti ringrazio, ho scritto di getto senza maschere, e come mi hai insegnato forse rende meglio degli orpelli barocchi 🙂
          togliamo il forse.

          non lo metto su un post, e la motivazione è che sono fatalista: è nato come commento, e come commento rimane 😛
          ma questo perchè, come dici anche te, anche se ne scrivessi un post non lo leggerebbe quasi nessuno, e preferisco a questo punto tenerlo nell’intimità dei commenti.
          se pensassi che potesse avere una qualche valenza comunicativa al di fuori delle piccola schiera di amici a cui mi rivolgo, certamente lo pubblicherei in modo diverso.

          _____________

          grazie per il tuo racconto, di fatti che ignoro o che conosco appena per “sentito dire” (delle vicende ungheresi me ne aveva parlato a volte un amico di sangue appunto ungherese, mio coetaneo), ascolto sempre come un bimbo incantato chi ha esperienze vissute da condividere, preziose come l’oro.

          in famiglia mia non si parlava mai di politica se non talvolta di berlusconi, della sua chiamiamola “spontaneità” (secondo mio padre) e della concezione di governo di una nazione come se fosse un’azienda. il pensiero era puerile: se è riuscito ad aver successo nelle sue imprese commerciale, avrà successo anche nel governo di un popolo.
          fortunatamente negli ultimi anni si sono ricreduti, e mia madre sta diventando grillina (c’avrei scommesso), mio padre invece si limita a sgobbare di lavoro come ha sempre fatto, disilluso ancor più di quanto già non fosse in precedenza…

          mi fai saltare alla memoria un ricordo antico, ai tempi delle elementari, durante la prima guerra del golfo (la prima di cui mediaticamente ho memoria): ricordo il terrore che avevo che richiamassero mio padre alle armi. non credo di averglielo mai detto.

          sgonfiato (per noi!!) come una bolla di sapone dopo qualche mese, forse è stata questa preoccupazione svanita a non farmi più sentire alcuna pressione esterna, vivendo appunto in una bolla di sapone tutta la mia giovinezza successiva.

          non avevo alcuna percezione di guerre devastanti all’orizzonte, anzi la quiete era tanta che ne sentivo pure la noia da adolescente. ma non ho quasi mai guardato la tv a parte per i cartoni animati e per i film e cazzate varie. ero fuori dal mondo, mi interessavo piuttosto di videogiochi, informatica, di scienze, di arti marziali e di sport in generale. oltre che di donne 🙂

          non sento alcuna paura, tutt’ora, e questo so che è il mio limite: posso razionalizzare cosa significhi vivere in guerra, ma è ben diverso dall’averlo provato. e in ogni caso razionalmente so che non potrei fare nulla per evitarlo, non ne ho nè le competenze nè le risorse nè la speranza concreta di una politica sociale consapevole da parte dei miei coetanei, che non sia mirata a cazzate o aspetti comunque marginali.

          _________

          mi sentirei di dire che non ci siano ricette valide, che non siano non per sè stessi e per i nostri cari che impariamo di giorno in giorno a conoscere meglio. in ogni caso la vita è un attimo e vale per tutti.
          non temo catastrofi totali, non per mano umana: non lo percepisco proprio come eventualità fattuale, a breve distanza (e intendo in senso razionalità, sia chiaro: so che è possibilissimo).
          ma detesto le ingiustizie e le cose fatte a cazzo di cane, questo si.

          • la vita non è certo un attimo, neppure individualmente.

            mi colpisce molto che quando parli di vita tu irresistibilmente ti riferisci alla tua individuale.

            per me viene altrettanto spontaneo fare l’opposto e pensare alla vita degli uomini prima e dopo di me.

            • sai che avrei detto il contrario?
              avevo risposto qualcosa parzialmente in tema proprio poco fa sull’altro commento.
              mi sarebbe utile sapere a quali passi ti riferisci, per capirci qualcosa di più.

              la vita è un attimo per ogni essere vivente se si considera l’enormità del tempo (e neppure considero lo spazio). quell’attimo può durare un giorno o cento anni, ma resta una briciola rispetto a tutto quello che c’è stato prima e ci sarà poi.

              ma probabilmente dipende anche dalla percezione personale, ed io percepisco la vita proprio come un attimo: tutti i ricordi passati si concentrano in un unico luogo, la mente che vive il presente sempre adesso.
              l’attimo presente, è vita. il futuro è previsione, il passato ricordo: l’uno si fonde spesso con l’altro, nell’immaginazione.

