Un tribunale saudita ha condannato a morte il poeta palestinese Ashraf Fayadh per aver “dubitato dell’esistenza di Dio”.
ecco una notizia che leggo dopo avere scritto il post, e che dimostra l’attualità di questo argomento (anche se non credo che questo post, molto tedesco, troverà in Italia molti lettori…).
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Stavo per scrivere che l’unica vera fede che serve all’essere umano e` quella che la sua vita abbia un senso, ma qui mi fermo e mi accorgo che serve una riflessione piu` accurata.
L’idea stessa che la vita individuale debba avere un senso non e` una manifestazione culturale delle civilta` monoteistiche?
Nelle civilta` orientali o nelle religioni primitive questo problema non e` tranquillamente ignorato, nel senso che e` dato come pacifico presupposto che l’esistenza dell’individuo, in se stessa considerata, non possa avere alcun significato?
Che cos’altro significa il ciclo delle reincarnazioni se non l’idea che la singola vita deve scomparire in un flusso di esistenza che non e` puramente personale?
Ed ecco, al contrario, la fede occidentale nell’individuo, cosi` importante da essere dichiarato immortale, mentre la mortalita` e` il naturale orizzonte di riferimento in Oriente.
Eppure, questo modo cosi` diverso di vedere il rapporto fra il singolo ed il gruppo non cancella del tutto l’orizzonte problematico di cui stiamo parlando, dato che sposta piuttosto la domanda irrisolta sul senso della vita del singolo, ma lascia aperto l’interrogativo sul senso della vita umana collettiva.
Ma poi, a riflettere bene, neppure il monoteismo ebraico prevede un giudizio individuale dopo la morte: in questo si riflette forse il suo essere una forma di monolatria, cioe` di culto dedicato ad un unico dio, anziche` una forma vera e propria di monoteismo.
E per l’ebraismo la domanda sul senso della vita dell’ebreo singolo si trasforma in quella sul senso dell’esistenza stessa del popolo ebraico, consolidata fermamente dalle promesse divine di essere quello il suo popolo eletto e prediletto; e dunque l’orizzonte stesso entro il quale assume un tale senso la vita individuale su questa terra, che non ha senso interrogarsi sul dopo.
Ma l’idea di una vera e propria sopravvivenza dopo la morte di un’anima dotata di una piena consapevolezza di se`, e dunque idealmente rivolta a continuare l’esistenza mondana in una pienezza, almeno intellettuale, di consapevolezza, e` ignota alle religioni pagane dell’Occidente, dove dopo la morte si suppone sopravviva una specie di ombra abbastanza indistinta, che esprime soltanto un vago rimpianto della vita e della luce.
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Se proviamo ad approfondire l’analisi ci accorgiamo che per la maggior parte degli esseri umani il problema del senso della vita non si pone, se non forse per qualche vago e insignificante sprazzo di dubbio.
Sono gli esseri umani standard, abbastanza acquietati dalla vita di tutti i giorni, che attrae completamente ed assorbe, con i suoi problemi, tutta la loro attenzione; le deboli capacita` di astrazione fanno il resto: la vita qui trascorre senza troppe problematicità`; il problema della sua fine si pone al soggetto semmai soltanto quando la fine si profila, oppure quando lo pone la morte di una persona cara.
Ecco che la domanda si affaccia nella concretezza del distacco, ma poi le esigenze concrete della vita riprendono il loro spazio, se la morte riguarda qualcun altro, e la domanda stessa viene dimenticata.
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Solo per alcune anime inquiete, cioe` per alcune menti un poco anomale che hanno deragliato dalla traccia predefinita dal programma biologico che ci portiamo dentro, solo per coloro che sono maledetti dal benessere e dalla sovrabbondanza e rimane loro il tempo ozioso della inattivita`, per porsi domande anomale, sempre che siano capaci di farsele, la vita umana diventa un problema concettuale e un necessario oggetto di riflessione.
Per molti di loro e` comunque disponibile il mercato delle risposte preconfezionate: la funzione delle religioni e` proprio questa, cioe` fornire qualche antidoto all’ansia che puo` prendere coloro che hanno il tempo e le capacita` intellettuali per chiedersi a che cosa tende la vita.
Nella enorme difficoltà` di dare una risposta (ma chi scrive crede si debba dire piuttosto, leopardianamente, nella impossibilita` di dare una risposta), ecco che subentra la forza del consenso di gruppo, almeno, attorno a qualche risposta che, a considerarla bene, appare totalmente demenziale dal punto di vista razionale; e tuttavia, se tutti attorno ci credono o sembrano crederci, e` piu` facile pigliarla per buona.
Quello che colpisce, tuttavia, e` che sul mercato delle religioni non ne esiste nessuna che si senta di dire che il senso della vita e` nella vita stessa, e tutte le religioni organizzate e costituite, tutte senza eccezione, collocano il senso della vita fuori della vita stessa.
In altre parole, danno per persa la partita che la vita possa avere un senso e un significato positvi di per se`.
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In realta`, dicendo TUTTE le religioni credo di avere sbagliato, perche` vi e` tra le forme possibili della religiosità` moderna, cioe` tra le possibili risposte alla domanda sul senso della vita, anche un atteggiamento religioso che lo individua nella vita stessa.
Parlo dell’ateismo, naturalmente, che considero una forma di religione, cioe` un tipo di risposta alle domande che la religione pone e che le religioni risolvono alla loro maniera.
