4. nel falso castello di Bossi a Ponte di Legno.

2 gennaio 2012   lunedì  18:21

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Ponte di Legno dovrebbe chiamarsi Ponte Dalegno, se la storia ha un senso, dato che il nome dell’antico capoluogo era Dalanias in un diploma di Carlo Magno del 774, e Dalegno rimase sino all’unità d’Italia,  addirittura come capitale di una piccola contea assieme a Edolo nel Quattrocento sino alla conquista veneziana.

Dalegno, dunque, fino a quando qualche dotto della nuova burocrazia statale tradusse a orecchio con spirito di colonizzatore quel rustico Dalegn detto dai villici locali, in italiano, con l’interpretazione più ovvia, ma anche più sbagliata.

a Ponte di Legno, che non è più Dalegno, c’è un castello che non è affatto un castello; ed è oramai famoso per essere il castello di Bossi, e non è neppure di Bossi, lui ci va solo ogni tanto, ospite di amici; ma quando arriva il paese si riempie di giornalisti e di agenti della Digos.

anche io ci sono finito ospite di amici di secondo grado (per niente leghisti, per fortuna) a passarci la notte dell’ultimo dell’anno tra botti e piccole romantiche mongolfiere portate nel cielo buio dal vento e dal calore di un candela posta al loro interno; Bossi non c’era, giornalisti neppure…

* * *

su quel castello ho avuto una piccola disputa: non ricordavo di averlo visto in qualche precedente visita mia del paese nel secolo scorso, e dunque sostenevo che era un kitsch molto moderno; invece vedo che è stato costruito nel 1922: Ponte di Legno era stata totalmente distrutta dai bombardamenti austriaci della prima guerra mondiale, e c’era voglia di rimetterla in piedi e nobilitarla, ci venne persino il re a inaugurare la ricostruzione, un mese prima della marcia su Roma.

e rientrava nello spirito del tempo anche un finto castello anticipatore di quelli del Lego e di Walt Disney, ma già imitazione di quelli bavaresi di Ludwig o, per restare in ambito locale, del castello Bonoris di Montichiari, costruito circa trent’anni prima, copia perfetta, questa, del castello del Valentino di Torino, a sua volta ricavata per imitazione da quello valdostano di Fenis.

per quanto costruito in località Poia, dove c’era stata una fortificazione longobarda, fatta smantellare da Venezia nel 1455, per evitare che potesse essere usata per improvvisate rivolte, come tutti gli altri castelli della Valcamonica, e ne restava ancora qualche traccia nell’Ottocento, questo castello rimane del tutto falso e posticcio, e a volte persino un pochino ridicolo, come tutti i medievalismi ottoscenteschi (e questo oltretutto arriva in ritardo).

quindi a me sembra la raffigurazione perfetta della falsa coscienza dei leghisti.

invano i leghisti cercano di nobilitarsi come barbari che hanno le loro radici nella preistoria: la loro ascendenza è molto più vicina a noi, non è medievale, ma ottocentesca, non è barbarica, ma piccolo borghese.

la Padania celtica di cui amano parlare non ha infatti alcun riferimento a radici storiche autentiche o a documenti o resti originali, è una semplice ripresa del kitsch di fine Ottocento.

il loro gusto estetico è rivelatore: sono dei conservatori grossolani e nostalgici, che amano il passato, ma non ne conoscono lo spessore e confondono senza malizia la paccottiglia architettonica dell’Ottocento con un passato autentico e profondo, che però non amano davvero perché la loro coscienza storica è approssimativa.

lo si vede subito: anche la cultura dei loro riti con le ampolle del Dio Po non è niente di più di quella un po’ risibile di qualche rappresentazione teatrale in maschera dell’oratorio di qualche anno fa; e anche Castelpoggio di Ponte di Legno, luogo simbolo della politica leghista, rivela alla fine la nostalgia piuttosto grossolana per un passato prossimo, che abbellisce la vita di una èlite decisamente benestante, che aveva scelto di vivere nella stessa mancanza di autenticità.

insomma è proprio Castelpoggio di Ponte di Legno che rivela che i leghisti non sono quello che sembrano.

un falso castello per un falso movimento, dopotutto: uno splendido correlativo oggettivo, avrebbe detto Eliot.

io poi il finto castello di Bossi l’ho anche fotografato al tramonto…

* * *

ed ora i commenti:

Gustoso articolo. Però secondo lo storico inglese James Simon (http://www.le.ac.uk/ar/stj/intro.htm) ad essere un’invenzione romantica ottocentesca sarebbe piuttosto la “celticità” irlandese, o più in generale delle isole britanniche, dove non è stata trovata alcuna traccia di un’invasione dal continente (ma anzi evidenze di una lunga continuità) mentre al contrario l’invasione gallica della pianura padana risulta ben comprovata anche archeologicamente (sia chiaro che comunque ritengo quello leghista un tentativo di “recupero” alquanto ridicolo). Saluti.
commento ancora più gustoso… e grazie della segnalazione.
approfondendo il tema (ahimé, in questo caso col semplice sussidio di wikipedia) vedo che l’ipotesi dei Celti invasori in Irlanda e più in generale è contestata sulla base di studi genetici sul popolamento dell’Europa e che anche Colin Renfrew propone una teoria della continuità, cioè di una evoluzione verso la cultura celtica per progressiva assimilazione di elementi indoeuropei su popolazioni preesistenti.
certamente le vicende storiche dei Celti, quando arrivano in Italia, sono documentate sul piano storico, mentre il carattere molto più primitivo della restante Europa occidentale non ha consentito il formarsi di una precisa documentazione scritta.
la cosa ancora più grottesca, però, è che – a stare a una cartina pubblicata sulla voce Celti di wikipedia – Camuni, Veneti e Reti, questi ultimi nell’area Trentino – Süd Tirol rimasero estranei all’invasione celtica!
per cui, se c’é bisogno di una smentita alle bislacche improvvisazioni bossiane, è proprio la storia del Celti a dire che non può esserci una Padania neo-celtica, dato che i Veneti rimasero sempre irriducibili alla conquista celtica, così come i Liguri, e l’unità storica sotto i Celti in Italia settentrionale fu realizzata solo fra Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli e Marche.
* * *
sul castello: è un kitsch molto diffuso quello di voler ricostruire antiche vestigia andate distrutte, penso alla Frauenkirche di Dresda distrutta nel ’45 dai bombardamenti alleati e da poco ricostruita, o al Palazzo imperiale di Berlino sostituito nella DDR dal Palazzo della Repubblica….
sulla “celticità”: non mi sono mai interessato troppo di questa branca della storia, ma concordo con te sulla forzatura kitsch che ne fanno: personalmente, mi viene sempre da ridere quando visitando i museo degli Eremitani a Padova vedo la sezione dedicata ai “paeloveneti”, veri antichi abitanti della regione prima dei romani, ma il nome è davvero comico…
in effetti, è giusto ricollegare la lega al romanticismo nazionalismo di fine ottocento, un kitsch. ma quello almeno aveva alle spalle i fratelli Grimm, Heinrich Heine, etc. etc, questi cos’hanno?
beh, da paleoveneto per origine familiare ho sempre trovato sommamente irritante l’assimilazione forzata nella Padania pseudoceltica fatta da Bossi dei nostri lontani progenitori, che, secondo una leggenda locale riportata dai Greci erano addirittura di origine anatolica e più precisamente persino troiana, come i Romani stessi.
che cosa abbiamo a che fare noi veneti con quei barbaroni dei Celti, portatori di una cultura molto più primitiva…? ;)
come vedi, chi di pseudoceltismo ferisce, di paleovenetismo può perfino perire.
e comunque dietro il neoceltismo leghista, niente: né storia nè letteratura né poesia; solo un po’ di musica e di arpa celtica; il celtismo ottocentesco ha almeno avuto un precursore in un falsario geniale, il Macpherson che fu autore dell’Ossian, che creò una moda che si trascinò fino a Foscolo neoclassico, ma non del tutto, e alimentò il romanticismo, e che poi ritroviamo nelle musiche di Mendelssohn.
ai giorni nostri, poi, direi però di distinguere fra ricostruzioni filologicamente attente e fedeli di monumenti distrutti dalla guerra, numerose nei centri storici tedeschi devastati dai bombardamenti amerciani, come quelle di Dresda e quella allo studio del Palazzo Reale di Berlino, che forse la crisi farà saltare per i suoi costi proibitivi, che chiamerei quasi più restauri che ricostruzioni aribtrarie, e la moda ricostruttiva fantasiosa e mitografica dell’Ottocento dei monumenti più vari, a cui dobbiamo ad esempio perfino parte importante di Notre Dame di Parigi, il cui nucleo originale è piuttosto limitato.
personalmente non sono contrario alle ricostruzioni con una base documntale, sono contrario alle immaginazioni storiografiche, soprattutto quando sono infondate e dovute solo ad una ignoranza orecchiante.
ciao, e grazie del commento.

8 risposte a “4. nel falso castello di Bossi a Ponte di Legno.

  1. Gustoso articolo. Però secondo lo storico inglese James Simon (http://www.le.ac.uk/ar/stj/intro.htm) ad essere un’invenzione romantica ottocentesca sarebbe piuttosto la “celticità” irlandese, o più in generale delle isole britanniche, dove non è stata trovata alcuna traccia di un’invasione dal continente (ma anzi evidenze di una lunga continuità) mentre al contrario l’invasione gallica della pianura padana risulta ben comprovata anche archeologicamente (sia chiaro che comunque ritengo quello leghista un tentativo di “recupero” alquanto ridicolo). Saluti

    • commento ancora più gustoso… e grazie della segnalazione.

      approfondendo il tema (ahimé, in questo caso col semplice sussidio di wikipedia) vedo che l’ipotesi dei Celti invasori in Irlanda e più in generale è contestata sulla base di studi genetici sul popolamento dell’Europa e che anche Colin Renfrew propone una teoria della continuità, cioè di una evoluzione verso la cultura cetlica per progressiva assimilazione di elementi indoeuropei su popolazioni preesistenti.