              • posso avere letto in fretta, ma per esempio l’ho percepito qui:

                “non sento alcuna paura, tutt’ora, e questo so che è il mio limite: posso razionalizzare cosa significhi vivere in guerra, ma è ben diverso dall’averlo provato”.

                per me la guerra è una catastrofe collettiva, prima che umana.

                e poi aggiungerei che mi pare naturale che la vita individuale si arrotoli su se stessa in una specie di eterno presente, se non viene scandita dai fatti storici e sociali circostanti, e non ne ricava in parte anche il proprio senso.

                io mi percepisco come sempre vissuto in rapporto con la storia del mondo: per questo SO anche dove questa storia mi ha modificato e la mia vita ha le sue fasi per così dire storiche.

                • continuo a non seguirti: in che senso la guerra è una catastrofe collettiva prima che umana? intendi umana nell’accezione del singolo individuo?
                  se non ho del tutto frainteso il tuo pensiero, mi sembra che tu ritenga la guerra come un male superiore rispetto ad altre sciaguratezze che incidono magari sulla vita di meno persone, quantitativamente parlando.
                  in tal caso te ne posso dare atto dal punto di vita di razionale, ma a livello emotivo non riesco a fare distinzione tra una guerra mondiale che ammazza 10 milioni di persone, una guerra locale che ne ammazza 10 mila, una strage che ne ammazza “solo” a centinaia o pure un omicidio a sangue freddo che uccide una singola persona, donna uomo vecchio o giovane che sia: in ogni caso quello che provo è orrore, rabbia e disgusto per i colpevoli che si macchiano del sangue di altre persone, e pietà per le vittime.

                  comunque il senso di ciò che avevo scritto è che la razionalizzazione della catastrofe è evidente (a maggior ragione se colpisce moltitudini di individui), ma immedesimarsi emotivamente in ciò che significa per una persona vivere tragedie simili, con tutte le conseguenze condizionanti nel bene e nel male, dal punto di vista di sensibilità e comportamento, credo sia impossibile.
                  chi pensa di “comprendere” cosa per un sopravvissuto possa significare l’esperienza di una guerra e tutti i risvolti che ne possono comportare senza averlo provato sulla propria pelle, è un illuso. ed anche se avesse provato qualcosa di simile, le reazioni umane sono molteplici ed imprevedibili: ogni cicatrice segna l’esistenza dell’individuo in un suo modo originale.

                  detto questo, certo che mi riferisco alla mia vita personale quando sostengo che non percepisco paura: per quello che è il mio carattere e per i miei trascorsi.
                  nella realtà in cui vivo, questa mancanza di percezione del pericolo mi ha portato ad azioni avventate che gente più timorosa eviterebbe. ma non ho la più pallida idea di come potrebbe cambiare il mio atteggiamento e le mie percezioni in una realtà diversa da quella che conosco direttamente (se vivessi in un territorio flagellato dalla guerra, potrei anche rivelarmi l’ultimo dei conigli). questo significava ciò che ho scritto in precedenza.

                  per concludere, come anche a te è accaduto in circostanze diverse, da ragazzo sono scampato alla morte (in un incidente stradale) e proprio da quel momento mi sono accorto di quanto la vita sia un attimo, da preservare e onorare più a lungo possibile.
                  ma questo vissuto non mi ha messo paura, anzi mi ha caricato di coraggio e intraprendenza verso le azioni che reputo meritevoli di essere compiute.

                  la cosa a dir poco difficile è discernere tra azioni meritevoli e non, senza farsi vincere da atteggiamenti impulsivi e dai vizi umani.
                  ed in genere più si pensa e meno si agisce.

                  • sì, per umana intendevo individuale.

                    inutile: dall’internet café scrivo in fretta e male per la concentrazione difficoltosa: rinvio la risposta a quando sarò tornato a casa e in pieno possesso delle mie facoltà… 😦

                    • nessun problema!
                      credo che per me sarebbe impossibile scrivere qualsiasi cosa nel caos di un internet point… buona permanenza e serenità, a presto 🙂

                  • eccomi a casa, nelle condizioni di una risposta fondata su un minimo di riflessione concentrata.

                    ho citato molto chiaramente la guerra come semplice esempio di una catastrofe complessiva e non come la piu` grave: la catastrofe climatica e` molto peggiore, per fare un altro esempio, e del resto porta anche delle guerre con se`; ma possono verificarsi catastrofi ancora peggiori, naturalmente.

                    quindi mi astengo dal replicare alla prima parte del tuo commento che mi pare un poco capzioso, essendo infondato.

                    pero` devo osservare che proprio la tua replica conferma l’osservazione che facevo in precedenza e alla quale tu rispondi, cioe` il mio disagio a fronte di un modo di percepire questi problemi che e` molto diverso dal mio e di tipo soggettivistico.

