le nozze scannatoio di Sanaa: omaggio allo Yemen n. 3 e diario di viaggio del 2006 – 460.

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una bomba saudita della barbara guerra condotta da questo stato criminale contro lo Yemen sciita in rivolta ha massacrato in un colpo solo 130 partecipanti ad una festa di matrimonio a Sanaa.

la cosa ha risvegliato l’attenzione distratta di uno solo dei grandi media nazionali online, che in questo momento sono impegnati piuttosto (quando lo sono) a dare risonanza, pure giusta, alla condanna a morte in Arabia Saudita, per decapitazione e crocifissione del corpo fino alla pubblica putrefazione, di Ali`, un ragazzo di 17anni, allora, arrestato durante una manifestazione di protesta delle cosiddette primavere arabe, e macchiato dalla colpa orribile supplementare di essere sciita nell’Arabia sunnita.

di fronte ai 130 morti di un banchetto nuziale finito in un bagno di sangue di massa non ci vorrebbe molto per creare un’ondata emozionale contro questa guerra stolida di un paese che e` l’insulto vivente alla civilta`, e al quale l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha appena assegnato la presidenza della Commissione per i Diritti umani.

le radici del nazi-islamismo sono a Riad, la capitale dell’Arabia Saudita, evidentemente, e questo spiega le debolezze occidentali della lotta a questo movimento – che non si sono verificate quando si trattava o si tratta di attaccare i leader come Hussein, Gheddafi o Assad, dittatori brutali e sanguinari, ma non certo meno delle monarchie petrolifere della zona ma, a differenza di loro, in qualche modo laici (per come si puo` esserlo nel mondo arabo).

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ma non e` di questo che vorrei parlare, anzi forse mi devo in un certo senso scusare di questa divagazione, che e` in fondo un modo per razionalizzare la rabbia e il dolore di questi 130 ammazzati che non fanno notizia, come non la fanno le centinaia e migliaia di altri morti taciuti sotto le bombe del re saudita.

del resto gli yemeniti non diventeranno neppure mai profughi: per farlo dovrebbero riuscire a fuggire, ma dove? in Eritrea?

quando piuttosto sono gli eritrei che fuggono, o meglio fuggivano nello Yemen, quando lo visitai nel 2006-2007.

no, io penso, mentre monto il mio terzo video su Sanaa, che ora vi propongo, e il cuore sanguina di fronte a tanta bellezza violata, che forse fra quei morti potevano esserci alcuni degli uomini e dei bambini sorridenti che li` ho incontrato, e mi ribello due volte all’idea.

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dalla piattaforma blog dove scrivevo allora e che verra` cancellata fra due mesi, salvo qui un pezzo del mio diario di allora, del 28 dicembre 2006.

andate pure a guardarvelo sull’originale, fin che potete, anche, ci sono dei commenti molto lusinghieri per me, qui:

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533. i miei viaggi nel tempo.

chiedo scusa a tutti, ma la spaventosa lentezza di questa connessione di Sanaa, che mi ha richiesto circa mezz’ora per aprire il blog, mi impedisce praticamente non solo di rispondervi, ma quasi anche di leggere i commenti.

non si parla di guardare i vostri blog e di intervenire li’.

scusate quindi se per un po’ trascuro il dialogo con voi e intensifico il mio monologo, d’altra parte abbastanza abituale.

mi dispiace apparire quasi scorbutico, proprio ora che invece ho piu’ bisogno del solito ancora di dialogare con voi.

* * *

non mi piacciono i viaggi aerei, annullano quella dimensione legata allo spazio percorso palmo a palmo, alla conquista di una meta anche con giornate di percorrenza.

tuttavia stanotte, quando l’aereo ha sorvolato Istanbul, non ancora cosi’ alto che questo impedisse di riconoscere non solo il Bosforo, con i due ponti sospesi, e la baia davanti ad essa, il Corno d’Oro, ma perfino il luccichio di alcuni grandi monumenti, mi e’ sembrata una degna conclusione di questi altri 4 giorni trascorsi in una metropoli meravigliosa, veramente la seconda Roma, se non fosse ancora piu’ solenne nei suoi monumenti, che farebbero sembrare meschine la maggior parte delle chiese della ostra capitale, o meglio della capitale della Chiesa Cattolica. (…)

* * *

dopo quattro ore di volo nel buio della notte compaiono sotto l’aereo le prime luci di borghi yemeniti arroccati ai bordi del deserto, straordinariamente fitti.

sbarco e, dopo che al cambio ho ricevuto una quantita’ spropositata di carta moneta, un taxi mi guida in una solitudine spettrale verso il centro di Sanaa.

old Sanaa, mi annuncia il tassista dopo qualche km, e io guardo a bocca aperta la sfilata nella notte di questi grattacieli fatti di mattoni di sabbia.

