francesco, sulla felicità ai tempi della crisi. 10

6 gennaio 2012 venerdì   12:57

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a volte ho la tentazione la domenica di buttare giù qualche specie di predica laica; ma oggi non è domenica, e lascio la predica a francesco, amico di blog da anni, che mi ha scritto con l’avatar di errando1.

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Caro Mauro,
parliamo di cose belle, parliamo della felicità.

Quando eravamo ragazzi era frequente durante un pasto a base di poll, che finisse sul piatto, di chi mangiava il petto, quell’ossicino simmetrico a forma di V. Due persone lo tiravano contemporaneamente per vedere a chi rimaneva la parte più grossa dell’ osso: il fortunato doveva esprimere un desiderio nella speranza che si avverasse. Ora è più raro, le confezioni di petti di pollo disossate ci hanno tolto i desideri. Ma per nostra fortuna ci sono ancora un mucchio di occasioni, per chi ci crede, di esprimere desideri: il primo frutto di stagione, una stella cadente (ce ne sono almeno 10 ogni notte di un giorno qualsiasi) e quant’ altro.

Mi ricordo che sin da ragazzo, forse perchè a corto di fantasia nell’ esprimere desideri o forse per una giusta intuizione, mi assestai su un unico desiderio tutte le volte che profanavamo i resti di un pollo: voglio essere felice ! La felicità è il migliore strumento per misurare il nostro grado di realizzazione nella vita. Con quell’ unico desiderio, se si fosse realizzato, si potevano coprire tutte le possibili variabili di questo pianeta ed i rischi della vita.

Alcuni passi successivi sono semplici, almeno per chi cerca di usare il circa 1,4 kg di neuroni che portiamo a spasso sulle spalle tutti i giorni: la felicità del singolo non può dipendere o causare l’ infelicità degli altri. Hitler sarebbe stato molto felice di completare l’ opera iniziata con lo sterminio di circa 6 milioni di ebrei, peccato che ciò avrebbe causato l’ infelicità totale di altri milioni di persone, e quindi è stato molto saggio rederlo infelice.

Però, proseguendo sul ragionamento, iniziano le prime difficoltà. Quando ci avventuriamo su tonalità di grigio più sfumate iniziano i problemi, talvolta i neuroni ci lasciano con dei dubbi nonostante li spremiamo in cerca di risposte.

Gioire dell’ accumulo di beni di beni è nella natura, lo fanno anche le gazze.
Ci sono persone che riescono a gioire di cose che lasciano totalmente indifferente il resto dell’umanità, per esempio il collezionista di statuine di ceramiche di Capodimonte del 17.mo secolo: lui darebbe l’ anima per possedere qualcosa che se noi vediamo su un banco di rigattiere neanche riconosciamo dalla paccottiglia che la circonda. Ora, se il collezionista è felice, come direbbe Woody Allen, basta che funzioni.
Poi però mi viene in mente il discorso di un dirigente amante dei sigari che mi spiegava che ci sono alcuni sigari cubani, rollati da giovani donne sull’ interno delle loro cosce sode, che costano circa 1.000 $ (mille dollari!) e che l’ intenditore apprezza nonostante il prezzo. Fumarsi 1.000 (mille) dollari, anche se ti da una grande felicità, sinceramente fa un po’ senso.

Però credo sia sbagliato reprimerlo o vietarlo: se te li sei guadagnati onestamente, devi essere libero di fumarti il sigaro costoso o berti la bottiglia di vino rosso ancora più costosa.

Esiste  invece un consumismo stupido, che provoca danni sprecando risorse ed intorpidendo il cervello: giocattoli di plastica che hanno una vita utile più corta di una falena e che allietano una discarica per diverse ere geologiche sarebbero da evitare.

Però cerchiamo di non fustigarci oltre il necessario, certi sbagli non sono tipici della nostra società consumistica, ma si ripresentano in tutti gli angoli della terra. Ricordo un documentario di Alberto Moravia che sottolineava l’ inutilità di alcune mucche africane che non producevano latte, non venivano utilizzate per la carne, ma erano semplicemente status simbol. Noi abbiamo SUV che non hanno mai messo le ruote fuori dall’ asfalto a consumano pozzi di petrolio, i signorotti africani hanno mucche status simbol che desertificano la terra.

Anche prima della crisi, negli inevitabili alti e bassi della vita, abbiamo imparato che se vogliamo essere felici non dobbiamo ascoltare le sirene (ogni riferimento alle pubblicità delle TV di Berlusconi è puramente casuale).

Esiste un bellissimo documentario musicale, The giant leap, dove – insieme ad una collezione di musiche etniche – ci sono pezzi di artisti famosi ed interviste a gente più strana. Non dimenticherò mai l’intervento di una persona che era andata ad intervistare malati terminali. Alla domanda su cosa rimpiangesse di non aver fatto nella vita, nessun intervistato ha risposto che rimpiangeva di non aver guadagnato abbastanza soldi o non aver fatto più carriera. Tutti rimpiangevano di non aver passato più tempo con la famiglia, con gli amici o dedicato più tempo a realizzare i propri sogni.

Ma l’ altra faccia della medaglia è il bellissimo detto che, se è vero che i soldi non ti danno la felicità, è altrettanto vero che la mancanza di soldi di sicuro può darti l’ infelicità.

Insomma , caro Bortocal, ogni giorno c’è chi corre per mangiare, c’è chi scappa per non essere mangiato e, se ci scappa del tempo libero, devi anche cercare il giusto compromesso che dia un senso a tutto questo.

Ti auguro tanta felicità e pochi sani dubbi.

errando1

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perché mi auguri pochi dubbi, francesco? lasciami i miei molti dubbi, per favore.

è dalla ricchezza dei dubbi che nasce la forza del rifiuto, e non potrei rifiutare il consumismo stupido se non dubitassi di troppe cose, assieme a te, del resto.

2 risposte a “francesco, sulla felicità ai tempi della crisi. 10

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