lettera aperta a Bersani e Grillo sul conflitto di interessi. – 98

27 febbraio 2013 mercoledì 08:18

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“Beppe bisogna decretare l’ineleggibilità del nano…

Legge 361 del 1957.

Per favore non facciamo cazzate…

Convergiamo sui punti in comune con il PD e annientiamo il nano…”.

dal blog di Beppe Grillo, un commento.

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ieri Bersani ha messo il conflitto di interessi tra i primi punti del programma di governo del suo partito.

è una buona notizia, rispetto al passato.

ma potrebbe anche non esserlo, dato che una legge sul conflitto di interessi esiste già, e basta applicarla: cosa che negli ultimi 19 anni non è mai avvenuta.

parlo della attuale legge elettorale e del suo articolo 10. 

è la Legge 361 del 1957 cui è prevista l’ineleggibilità di coloro che sono concessionari pubblici: Berlusconi è concessionario dei diritti di trasmissione televisiva.

 Art. 10

1. Non sono eleggibili inoltre:

1) coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per (…) per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta.

la legge non è mai stata applicata, nonostante descriva con estrema esattezza la condizione di Berlusconi, che detiene “in proprio” i diritti televisivi per Mediaset.

in sostanza è stato calpestato il “pubblico interesse” a non essere manipolati politicamente, come avvenuto in questi anni.

* * *

la nuova Camera, come prima operazione, verifica i requisiti di eleggibilità degli eletti, e deve semplicemente dichiarare Berlusconi ineleggibile, applicando la legge vigente ed escluderlo dal Parlamento.

constatare l’ineleggibilità di Berlusconi non è affatto una decisione antidemocratica, perché non gli impedirebbe di svolgere attività politica fuori dal parlamento (fino alla legge sul conflitto di interesse da fare).

gli verrebbe solamente tolta l’immunità parlamentare (come del resto è già per Grillo, che si è autoescluso perché condannato in via definitiva per omicidio colposo, o per D’Alema, che non è stato ricandidato) e con questo sarebbe finalmente cancellata alla radice la possibilità stessa di nuove leggi dettate dal conflitto di interesse.

non vogliamo aspettare mesi: intanto che il Parlamento cercherà di definire norme ancora più chiare e stringenti, ci aspettiamo che cominciate ad applicare subito, nei prossimi giorni, senza incertezze, quel poco che c’è già.

* * *

la difesa della legalità, cari Grillo e Bersani, deve nascere per prima cosa dal fatto che la legge è uguale per tutti.

non deludete da subito gli elettori che vi hanno votato e che, pur nelle scelte diverse fatte, si aspettano da voi entrambi una convergenza nel ristabilire la legalità calpestata da Berlusconi per vent’anni. 

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invito chi potrebbe trovarsi d’accordo a far girare questo appello anche sul suo blog, grazie.

* * *

guarda che ho pubblicato il tuo post su facebook inviandolo a 3 parlamentari, uno pd, uno sel e uno m5s.
ti cito o vuoi restare anonimo???
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Inviato alle 15:46 di mercoledì
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cita pure il blog, questo sì.

13 risposte a “lettera aperta a Bersani e Grillo sul conflitto di interessi. – 98

  1. Scusami ma credo ci sia un vizio di fondo giuridico nel tuo ragionamento. Mi riferisco al fatto che la titolarità della concessione deve essere detenuta dalla persona fisica, ovvero la persona deve essere il legale rappresentante dell’entità giuridica che detiene la concessione. Mi pare che nessuna delle due cose sia formalmente vera. Nel senso che il rappresentante legale di Mediaset dovrebbe essere la figlia Marina (vado a memoria) e le concessioni sono per l’appunto in capo a Mediaset e non a persone fisiche. Mi rendo conto che è un cavillo, ma in casi di questo tipo la forma è sostanza.

    • questa osservazione merita una riflessione attenta.

      il rappresentante legale di Mediaset è Fedele Confalonieri e su questa base già in passato si è sostenuto che l’ineleggibilità riguarda lui e non Berlusconi.

      è anche vero che la concessione non è data ad una persona fisica, ma ad una società, che è appunto Mediaset.

      ma questa società è “controllata dalla holding Fininvest, proprietà della famiglia Berlusconi” (wikipedia).

      la formula usata dalla legge è abbastanza flessibile da potere essere applicata al caso concreto, secondo me, e nel pieno rispetto del significato della legge, senza forzature interpretative.

      scrive la legge, per il passaggio che ci interessa che sono ineleggibili “coloro che in proprio risultino vincolati con lo Stato per (…) per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica”.

      i Berlusconi che sono proprietari di Fininvest che controlla Mediaset sono vincolati “in proprio”, e non come legali rappresentanti, a quell”’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta”, che dunque non li rende pienamente liberi di agire politicamente.

      e dunque, per questa limitazione possibile della loro libertà politica, non risultano eleggibili.

      la legge del 1957 non immaginava neppure che potessero esistere le televisioni private e che grazie al loro potere di controllo dell’opinione pubblica un monopolista dei media potesse diventare anche un monopolista politico.

      senza essere un giurista, mi pare che la mia proposta sia pienamente legittima, e non lo dico per il puro gusto di ostinarmi ad avere ragione, perché ho riflettuto seriamente se potessi avere torto e avere detto una cazzata.