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entriamo nei vicoli, fino ad un punto in cui la strada diventa troppo stretta per andare oltre col taxi, ma il tassista scende e mi accompagna.

eccoci davanti al portone chiuso dell’hotel, nella notte che sarebbe silenziosa se un gallo non avesse salutato il mio arrivo.

la mattina avevo telefonato preannunciando il mio arrivo nel cuore della notte, ma per ora nessuno risponde ai colpi del battente sul legno.

finalmente un trambusto dietro il portone antico; il fattorino di notte non ha l’aria di essersi svegliato completamente, e mentre il tassista riparte cordiale si fa dare il passaporto (sapro’ stamattina che poco dopo lo ha riconsegnato a un altro italiano arrivato dopo di me, che mi ha salvato il ritorno riportandolo al posto giusto).

il guardiano di notte cosi’ poco nottambulo mi ha dato una chiave, il 603, e fatto un cenno ad una scala oscura, prima di scomparire.

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603? vuoi dire che e’ al sesto piano? e l’ascensore?

gia’, ascensore in una casa di 400 anni fa.

nel buio arranco su questa scala che ha scalini di 40 cm almeno l’uno, trascinando la mia sacca che sembra avere di colpo dentro i cadaveri di tutti coloro che avrei voluto spedire all’altro mondo in un momento di rabbia nella mia vita.

al sesto piano la camera 603 pero’ non c’e’: ecco la 601, ecco la 602, ma la 603?

ci sono altri due piani storici sopra: ecco un buon motivo per esplorare la terrazza inciampando qua e la’, al settimo piano, sotto la sola luce della luna, nel silenzio generale: una distesa infinita di palazzi ocra e di fantastiche decorazioni bianche si estende fino al limite delle montagne.

sopra la terrazza c’e’ perfino un’altra scaletta che pero’ sfocia nel niente: solo un ultimo pianerottolo nel vuoto.

non mi spavento, se c’e’ la chiave, la camera si trovera’, l’unica cosa certa e’ che non mi rifaro’ i sei piani di scale della torre per tornare giu’ a chiedere.

* * *

finalmente, vicino al bagno ecco un pertugio, non piu’ largo di 50 cm, che e’ la degna introduzione alla mia camerettina, che consiste in un materasso buttato quasi sul pavimento e in 50 cm davanti, ma ha in compenso una serie di finestre fantasmagoriche che ripetono la vista della terrazza, per cui non la cambierei con nessun’altra al mondo; e anche due ragazzi giapponesi che hanno aperto al porta per sbaglio cercando il bagno hanno trovato la camera carinissima (e me in mutande, ma su questo non ci sono stati commenti estetici, per fortuna).

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nel post a questo punto erano previste le foto di queste finestre, ma abbiate pazienza e ridategli un’occhiata dopo che ritorno.

(ed ora ovviamente sono proprio quelle che sono state inserite qui sopra, quelle che qualcuno ha gia` visto all’inizio del primo di questi video).

* * *

intanto che io mi sistemavo la sacca, cercando che non occupasse tutto lo spazio libero, il gallo ha cantato solo due volte e io pero’ non ho rinnegato Cristo, tanto e’ vero che lui non ha cantato piu’.

nel letto, sereno, felice, non riuscivo ad addormentarmi, fatto per me inusuale.

l’unica cosa ammirevole che mi riconosco (e me lo diceva di recente un amico rifattosi vivo dopo il mitico viaggio assieme in Marocco del 2001, quello che mi convinse che se ero sopravvissuto a un viaggio con lui, potevo sopravvivere anche ad un viaggio da solo, e’ la mia capacita’ di cadere addormentato praticamente all’istante – anche qualche bloggerina purtroppo lo sa…).

solo dopo parecchio tempo, che ascoltavo me stesso e il di fuori, che meditavo pensieri e costruivo visioni, ho realizzato che cio’ che mi impediva di dormire era l’assoluto, totale, universale silenzio.

cosi’ poco abituati noi siamo ormai al silenzio vero, quello che appartiene ad altre epoche ed altre civilta’, ad altri momenti nostri interiori.

ero, sono finito in un altro tempo, quello in cui la notte e’ la notte e non possiede rumori.

