12 risposte a “32. padre Ildefonso da Oderzo.

  1. Direi che più perfetto di così non si può. La forma è superba. Correggi il nome del nonno:si chiamava Ferdinando.Dove trovi il tempo per fare tutte quelle ricerche? Condivido i concetti di De Lamennais su un cristianesimo senza chiesa.

    • cara cuginetta,

      grazie delle lodi: in effetti questo post mi è costato una serata intera, quindi fai conto circa 4 ore di lavoro, di cui una forse per limare gli errori di battitura e perfezionare la forma; ma il bello del blog è di essere un quaderno aperto, e alcune cosette le ho migliorate ancora oggi rileggendo stasera.

      per il resto, internet fa miracoli e il copia e incolla (rimescolando) spiega tutto.

      effettivamente anche io ricordo che il nonno – che noi non abbiamo mai conosciuto – si chiamava Ferdinando, però ho anche chiaro e come stampato nella mente qualche documento di mio padre di cui si diceva “Tullio di fu Andrea”: è possibile che sia un falso ricordo? oppure che il nonno si chiamasse in realtà Andrea Ferdinando?

      che i due fratelli si chiamassero uno Ildefonso e l’altro Ferdinando dice qualcosa su una famiglia assolutamente integralista; ma poi che cosa c’era di vero sulle voci di una origine ebraica del cognome Bortol…? e che cosa si sa del banco di pegni del nebuloso bisnonno?

      e sappiamo qualcosa di Carlo Emilio Bortol… emigrato in Brasile nel 1897 e fondatore della dinastia dei Borto… brasiliani?

      http://www.bookmarca.it/SPT–BrowseResources.php?ParentId=713

      (il bello è che trovo traccia di questo Carlo Emilio solo nei miei appunti di qualche anno fa, ma in internet oggi ritrovo al suo posto un Antonio Bortol…, emigrato in Brasile nel 1888 e nato a Chiarano, quindi molto vicino a Oderzo.

      ciao, ti saluto e passo alla mail.

  2. “…sento che la gamba le impedisce di fare quel che vorrebbe fare. ..
    Non si preoccupi dunque di alcuna cosa, il far nulla… è cosa sì grande che solo i Santi la sapevano fare. Fa lei altrettanto? Non pensi ad altro.
    e, quando in letto non dorme, si ricordi di me e preghi.
    Se è vera la tua interpretazione di q

    • firdis trasformista 🙂 , ogni volta che commenti lo fai con un nick diverso, e wordpress ti blocca, è una fedele guardia del corpo.

      questo commento tuo partito per sbaglio va proprio bene per appoggiarci questa considerazione; ora passo all’altro.

  3. Si anche io la penso come te:

    “…sento che la gamba le impedisce di fare quel che vorrebbe fare…”

    “Non si preoccupi dunque di alcuna cosa, il far nulla… è cosa sì grande che solo i Santi la sapevano fare. Fa lei altrettanto? Non pensi ad altro.”

    “..e, quando in letto non dorme, si ricordi di me e preghi.”

    per ben tre volte, nonostante l’inizio brusco e scostante, quest’uomo dice a questa donna il suo amore (suo di lei). E gli piace così tanto che queste frasi oltre a sottolinearlo lo sigillano per sempre.
    Lui sa che altro non potrà accadere ma è così rapito dal sentimento di lei che gli sembra quasi di poterlo condividere, o forse lo condivideva già. Di certo- però- sa che lo vuole per se e con se per sempre.
    “non faccia nulla…non pensi ad altro…”

    Invece secondo me questa donna non aveva problemi alla gamba, altrimenti lui non avrebbe usato il verbo “sento” ma “piuttosto “so”. I problemi alla gamba secondo me sono di altra natura: l’enorme distanza tra il desiderio di lei e la possibilità di concretizzarlo.

    Affascinante.

    (cancella il commento precedente è partito da solo)

    • affascinante anche la tua lettura, che schiude altre porte, altre prospettive o aspetti nelle parole, che non avevo colto del tutto.

      l’analisi metaforica dei “problemi alla gamba” è superba; del resto so bene dai tuoi testi quanto sei attenta ad ogni sfumatura delle parole anche tu.

      però anche se questa tua lettura mi piace, secondo me non nega i problemi alla gamba di Giuseppina Moro – quando scrivevo non ero sicuro di ricordare bene che mi fosse stato detto che era zoppa, ma siccome la cugina che l’ha conosciuta non corregge, ora lo sono di più.

      però al di là di questo, penso che Ildefonso se avesse dovuto parlare di una gamba sana che momentaneamente dava dei problemi, avrebbe dovuto dirlo, invece dice semplicemente di “sentire” che la gamba – per definizione LA gamba lesa – le imopedisce di fare quel che vorrebbe fare.

      ciò che è transitorio nel presente è questo impedimento occasionale di qualche progetto, non la condizione di lesione strutturale e permanente della gamba stessa, che è un dato come presupposto e datro per scontato.

      o così, almeno, io sento quel testo.

      grazie mille e a presto.