Per l’ateismo il senso della vita e` la vita stessa: l’ateismo cerca di respingere fuori dall’orizzonte dei problemi filosofici quelli che tradizionalmente vengono identificati come tali e cerca di rifiutare ogni risposta religiosa alla domanda sul senso dell’esistenza che cerchi di rinviarlo fuori dall’esistenza materiale e concreta.
Il maestro massimo di questo atteggiamento e` Marx: la sua denuncia della religione, delle religioni, come forma di alienazione, cioe` di perdita del se` concreto, e` una protesta radicale contro la perdita del senso al quale le religioni cercano di dare una risposta.
Quindi Marx prende la domanda sul senso, la rovescia rimettendola con i piedi per terra e risponde dicendo che il senso c’e`, ed e` nella vita stessa, nella storia, nella promessa di un mondo migliore e nella lotta per la sua realizzazione.
Marx appare dunque come nemico delle religioni per il tipo di risposta che danno alla domanda sul senso, ma come loro fratello nell’affermare che un senso esiste.
Ed e` per questo che il marxismo nato dal suo pensiero non ha avuto difficoltà` o problemi, fino a che e` stato una forza storica attiva, per circa un secolo, a porsi come vera e propria religione, con i suoi riti e i suoi eroi quasi sovrannaturali, con la ripetizione catechistica delle forme di rassicurazione per gli esseri umani incerti.
In questo, ripetendo piu` in grande l’esperienza catastrofica della religione giacobina della Dea Ragione, ha finito per esprimere la sua contraddizione piu` insanabile, che alla fine lo ha condannato all’insignificanza piu` ancora degli errori della teoria economica o delle sanguinose aberrazioni politiche.
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Ma tra i maestri dell’ateismo contemporaneo dobbiamo considerare anche un altro filone di pensiero, racchiuso fra i due poli di Leopardi e Nietsche.
Qui la risposta alla domanda sul senso e` netta: la vita non ha senso.
Sullo sfondo, come ideale punto di riferimento possibile io considero anche il Kant della Critica della pura ragione (lo so che mi distacco dal modo tradizionale di tradurre il titolo, ma mai titolo fu tradotto peggio) e la sua negazione che possa avere senso, razionalmente, occuparsi di problemi metafisici.
L’impossibilita` di rispondere alle domande della metafisica corrisponde alla negazione stessa della possibilita` di trovare un senso, razionalmente, della vita stessa.
Ma Leopardi e Nietsche che rendono esplicita questa negazione e nello stesso tempo rifiutano con fermezza di aderire a forme di fede, che diano una risposta non razionale al bisogno umano di credere di avere una funzione nel mondo, sanno benissimo, dicendolo, che questo atteggiamento esige un coraggio eroico.
Ecco che l’ateismo diventa per loro l’atteggiamento del saggio isolato dalla comunita` nella quale vive, perche` gli uomini comuni preferiranno sempre le tenebre alla luce, come dice Leopardi nella Ginestra, citando in modo nuovo il Vangelo secondo Giovanni.
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Arrivare alla verita` della inesistenza di qualunque Dio che ci faccia da balia, sentire lucidamente le contraddizioni della nostra esistenza, nata a caso nel cosmo e nello stesso tempo dotata dell’incredibile potenza di portarlo in vita, attraverso la consapevolezza, dato che il mondo resterebbe nel magma indistinto del caos potenziale, se non ci fosse una mente a guardarlo e dunque a crearlo, distaccarsi dagli idola tribus e dagli idola fori, cioe` dai pregiudizi sui quali si fonda, per sua stessa natura e bisogno, la vita collettiva, condanna all’isolamento infelice.
Colui che vede fino in fondo ai segreti della vita e` un passero solitario che spreca la sua vita, nel momento stesso nel quale riconosce che questo spreco non distrugge nulla di essenziale o fondamentale.
Questo almeno nell’Occidente o nel Medio oriente dominati dalla fede ostinata in un unico dio personale; non e` del tutto cosi` nell’Oriente buddista che si fonda, anzi, come messaggio, proprio sulla radicale mancanza di senso della vita umana, anche nella sua dimensione collettiva.
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Cosi`, soprattutto in Occidente, la vita umana si spende tra le illusioni fideistiche, l’identificazione nel gruppo, la meraviglia della bellezza, il desiderio sessuale, altra forma di fede inesauribile, e in una sola parola l’entusiasmo per essere vivi, in altre parole in forme di esaltazione esasperata del suo valore, da un lato, e, dall’altro, l’occhio critico e vigile che demolisce tutte queste illusioni nelle loro pretese sovrumane, e le riconduce a limiti loro necessarie per non diventare dannose.
Sono due polarita`, che a me paiono entrambe necessarie, senza che nessuna debba per sua natura soffocare ed escludere l’altra (come bene manifesta di nuovo Leopardi).
Sono due polarita` che si confrontano continuamente fra loro alla ricerca di un equilibrio, che sia l’equilibrio della moderazione psicologico e del ragionevole senso scettico della misura nelle emozioni, che scatenate in modo malsano possono renderci infelici.
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E pero`, se si parla di verita`, la verita` appartiene alla negazione e non all’illusione.
La riflessione razionale non deve impedire le manifestazioni della bellezza, del desiderio e dell’amore.
Deve soltanto impedire che diventino distruttive.
La bellezza, il desiderio e l’amore devono sapere di non essere portatori di verità, ma solo di gioia, se e fino a che ci riescono.
Cosi` la fede non pretenda al vero e il vero non pretenda di poter diventare regola di vita.
Ognuno nel suo ambito limitato, a contrastarsi, cioe` a collaborare, fra loro.