dopo lo sbarco dal traghetto a Gilimanuk, la strada per Denpasar, capoluogo dell’isola e sede dell’aeroporto internazionale è ancora lunga: sono poco meno di 100 km, ma fanno tre ore sulla strada normale, tutta curve, da percorrere nel buio.
considerando che lo sbarco è avvenuto verso le 8 di sera, l’arrivo alla stazione dei bus di Denpasar è quindi non prima delle 11 di sera; l’albergo sulla guida l’ho scelto in zona, per comodità, anche se l’aeroporto, che si trova a sud, è al lato opposto della città rispetto alla stazione dei bus, a nord, ma non mi pare il caso di spostarmi a quest’ora: ci andrò in taxi, domattina, a decidere del destino dei miei giorni residui di viaggio.
e faccio bene, perché subito si crea un problema: l’albergo scelto è full; poco male, per fortuna la zona, anche se appare una squallida periferia, ne offre parecchi, ma full è anche il secondo, e così il terzo.
sto per cominciare a preoccuparmi, quando un quarto hotel al fondo di una strada fangosa mi offre finalmente la stanza di cui ho bisogno per la notte.
di fronte, poco lontano, un baracchino per un nasi (riso) piccante, innaffiato da succo di tamarindo; confusamente ricordo che doveva esserci qualche viso gradevole e sorridente con disponibilità apparente, ma non focalizzo di più.
è mezzanotte quando mi butto sul letto a concludere una giornata iniziata venti ore prima sul Bromo, alle 4 di mattina, e non è il caso di pensare a qualche improvvisata avventura sessuale, direi…
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mi risveglio presto perché devo farlo oppure perché la luce, che filtra, comunque mi impedisce di dormire?
dalla finestra spalancata ascolto i dolci rumori del risveglio; le case sono ancora semi-sveglie come i miei occhi, ma poi il trolley non è stato quasi neppure aperto, una pulita ai denti, tre colpi di spazzola sui miei capelli grigi, ed eccomi fuori: i taxi sono poco distanti, nel piazzale, lungo la breve strada una focaccina da quattro soldi: to the airport, please…
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il video, per scelta, comincia all’aeroporto, però nell’arrivarci subisco già il violento impatto visivo di Denpasar, ma dovrei piuttosto dire di Bali a Denpasar.
la musica di sottofondo di queste immagini è un poco scioccante, vero? esagerata e insistente; ma lo shock visivo è simile.
quanto Giava è modesta e inibita come una ragazza islamica col velo, tanto Bali è chiassosa, sfacciata ed esuberante anche urbanisticamente.
è incredibile come quest’isola non troppo grande e decisamente più piccola della Sicilia, per dare un termine di confronto, abbia tuttavia una potenza, prima di tutto figurativa, tale da farla apparire agli occhi del viaggiatore come la vera, autentica Indonesia.
Bali è l’Indonesia perduta, cancellata dalla conquista islamica: tutto quello che rende viva Giava e che sopravvive semi-occultato sotto la coltre pesante dell’islamizzazione, a Bali esplode moltiplicato come alla terza potenza.
è come se l’intera Giava induista, grande poco più di un terzo dell’Italia e popolata quasi il doppio, fosse fuggita, portandosi dietro i propri monumenti e templi, e si fosse concentrata, assieme a loro, in quest’isola grande meno di un quarto della Sicilia e popolata da 3 milioni di abitanti.
e il primo segno sono le ciotoline con le offerte rituali agli dei, una mi ha accolto sul pianerottolo del mio alberghetto scadente, due stanno sul pianale di guida del taxi, ai due lati del volante.