      certamente le vicende storiche dei Celti, quando arrivano in Italia, sono documentate sul piano storico, mentre il carattere molto più primitivo della restante Europa occidentale non ha consentito il formarsi di una precisa documentazione scritta.

      la cosa ancora più grottesca, però, è che – a stare a una cartina pubblicata sulla voce Celti di wikipedia – Camuni, Veneti e Reti, questi ultimi nell’area Trentino – Süd Tirol rimasero estranei all’invasione celtica!

      per cui, se c’é bisogno di una smentita alle bislacche improvvisazioni bossiane, è proprio la storia del Celti a dire che non può esserci una Padania celtica, dato che i Veneti rimasero sempre irriducibili alla conquista celtica e l’unità storica sotto i Celti fu realizzata fra Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli e Marche.

  2. sul castello: è un kitsch molto diffuso quello di voler ricostruire antiche vestigia andate distrutte, penso alla Frauenkirche di Dresda distrutta nel ’45 dai bombardamenti alleati e da poco ricostruita, o al Palazzo imperiali di Berlino sostituito nella DDR dal Palazzo della Repubblica….

    sulla “celticità”: non mi sono mai interessato troppo di questa branca della storia, ma concordo con te sulla forzatura kitsch che ne fanno: personalmente, mi viene sempre da ridere quando visitando i museo degli Eremitani a Padova vedo la sezione dedicata ai “paeloveneti”, veri antichi abitanti della regione prima dei romani, ma il nome è davvero comico…
    in effetti, è giusto ricollegare la lega al romanticismo nazionalismo di fine ottocento, un kitsch. ma quello almeno aveva alle spalle i fratelli Grimm, Heinrich Heine, etc. etc, questi cos’hanno?

    • beh, da paleoveneto per origine familiare ho sempre trovato sommamente irritante l’assimilazione forzata nella Padania pseudoceltica fatta da Bossi dei nostri lontani progenitori, che, secondo una leggenda locale riportata dai Greci erano addirittura di origine anatolica e più precisamente persino troiana, come i Romani stessi.

      che cosa abbiamo a che fare noi veneti con quei barbaroni dei Celti, portatori di una cultura molto più primitiva…? 😉

      come vedi, chi di pseudoceltismo ferisce, di paleovenetismo può perfino perire.

      e comunque dietro il neoceltismo leghista, niente: né storia nè letteratura né poesia; solo un po’ di musica e di arpa celtica; il celtismo ottocentesco ha almeno avuto un precursore in un falsario geniale, il Macpherson che fu autore dell’Ossian, che creò una moda che si trascinò fino a Foscolo neoclassico, ma non del tutto, e alimentò il romanticismo, e che poi ritroviamo nelle musiche di Mendelssohn.

      ai giorni nostri, poi, direi però di distinguere fra ricostruzioni filologicamente attente e fedeli di monumenti distrutti dalla guerra, numerose nei centri storici tedeschi devastati dai bombardamenti amerciani, come quelle di Dresda e quella allo studio del Palazzo Reale di Berlino, che forse la crisi farà saltare per i suoi costi proibitivi, che chiamerei quasi più restauri che ricostruzioni aribtrarie, e la moda ricostruttiva fantasiosa e mitografica dell’Ottocento dei monumenti più vari, a cui dobbiamo ad esempio perfino parte importante di Notre Dame di Parigi, il cui nucleo originale è piuttosto limitato.

      personalmente non sono contrario alle ricostruzioni con una base documntale, sono contrario alle immaginazioni storiografiche, soprattutto quando sono infondate e dovute solo ad una ignoranza orecchiante.

      ciao, e grazie del commento.

      • eh eh, per quanto trovi il concetto di “paleoveneti” estremamente falsificante, l’idea di discendere da Enea mi è sempre piaciuta!

        la cosa peggiore della Lega è che invece un minimo di fondamento avrebbe persino potuto trovarlo (pensando al Veneto: Ruzzante, Goldoni, Vivaldi!), invece hanno preferito buttarsi sui rutti e sul “Roma ladrona”… ha fatto presa, certo, ma cosa ne resterà?

        quanto alle ricostruzioni: restauri sì, senza dubbio; ricostruzioni ex novo… sono molto perplesso: capisco la bellezza della Frauenkirche (o della Fenice a Venezia), ma la storia è fatta anche di distruzioni…. vorremmo forse ricostruire il Colosseo o le Terme di Caracalla?

        • non era proprio Enea, era Antenore, mi pare, comunque i due erano molto parenti… 😉

          da veneto un pochino nazionalista e convinto che il Veneto sia la nostra Catalogna (nel senso geografico…), cioè l’unica regione italiana con dignità di vera e propria cultura autonoma e lingua propria (a parte la Sardegna, naturalmente) trovo che l’applcazione al Veneto dell’etichetta padana sia una violenza neocolonialista inaudita.

          ma poi veneto anche tu…, basta, ho già commentato altrove! 😉

non accontentarti di leggere e scuotere la testa, lascia un commento, se ti va :-)