Suona cinico, ma ha avuto ancora fortuna in confronto a molti altri. Ahmed indossa una giacca abbastanza calda ed e` rinchiuso nel campo assieme a sua sorella. Altri profughi sono meno protetti contro il freddo e molti sono stati divisi dalle loro famiglie. “Sapete dove sono i miei bambini?” domanda un uomo dietro il reconto. Nessuno glielo sa dire.
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“Ci sono molti malati nel campo”, dice Bettina Zillinger, 26anni, una studentessa austriaca che ha ottenuto uno dei limitati permessi e puo` di quando in quando entrare nel recinto. “Ma non vogliono il dottore”: perche` chi va dal medico, puo` non tornare piu` indietro nel campo dalla sua famiglia.
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Mercoledi` scorso sono andate a fuoco piu` di meta` delle tende del campo. Le avrebbero incendiate dei profughi per protesta. i profughi arrivati dopo han dovuto dormire all’aperto, sulla fredda terra.
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La situazione a Brezice e` cosi` tesa che puo` degenerare in ogni momento. Perche` mancano non solo acqua, cibo e coperte, ma anche informazioni. Autobus da viaggio continuano a partire continuamente dai ricchi pascoli che separano il campo da una casa di riposo: portano i profughi ai confini dell’Austria, dice un poliziotto. Ma le persone nel campo non sanno quando.
Anche la polizia sembra male informata e altrettanto frustrata. Un poliziotto sloveno minaccia in tedesco i reporter, se si avvicienranno ancora di un passo. “Li` c’e` la Slovenia, andate li`”. Piu` tardi un addetto alto e magro, con la testa completamente rasata, dice, quasi per scusarlo: “E` tutto cosi` stressante”. Si e` alzato alle due e mezza di notte, e` da quattro ore in servizio e il suo turno dura 14 ore. E` il suo terzo giorno qui.
La colpa sarebbe dei croati che le notti scorse hanno portato con gli autobus migliaia di profughi ai confini e li avrebbero depositati li`. “Mettono i bus in qualche posto nascosto, spengono le luci e dicono alla gente: Li` c’e` la Slovenia, andate li`”. Il suo paese non si sarebbe potuto preparare. 12.600 profughi sarebbero arrivati nelle ultime 24 ore, secondo l’addetto.
Ma la Slovenia segue la stessa strategia: liberarsi dei profughi il prima possibile, mandarli avanti verso l’Austria e la Germania. “Ma noi almeno prima li registriamo!”, obietta l’adetto, che non vuole fare il suo nome. Dell’esercito, che dovrebbe aiutare la polizia di confine, finora non si vede traccia. Tre carri armati e alcune jeep verde oliva stanno davanti al campo, come intimidazione, ma e` la polizia che accompagna i profughi ai bus e rimprovera la stampa.
Alla mattina arrivano sempre piu` soccorritori, della Croce Rossa slovena, l’associazione di assistenza ai profughi UNHCR e volontari privati da Austria, Gran Bretagna e Francia. Anche Adenan Hussain, 37 anni, di Londra, non ha quasi dormito. Il pane dalla sua auto e` gia` stato distribuito, restano soltanto bottiglie d’lio e scatolette di tonno. “Ho visto uomini battersi per del pane da toast” dice. L’uomo asciutto di origine pakistana e` infaticabile: dall’inizio di ottobre gira da un punto all’altro di questa crisi umanitaria. “We are all equal”, sta scritto in caratteri dipinti da lui stesso sul suo giubbotto giallo. Siamo tutti uguali. Ma anche Hussain e` frustrato; dice: “Alcuni profughi hanno preso il cibo che avevo e l’hanno buttato per terra per protestare contro il modo nel quale sono trattati. E` sbagliato”. E` lui che paga per il viaggio, il cibo, l’auto in affitto. “E i miei soldi sono quasi finiti”.
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Ma nonostante tutto riesce a capire i profuhi: “Che cosa succede quando migliaia di persone affamate vengono rinchiuse dentro un recinto come in uno zoo e non gli si dice che cosa sara` di loro?” Probabilmente niente di peggio che delle tende incendiate.