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quello che ti afferra subito a Bali è la straordinaria densità monumentale induista, infatti, perfino in questa città in fondo banale e quasi esclusivamente commerciale, che ricava il suo nome dal pasar, il mercato.
ma il primo simbolo dell’estrosità mentale lussureggiante di Bali e dei balinesi è uno straordinario e grandissimo monumento bianchissimo e moderno che rappresenta la corsa delle divinità induiste su un cocchio trascinato da violenti ed eccitati cavalli: è ridotto a fare da grande spartitraffico nel vialone principale, ma ti si stampa nella mente, e nella macchina fotografica…
poi sará una sequenza impressionante di portali tipicamente indonesiani, come quelli già visti a Cirebon, ma qui esaltati ed esaltanti in un decorativismo sfarzoso, ovunque si ripetono le statue di divinità, di mostri, leziosi ed inquietanti al tempo stesso; i templi aperi si susseguono alla vista, con le loro statue e i drappi d’oro che abbracciano colonne o idoli.
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alle otto di mattina l’aeroporto ha però ancora tutti gli uffici chiusi, anche la postazione internet che mi ridarà i contatti col mondo, è ancora sbarrata; in giro ci sono soltanto gli uomini e le donne delle pulizie, non mi rimane che girellare a vuoto, fotografando qua e là, fino a che arrivano le nove.
ed ecco la compagnia indonesiana che gestisce i voli interni, che finalmente apre, ed ecco il colpo di fortuna: un volo per Jakarta da Lombok, la prossima isola, alle 4 di mattina di domenica: due ore di volo, poi ci saranno 10 ore di attesa, ma potrei anche riempirle con una visita conclusiva della capitale.
infilo in tasca il biglietto che ha risparmiato che i prossimi tre giorni della mia vacanza fossero occupati da un penoso viaggio di rientro a Jakarta, mentre mi maledico mentalmente per avere organizzato male il viaggio e non avere pensato semplicemente di ritornare in Italia da Bali (ecco gli inconvenienti del biglietto fatto on-line), e intanto attendo che l’internet point apra alle 10, per buttarmi sulla posta elettronica e per mandare via blog le mie notizie al mondo.
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209. cronaca di molte cronache mancate. My Indonesia 13.
mi rendo conto che ricomparire dopo una settimana essendosi lasciato alle spalle un ultimo post che parlava di conversione al buddismo tantrico possa essere vagamente inqauietante, ma spero che nessuno si sia preoccupato.
semplicemente sono stato o in villaggetti di montagna sperduti oltre i duemila metri fra siti vulcanici vari, oppure in grandi citta’ con un unico internet cafe’, che raggiunto dopo marce di un paio di km si rivelava scomparso nel nulla.
insomma, sono rimasto legato ad una teconologia oramai arretrata, e devo passare a tablet o I-phone, che stanno rendendo superati anche gli internet point, dato che qui tutti digitano continuamente, come in Europa, ma sono connessi via rete telefonica, evidentemente..
incrociamo le dita: basta una sciocchezza a far saltare tutto: oggi ho rischiato due volte, per due assolute fesserie, che raccontero’, comunque mi sono preso dei tempi molto larghi per le coincidenze.
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Beh… non ero particolarmente preoccupata… no; però devo dire che più di un pensiero per te lo avuto…
Buonecose
a presto!
.marta
Poi mi dirai meglio com’è questo “popolo senza identità che vive benissimo..”..
qui marta si riferisce a questo passaggio del mio post, che ho omesso di riportare lì sopra:
ma lo faro’ con calma da casa.
tornare in italia da quei posti da la falsa impressione di entrare in un paese piu’ organizzato. rientrare in italia dal Giappone e’ tragicamente deprimente.
questo commento non ha niente a che vedere con la spiritualita’ di quella gente ma si limita all’organizzazione della societa’
Ero davvero preoccupato
Felice di sapere che stai tornando a casa
be’, tornare a casa non era proprio l’espressione giusta, visto che stavo continuando ad allontanarmi verso est, come se proprio non avessi voluto tornare…, ma masticone come poteva saperlo?
bortocal 10 maggio 2013 alle 11:53