      * * *

      fammi dire ancora due cose però sulla forma che è sostanza, motto giuridico tutto e “squisitamente” italiano.

      un po’ di conoscenza del mondo mi fa dire che questo è il motto degli Azzeccagarbugli italiani, ed il marchio “estetico” di una concezione del diritto profondamente malata e amante del cavillo.

      occorre ribaltare il punto di vista: le leggi hanno un senso, prima che una forma; hanno una loro “morale” intrinseca; l’interpretazione della norma non deve essere guidata dai giochi cavillosi infiniti attorno al modo nel quale stata detta, ma deve risalire al suo significato di principio e reinterpretarlo in tutte le numerose situazioni pratiche in cui la norma ESIGE di essere interpretata per adattarla alla realtà.

      ma magari su questo troveremo di avere ancora molto da discutere… 🙂

      intanto grazie davvero del tuo commento e della tua critica.

      • In linea di principio il tuo ragionamento è ineccepibile. Ma. Ma pur comprendendo che la legge ha un senso, io credo fermamente nello stato di diritto. Non sono un avvocato, sono laureato in ingegneria, ma ho avuto molte volte a che fare con legali e problemi di forma e di sostanza. Il vero punto è che la legge è legge. E quello che è scritto è legge. Il senso, l’interpretazione, sono affari che riguardano eventuali gradi di giudizio. La dottrina può prendere atto del cambiamento dei costumi, delle condizioni al contorno relativamente ad un certo principio giuridico, ma non può stravolgere la legge.
        Quando si dice “coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per concessioni” ci si riferisce evidentemente alla titolarità delle concessioni stesse. E la titolarità delle concessioni, nel caso di un’azienda, riguarda il suo legale rappresentante, non i soci azionisti. A meno che non si tratti di una società di persone, nel qual caso si ricade nel caso del “coloro che in proprio”. E qui la forma E’ sostanza. Perché il legale rappresentante di un’azienda ha onori e oneri, che sono in capo a lui nella qualità di legale rappresentante, sollevando quindi gli azionisti da responsabilità e obblighi che debbono da lui essere onorati. Di norma il legale rappresentante di una SpA è l’Amministratore Delegato, che si chiama Delegato proprio perché riceve delega dal CdA ad operare.

        E questo ha molto a che fare con lo stato di diritto, perché se si andasse “a senso”, allora bisognerebbe vedere in quali casi i soci azionisti partecipano all’oggetto sociale operativamente, e chiamarli in quei casi soltanto a rispondere di eventuali mancanze. Insomma il contrario di quello che richiamavo all’inizio, lo stato di diritto.

        Il lato oscuro, o se vuoi l’altra faccia della medaglia, è che su quanto è scritto, se non è scritto in maniera inequivocabilmente chiara, si fanno le battaglie legali. Ma credo sia un piccolo prezzo da pagare, in nome del rispetto del diritto.

        E grazie a te, per le idee e per le riflessioni.

        • replico ancora, non per avere l’ultima parola, ma perché la discussione è interessante.

          si riparte dall’ultimo punto: come puoi dire “in linea di principio” hai ragione, e poi sforzarti di dimostrare che ho torto per qualche codicillo?

          questa legge è aperta all’interpretazione, infatti fa riferimento al concetto un po’ flessibile di “di notevole entità economica”.

          quindi è logico che il piccolo azionista non ne è coinvolto, ma chi detiene la proprietà di fatto di un’azienda concessionaria, sì.

          altrimenti, sapresti dirmi per chi è fatta in sostanza la legge? sapresti farmi esempi di qualche concessione statale di notevole rilevanza economica che sia fatta proprio ad un individuo isolato e non ad una società che fa capo ad uno o più grossi proprietari?

          comunque il bello dello stato di diritto è che esistono le interpretazioni e che alla fine nell’equilibrio dei poteri si arriva ad una decisione.

          non troverei fuori posto che il Parlamento decida nel senso proposto qui e da molti altri anche autorevoli rispetto a me; sarà Berlusconi a farsi valere attraverso gli avvocati che non gli mancano; e intanto si ha il tempo di fare una legge sul conflitto di interessi che arrivi con più chiarezza a questo stesso risultato, come nei paesi civili.

          altrimenti sorgerebbero difficoltà ben maggiori a farlo decadere da deputato, dopo averlo accettato, applicandogli una legge retroattivamente.

          insisto comunque, per avere gestito una causa in Germania, sulle stranezze del diritto italiano che pretende anche di essere da modello nel mondo e che invece appartiene alle follie del nostro carattere nazionale.

          lo scopo della legge è la giustizia, non la forma; ci sono regole che non vanno violate, ma sono quelle sostanziali, e certamente non si può cadere in un’anarchia di interpretazioni arbitrarie; ma l’interpretazione da adottare non è sempre e soltanto quella più attenta ai diritti del singolo.