* * *

ho dormito fino alle dieci, che sarebbero state poi le otto in Germania, svegliato da fastidiosi trilli del telefono che ho in camera, senza nessuna risposta.

oggi e’ stata la mia prima giornata da turista dolce, ho deciso di riprendermi dalle fatiche di Istanbul prima di ributtarmi nelle fatiche dello Yemen.

il clima e’ quello di un nostro maggio, o giugno: il cielo, cobalto.

e, appena esco in strada, scopro una gente meravigliosa.

tutti i miei pregiudizi sugli arabi crollano di fronte all’ondata di amore che mi travolge.

e pensare che i tre settantenni di Vercelli che andavano a prendere alloggio all’Hilton, mi avevano messo in guardia durante la coda per il controllo passaporti: gli yemeniti sono peggiori dei siriani (di cui ho un ricordo splendido, peraltro, e quindi mi ci sarei anche accontentato).

quelli che trovano all’Hilton, probabilmente.

* * *

ma soprattutto quello che mi ha sconcertato e’ il rapporto degli yemeniti con la fotografia.

ragazzi, questi sono peggio degli indiani! altro che divieto coranico!

e che bei visi, che ricchezza di storie in quelle rughe o in quei denti storti.

peccato che ci debba limitare a quelli maschili, dato che le donne sono tutte rigorosamente velate: ma che malizia in certi occhi neri ridenti, e uno, facendo la media dei visi coi baffi, si immagina le stesse dolcezze e meraviglie anche li’ dietro il nero, solo senza baffi.

del resto bellissime le bambine, ma solo le piu’ sfacciate fotografabili, subito rimproverate da qualche mamma dietro il burka.

insomma, sono finito quasi travolto dalle richieste e spesso ho dovuto dire di no.

* * *

dopo un po’ che fotografavo, mi hanno anche portato qualche foglia di qat, che e’ la droga leggera universalmente diffusa e tipica di questa cultura, oltre che della vicina Etiopia.

qui gli uomini adulti hanno due particolarita’: il pugnale ricurvo nella cintura e una meta’ del viso gonfia e come deformata da un immenso tumore.

ma e’ soltanto l’enorme blocco di erba vagamente stupefacente che accumulano in una guancia per continuare a masticarsela e succhiarsela!

io l’offerta amichevole delle quattro foglie mica l’ho rifiutata: non sono cosi’ screanzato, e i miei improvvisati amici stavano divertendosi moltissimo a vedermi masticare questa foglia dolciastra e piacevole, curiosi di che cosa mi sarebbe successo.

secondo loro, la testa avrebbe dovuto cominciarmi a volare.

* * *

ma la mia testa volava gia’ da tempo senza bisogno di erba e l’unico effetto che la foglia meravigliosa mi ha fatto e’ di regalarmi un inverosimile male d’occhi, che alla fine verso le tre del pomeriggio mi ha costretto a rientrare, in concomitanza con l’esaurimento della batteria per le centinaia di foto fatte.

nella mia cameretta sospesa nel cielo, in faccia a questo paesaggio di cui non si trova al mondo l’eguale (forse solo Venezia ha un poco, ho detto: un poco, una simile astrale omogeneita’ non toccata dalla modernita’).

mi sono addormentato e non so perche’ nella mia mente continuava a rinnovarsi, assieme al ricordo dei molti sorrisi, delle strette di mano, delle pacche sulle spalle, il verso indimenticabile di Umberto Saba:

il mondo ha bisogno di amicizia.

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ps. in questo video ci sono alcune immagini dedicate al modo yemenita di vivere la moschea: le ritengo un documento importante ed uno spunto di riflessione, ma ci tornero` su in qualche prossimo post.

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Yanis Varoufakis

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