                    quando scrivi “a livello emotivo non riesco a fare distinzione tra una guerra mondiale che ammazza 10 milioni di persone, una guerra locale che ne ammazza 10 mila, una strage che ne ammazza “solo” a centinaia o pure un omicidio a sangue freddo che uccide una singola persona” e` evidente che riduci i fatti oggettivi soltanto alla tua dimensione individuale e che ti interessano solamente in quanto emozionano te.

                    la sofferenza oggettiva delle persone colpite da questi drammi diversi non ti interessa, ti occupi soltanto dell’effetto che le loro disgrazie fanno a te.

                    in questo modo di percepire la realta` gli altri sono dei meri fantasmi, delle immagini transeunti, non degli esseri umani veri: hanno perso ogni consistenza di realta`.

                    questa impostazione e` per me totalmente inaccettabile, ma probabilmente tu descrivi soltanto in maniera chiara ed efficace il mondo dei tuoi coetanei e quello che io chiamo il narcisismo di massa attuale.

                    e` evidente che sullo sfondo ci sta la presa del potere del mondo virtuale rispetto a quello reale, per cui la realta` e` fatta sostanzialmente di notizie, che contano per l’impatto emotivo sul singolo che e` il centro del mondo, e non di fatti e di persone reali, che contano in quanto tali.

                    il mondo e` uno spettacolo, una televisione, non e` reale (dal punto di vista di chia ha ancora una immagine pre-televisiva della realta`).

                    io sono pure molto narcisista, lo ammetto, ma il mio io narciso e`, e sente di essere, parte di una rete di individui reali come lui, non e` un narciso che sta in un mondo vuoto.

                    forse adesso anche la mia interpretazione e` piu` chiara (rinvio al sottotitolo sarcastico del mio blog: perche` vivere la vita se basta sognarla? col quale prendo posizione irridendola contro questa forma contemporanea di psicosi di massa – almeno dal punto di vista probabilmente del tutto superato di un vecchio, come sono io).

                    naturalmente non sto neppure piu` parlando di te individualmente, ma di una generazione e di un clima culturale; anzi a te devo dire grazie per avere reso esplicito quello di cui perlopiu` non si ha neppure coscienza.

                    direi che finalmente per la prima volta mi hai permesso di capire la sostanza vera della svolta antropologica della generazione italiana perduta e delle sue autentiche motivazioni: la perdita della realta`.

  2. Condivido ogni frase! Già dalla lettura delle prime frasi ho pensato esattamente le cose che tu poi ha scritto verso la fine. Penso proprio che tu abbia ragione, almeno questa è esattamente e proprio la mia esperienza dell’Italia e della scuola italiana.

      • Personalmente, fui un appassionato attivista politico negli anni delle medie, delle superiori e dell’università, poi andai a stare all’estero e da allora smisi di fare l’attivismo politico, ritenendo di non avere diritto a fare politica in uno stato diverso dal mio senza prima averne acquisito la cittadinanza, cosa che in 11 anni finora non sono ancora riuscito a fare.

        Ma c’è dell’altro.

        Quando ero un attivista politico, negli anni delle medie, delle superiori e dell’università, lo facevo perché mi piaceva, era come un hobby, un divertimento, ma non avevo mica capito che dalla politica potevano anche dipendere i destini di persone reali. Guardavo il telegiornale o leggevo il corriere della sera come se leggessi o guardassi una telenovela a puntate, appassionante, coinvolgente: riuscirà Cossutta a avere i numeri per non aver più bisogno di Bertinotti? Riuscirà Veltroni a fare le scarpe a D’Alema? Solo dopo ho cominciato a capire che si trattava di roba anche seria (certo il telegiornale o il corriere della sera non sembrano proprio fatti per dare questa impressione), ho cominciato ad avere paura della politica come di una bestia pericolosa, per non parlare della politica estera, con l’avvento dell’Isis, per cui adesso quasi non vorrei neanche sapere cosa succede da tanto mi fa spavento e rende più difficile la mia vita quotidiana: ho già abbastanza problemi cosi’, a trovare la linea giusta della metro senza farmi picchiare da qualche malvivente e poi sopravvivere nel pericolosissimo mondo del lavoro per le 8 ore successive, per voler appesantire le mie mattine leggendo anche i trafiletti dei giornali gratuiti alla pagina Estero: altri 40 sgozzati in Afghanistan, altre 200 rapite in Nigeria, l’Isis ha preso una nuova città in Siria: cosa me ne informo a fare, meglio non sapere, fa troppo spavento. Meglio cambiare canale.

