chi guida la banca? l’autista! – 584.

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nonostante le gentili dissuasioni e la disintossicazione di 20 giorni in Germania, rieccomi a commentare l’attualita`.

e invece dovrei sentirmi risuonare dentro questi versi di Massimo Botturi, un grande, che regala su questa piattaforma le sue poesie bellissime:

Ho smesso di mostrarmi ai regnanti
e di cantare;
poiché la quiete è il volto di dio.

ma per ora, trattenuto almeno un po’, non parlero’ dell’attualita’ in proprio, ma attraverso questo articolo di Mario Giordano sullo scandalo bancario in corso, che mi pare esemplare per capire come funziona l’Italia, questo paese marcio e corrotto.

credo che tutto il gran parlare che si fa in giro serva a nascondere la sostanza dei problemi, che e` quella che rivela Giordano.

uno spaccato impressionante dell’Italia dove l’ignoranza e la mafiosita`, i due lati della stessa moneta, sono i due requisiti fondamentali per fare carriera.

e` un male profondo, probabilmente ineliminabile della nostra natura nazionale (se non ci pensa Grillo, ma a prezzo di altre magagne).

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per il resto, sono del parere, come si sa, che le banche decotte vadano lasciate fallire, salvando soltanto i depositi dei clienti fino a 100.000 euro, come prevede la legge.

e quanto a chi ci ha investito in azioni, se e` stata imprudenza, peggio per lui, se invece di truffa si tratta, deve procedere il tribunale con condanne al rimborso a carico dei colpevoli.

altro che rimborsi a carico di tutti!

ora le banche creano un fondo, comunque ristretto, per salvare gli amici.

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quanto a chi si uccide per i soldi, siamo sicuri che sia davvero diverso da chi uccide per i soldi?

ma forse il caso del pensionato di Civitavecchia e` un po` diverso e dietro ci sono altri problemi, che la stampa non racconta.

fa cosi` comodo inventarsi una storia trucida perche` gli amici degli amici si facciano rimborsare nel tripudio universale!

e` uno schifo tale che forse fanno bene coloro che mi consigliano di lasciar perdere e di godermi il cielo azzurro fino a che ci sara` dato.

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Può una banca essere guidata da un autista? Ma sì, proprio un autista, formalmente inserito in organico come commesso e incaricato di trasportare sulla berlina di servizio il direttore generale: pare che la Cassa di Risparmio di Chieti la comandasse proprio lui.

Mani sul volante e occhio al consiglio d’ amministrazione, scalava la quarta e pilotava le nomine.

Il credito italiano rischia di sbandare? Ecco: in Abruzzo pensavano di aver risolto il problema affidandone il controllo allo chauffeur.

Almeno così rivela Banca d’Italia nella relazione con cui, nel settembre 2014, commissaria la CariChieti.

La medesima relazione, però, denuncia il risultato non particolarmente brillante di questa gestione: 304 milioni di perdite, 453 milioni di sofferenze, «modesto sviluppo economico, eccesso di assunzioni, promozioni in numero del tutto anomalo».

Insomma, un poltronificio a danno dei risparmiatori.

E la domanda che viene spontanea, dopo aver letto il documento è: ma questo signore come guidava l’ auto? Meglio di come guidasse la banca, c’è da sperare…

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Si tratta, per altro, di un personaggio particolare.

Amico di Remo Gaspari, che gli fece da testimone di nozze, ribattezzato «Mister Preferenze» per le sue performance alle elezioni comunali, Domenico Di Fabrizio, 65 anni, ha lavorato alla CariChieti per una vita.

Licenza media, modesta cultura, profilo basso.

Non ha mai fatto carriera. E’ sempre rimasto commesso con funzione da autista: portava a spasso i dirigenti, anche se pare contasse più di loro. In banca infatti non c’ era segreto che gli sfuggisse, non c’ era porta che si aprisse.

E se proprio era in difficoltà poteva sempre contare sull’ appoggio del potente sindacato Falcri che all’ interno della Cassa di Risparmio aveva adesioni bulgare, oltre il 90 per cento degli iscritti. E che, guarda caso, era guidato dal figlio dell’autista, Nicola.