          e nella sostanza chi usa le televisioni per manipolare il consenso politico dei cittadini sta esercitando un sopruso inaccettabile in qualunque democrazia: un giudice non italiano, un vero giudice, ragionerebbe così e cercherebbe nella legge lo strumento per realizzare un ovvio principio costituzionale, interpretando la legge senza uscire dal quadro costituzionale, se occorre.

          quando ci fu bisogno di sbattere in galera Al Capone negli Stati Uniti, si trovò il giudice che trovò l’inghippo per incastrarlo su una evasione fiscale.

          ma in Italia non esiste senso della giustizia, e quel giudice, se la cosa succedesse da noi,sarebbe stato giudicato un manettaro, in particolare se Al Capone avesse avuto televisioni, quotidiani, case editrici…

          • Il mio “in linea di principio” con quel che segue, significa semplicemente una cosa, la dico più chiaramente.
            Rispetto la tua opinione ma non sono d’accordo. Io cerco di non metterla in termini di torto o ragione. Cerco di confrontarmi pur avendo idee differenti. Cerco di superare la cultura degli opposti. Rimarremo probabilmente di idee diverse, ma confrontarci ci avrà arricchito.

            Premessa a parte, ho da eccepire su un punto in particolare. Con Al Capone non si trovò “un inghippo”. Si decise di processarlo per evasione fiscale perché non si sarebbero mai trovate le prove per i veri reati a lui ascrivibili. In una parola, si applicò la forma. Perché formalmente Capone non era imputabile nella sua qualità di mandante di omicidi e violazione del proibizionismo. Ma lo era come evasore. (Nel film “The Untouchables” c’è una bella ricostruzione della faccenda)

            Nel merito, per quanto attiene alla formulazione della legge. Nel 1957 il ricorso a società di persone anche molto grandi era assai più frequente di quanto non lo sia oggi, dove anche piccole realtà costituiscono società di capitali tramite la formula della SRL. Se non ricordo male, la stessa Fiat, già ampiamente realtà nazionale, non è stata una SpA sino al secondo dopoguerra. Questo (a mio avviso) giustifica la formulazione della legge nei termini di persona o legale rappresentante. E una formulazione di questo tipo non può andare nella direzione della dietrologia, pena una infinita discussione sul merito. L’unico modo per uscire dall’empasse sarebbe, come dici, una nuova legge. Peraltro questa legge si sarebbe potuta fare, se lo si fosse voluto, un numero significativo di volte. Se non la si è fatta, è perché (a mio avviso) esistono dei patti sotterranei di non belligeranza su determinati temi.

            • siamo sostanzialmente molto più d’accordo di quanto sembri e ti lascio volentieri l’ultima parola sul punto specifico, solo osservando che proprio quel che di ci tu alla fine sulle società di persone più diffuse di oggi negli anni Cinquanta costringe ad una interpretazione della legge che la adegui alla realtà di oggi in attesa di una legge più precisa.

              ma la cosa più giusta che dici è quella sui patti di non belligeranza – unilaterale per altro -, che è il caso di interrompere per sempre.

              su Al Capone hai certamente ragione, ma neppure io vorrei mai una giustizia “politica” che calpesti la legalità sostanziale: tuttavia in quel caso si cercò attivamente il reato che permettesse di raggiungere lo scopo; neppure nel caso di Berlusconi mancano queste possibilità: la differenza sostanziale è che Al Capone non sedeva in Congresso.

              condivido totalmente e senza riserve l’esordio, che è a mio parere il punto più importante: il confronto di due punti di vista diversi credo che abbia arricchito entrambi.

              averne commentatori come te: mi sento più consapevole delle dimensioni del problema dopo questa discussione.

      • Solo una notazione, sullo “squisitamente italiano”. Anche io sono estremamente critico nei confronti di molte pratiche che sono tipiche solo del nostro paese, ma in questo caso sono fermamente convinto che esista ben di peggio. Il diritto anglosassone, basato sulla “Common Law”, cioè sostanzialmente il precedente, è molto, ma molto peggio di questo. Perché basta che esista un piccolo precedente, magari deliberato per errore, che su quello si può costruire una difesa. Preferisco il diritto romano, dove le leggi e le regole si scrivono, e le scrivono (di norma) persone, i rappresentanti del popolo, che dovrebbero avere sufficiente buon senso da evitare le trappole della Common Law. (i condizionali sono soprattutto relativi all’ultimo ventennio, prima almeno le leggi le sapevano fare)

        • anche qui un giusto approfondimento.

          ma criticare alcuni aspetti della nostra cultura non può significare non vedere i difetti di altre, e tu giustamente ne richiami alcuni.

          è soltanto una questione di vicino e lontano: non essere presbiti, non essere miopi: nel bene e nel male, nelle critiche e nelle lodi… 🙂

  2. ho messo l’appello sul blog insieme a un altro commento, saggio e pragmatico, al post di Grillo “Bersani, morto che parla”, adesso sono 13.500 commenti, c’è grande dibattito, giustamente

non accontentarti di leggere e scuotere la testa, lascia un commento, se ti va :-)