        • grazie della tua preziosa testimonianza moselleorthodoxe!
          già, la politica è una cosa seria.
          [io ho avuto una sensazione del tutto analoga quando guidai per la prima volta un’automobile: cristo, potevo uccidere!]

          a differenza tua ho una certa arrogante strafottenza nel mondo reale (ma è molto più facile averla nelle cittadine d’origine piuttosto che in una metropoli ancora in parte straniera) e se da una parte mi piacerebbe vagheggiare di avere una qualche importanza mediatica per dar risalto al mio pensiero, che è rivolto al bene di tutto il genere umano, dall’altra parte sono convinto che con la mia integrità e la mia assenza di peli sulla lingua durerei poco o nulla. per cui non ci ho mai neppure provato, a diventare “qualcuno”.
          ma nel mio piccolo, fintanto che sono nessuno e scrivo in modo che ancor meno persone comuni mi possano leggere, non ho problemi a osare oltre certe linee. perchè colpire nessuno? possibile che in futuro potrei pentirmene, se diventassi mio malgrado qualcuno…

          in ogni caso si, l’informazione corretta provoca orrore e angoscia, e non so nemmeno quanto sia il caso di chiamarla “sana” come si suol dire, dal momento che non ci fa vivere bene, almeno non io che mi incazzo come un grifone.
          ma qui parliamo dell’informazione negativa, quella cruda e analitica che fa presa nel nostro animo raziocinante.
          mentre dalla normale informazione positiva, quella di vissuto quotidiano così comune che non può far notizia, quella che si nutre di piccole emozioni e buone azioni, da quella bisognerebbe prender forza e coraggio.
          certo, ammetto che faccio una dannata fatica, mentre ad esempio la mia ragazza ci riesce benissimo a vedere ciò che c’è di positivo.

          il motto conosci te stesso forse è la soluzione: se conosciamo come siamo fatti e come reagiamo alle situazioni, possiamo intraprendere le strade migliori per tentare di massimizzare gli attimi di felicità.
          io che un poco conosco me stesso e che non ci vado per nulla d’accordo, mi tengo stretta mia morosa e mi lascio trasportare dalla sua amabile semplicità 🙂

          ma qui siamo a livello quasi epistolare, sarà che sto sorseggiando whisky, e dopodomani un mio carissimo amico si sposa e gli farò da testimone di nozze. credo di essere più terrorizzato di lui….

          • La mia fidanzata invece, di solito cosi’ saggia e positiva su tutto, ha sofferto nelle ultime 24 ore di una grave crisi di paranoia che mi ha fatto una gran paura: credeva che tutte le persone che incontravamo in strada facessero parte di un’organizzazione per spiarla. Adesso va meglio ma la sto convincendo a consultare un medico.

            • un mio vecchio amico molti anni fa cadde in uno stato paranoico analogo a quanto descrivi (anche se non accadde proprio da un giorno all’altro).
              in seguito ad una discussione in cui mi rivelò tutte queste sue convinzioni deliranti, per me è risultato praticamente impossibile parlarci con serietà, e ci siamo rapidamente persi di vista.
              ma lui, paranoie a parte, ha sempre odiato il mondo e dimostrato atteggiamenti anche autodistruttivi.
              alla fine si è trasferito a venezia e non se ne esce quasi più da anni (in effetti è come vivere in una realtà parallela, vivere a venezia): ma ha trovato una compagna stabile, un cane e per quelle poche volte che lo incrocio mi pare che stia benone.
              non so se sia uscito o meno dalle paranoie cospirazioniste contro di lui (non ho più toccato l’argomento), e non credo sia mai passato da un medico nè da un psicologo.
              alla fine ogni persona faccia storia a sè, e lui è sempre stato un caso veramente borderline.

              spero che alla tua ragazza passi presto questo stato di angoscia, il tempo è nostro amico in questi casi 🙂
              stalle vicino, avrà bisogno di sentirsi protetta.

              • Lei crede che le persone che vede per strada siano esattamente le stesse che ha visto anche il giorno prima e quello prima ancora, il che proverebbe che sono sempre li’ apposta per spiarla. Tra l’altro siccome lei è Cinese, cosi’ come a noi i Cinesi sembrano tutti uguali, a lei sono gli Europei a sembrare tutti uguali. Le ho detto di scrivere delle descrizioni dettagliatissime delle persone che vede, e già fra ieri e oggi si è accorta che le persone a prima vista avrebbe detto che erano sempre le stesse, invece consultando gli appunti di ieri si è accorta che non era vero!!!

        • dimenticavo, se non sono indiscreto, avevo due domande per curiosità:
          i tuoi familiari erano politicamente attivi?
          da quale area geografica dell’italia provieni?
          grazie in anticipo nel caso volessi risponermi 🙂

          • Solo mio padre, prima cattolico, poi prodiano. Lombardia vicino al confine con la Svizzera. E vedevamo tutti i giorni il telegiornale svizzero, che ha una apertura internazionale e una sensibilità sociale molto ma molto maggiori di quelli italiani.

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