  4. Naturalmente l’uomo dai capelli chiari che guarda dal suo bianco e nero senza vedermi mi turba. Momenti di turbamento nella lettura del post sono venuti dalle domande che nuotano intorno alla relazione tra il papa e il giovane confessore. Mi è tornato in mente Narciso e Boccadoro di Hesse.
    E questa lettera che si conserva resistendo a tutti, è il simbolo di un concetto che esprimi magistralmente all’inizio quando parli della mitografia famigliare di ognuno di noi, credo di sentire così mio questo tuo insegnamento.
    Post affascinante per via degli oggetti che ammiccano dallo scaffale, per la sottigliezza della tua interpretazione e per il tuo risalire paziente alla foce dei gesti e delle negazioni, scandagliando vocazioni e cause fino alla traccia inquietante del santo sepolto vivo.
    Forse anche i cuori di alcuni si seppelliscono vivi e forse certa scrittura che supera la morte seguendo strani percorsi, intrecci, travasi, altro non è che un battere forte su quel coperchio di bara sotto il quale non resistono “le passioncelle” e tutte le sublimazioni che ne derivano, di questo più di altro – mi piace pensare – siamo fatti quando decidiamo di affidare tesori di altri, una lettera, un libro, a chi resterà dopo di noi, sia esso un figlio, un pronipote, un lettore.
    Se fosse un romanzo credo ti ascolterei sviluppare con piacere i motivi di questo innamoramento in Dio che sottrae al resto, soprattutto il confessionale tra i due uomini di fede, il vecchio e il giovane, la femminilità ferita della zoppa la cui caratteristica più affascinante per me resta quell’amare senza sapere di amare, e poi le ultime ore orribili del santo che sta dietro l’ispirazione. Sarebbe un romanzo a molte voci, come quelli di Cunningham.
    Mi sono presa questo tempo per scriverti dopo averti letto nella calma della mattina presto che dopo la rassegna stampa precede il delirio compulsivo di una redazione. Nella nuova casa dove ci siamo trasferiti dopo Parigi non abbiamo ancora internet, attendiamo gli addetti ai lavori in queste ore.
    Un abbraccio
    Luisa che va a fare la seconda colazione

    • cara luisa,

      come devo definire questo tuo commento straordinario, e tanto più a pensare alla concentrazione che mantiene anche nelle condizioni in cui è stato scritto?

      una recensione bellissima, oppure uno sviluppo della narrazione?

      è da questo commento tuo che mi sono reso conto che forse il segreto della dedizione del padre-prozio al modello di Tommaso da Kempis stava nella comune percetzione di essere un sepolto vivo, come lui.

      questa lettera è del 1926, se vi era qualcosa di vero nelle leggende familiari, si era al 14o anno di semireclusione conventuale del frate; e in effetti io non so quando sia nata questa passione di Ildefonso per l’antico suo simile Tommaso.

      ma indidpendentemente da questo particolare incerto, la condizione di uomo che ha seppellito se stesso nella negazione di sè è proprio quanto oscuramente questa figura familiare mi ha sempre oscuramente trasmesso.

      devo a te l’avere esplicitato questo significato, che in qualche modo ritrovo anche nella mia esperineza adolescenziale.

      però, guarda caso, in quel testo di Tommaso io sono corso subito allora a ritrovare l’antidoto; nella giusta indulgenza che dobbiamo a noi stessi contro ogni tentazione di perfezionismo.

      per me (parlo solo per me) anche il romanzo sarebbe una tentazione di perfezionismo: il mio genere sono i collages, e non potrei mai sostenere senza adeguato materiale di rinforzo una narrazione così estesa; mi basta la pennellata sintetica ed esssenziale di un testo che ha la misura del racconto.

      intanto ho però rifatto – direttamente sul blog – il racconto, la cui prima stesura, diversa nell’ordine di alcune parti e nel finale, ora meno unilaterale e moralistico o predicatorio, è con questo andata dispersa.

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