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Va detto che, a differenza di tanti altri, Di Fabrizio non s’ è mai arricchito.
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Mediava, gestiva, influenzava, sempre restando nell’ ombra con uno stipendio da 1.200 euro al mese.
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E non ha mai chiesto nulla per sé. Nemmeno un ufficio.
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A lui bastava l’ auto blu del direttore generale.
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Non ha mai chiesto nulla, a parte una cosa: nel gennaio 2013, quando l’aria aveva cominciato a farsi pesante, si era fatto spingere in pensione con un bell’assegno da 120mila euro come incentivo all’esodo.
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Ma pochi mesi dopo ha ottenuto di essere reinserito in organico, forzando il blocco delle assunzioni. «Devo stare vicino alla banca», confidò agli amici.
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Troppo vicino, secondo gli ispettori. E accompagnandola al disastro, come s’è visto…
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Ma sì, ci mancava solo la regia dell’ autista, nel gran disastro del credito italiano. Un palcoscenico dove le sorprese non mancano mai.
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Qualche esempio? Per il dissesto della Tercas, Cassa di risparmio di Teramo, i dirigenti sono stati accusati di aver usato i soldi dei correntisti per arricchirsi, spostando soldi nei paradisi fiscali, da Lussemburgo a Singapore.
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La Carige di Genova divenne famosa perché il gran capo Giovanni Berneschi aveva accumulato un tesoro da pascià ai danni dei risparmiatori (35 milioni di euro in Svizzera, 8 immobili e una cassaforte piena di dobloni d’ oro e 30 prestigiosi Rolex), tanto che persino il figlio intercettato diceva di lui: “‘Sto cretino qui ha sicuramente rubato… ma se avesse rubato solo due milioni di euro nessuno diceva nulla…”.
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E la Ubi Banca, la famosa Bazoli’ s bank, presentata con il presuntuoso motto “Fare banca per bene” è finita nel mirino della Procura di Bergamo per una serie di operazioni bislacche, fra le quali l’acquisto di beni di lusso (con i soldi della banca) che poi venivano rivenduti a prezzi irrisori ad amici e parenti.
Fra questi uno yacht di 36 metri e il Cessna Citation 500, aereo a nove posti dell’ex agente di vip Lele Mora.

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L’ impressione è che con le magnifiche quattro di oggi si sia appena cominciato a scoperchiare il pentolone.
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Le banche italiane infatti sono una palude di amicizie e relazioni, intrecci di politica e favori.

Sono come Robin Hood, ma al contrario: tolgono ai poveri per dare ai ricchi.

Non riescono a tenere in piedi i conti perché sono troppo impegnate a tenere in piedi le loro clientele.

Basta vedere il pasticcio che è stato fatto con le Fondazioni, che sono il vero cancro del sistema: per legge dovrebbero svolgere funzioni di utilità sociale, sostenere il territorio, promuovere beneficenza e comunità locali. .

In realtà continuano a controllare le banche con i loro consigli di amministrazioni pieni di politici, ex politici, trombati e raccomandati.

Usano la solidarietà per coprire i loro intrallazzi.

Appena provi a toccarle, si mettono a strillare: “Volete danneggiare il volontariato, il no profit, il terzo settore?”.

Così possono continuare a distribuire i soldi ai loro amici, fra giochi di potere e intrallazzi vari.

Non vogliono la chiarezza perché nella confusione ci sguazzano.

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Anche la Fondazione di Piacenza, nata dall’antica Cassa di Risparmio, per dire, doveva servire il territorio. E invece sapete come ha fatto sparire all’ incirca 50 milioni di euro risparmiati da generazioni di piacentini?

Un milione di euro è finito in Gibuti, attraverso una finanziaria lussemburghese, 10 milioni di euro sono stati buttati per sostenere la fallimentare funivia di Folgarida e Marilleva in Val di Sole, 5 milioni di euro sono stati regalati alla altrettanto fallimentare aeroterminal di Venezia e 27 milioni sono stati sperperati per una partecipazione in una stramba operazione bancaria con la Banca Monte Parma.

E tutti a chiedersi: ma perché la Fondazione di Piacenza, che dovrebbe aiutare il territorio, butta via i soldi tra l’ Africa nera, le funivie trentine, l’aeroterminal di Venezia e altre bizzarre avventure?

Qualcuno ha provato pure a giustificare le operazioni: “Quella del Gibuti è un’ operazione di filantropia”, hanno detto.

Meraviglioso. Ma perché la filantropia passa per una banca privata (Banque du Depot e de Credit Djiboutu), per di più di proprietà di un cittadino svizzero?

E c’ entrerà mica il fatto che il Gibuti è uno dei Paesi in cima alla black list dei paradisi fiscali?

Mario Giordano

2 risposte a “chi guida la banca? l’autista! – 584.

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