tre paradossi su nichilismo e depressione. [borforismi 41]

2 Maggio 2012 mercoledì 06:40

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la depressione è l’unica malattia che può riuscire a diventare filosofia e, quando succede, il nichilismo è la sua terapia.

* * *

se nichilismo è solo un modo per dire depressione, allora questa ci devasterà fino in fondo.

se resistiamo invece alla tentazione della sofferenza e della disperazione fine a se stessi, se teniamo fermo il nichilismo come sistema di pensiero e interpretazione globale del mondo, in questo caso possiamo goderci la depressione almeno dal punto di vista intellettuale e trasformarla in pensiero.

* * *

quando il pessimismo che nasce dalla perdita di valore dei desideri assume la forma filosofica del nichilismo incontra un limite.

infatti filosoficamente un nichilismo assoluto sarebbe una contraddizione in termini: sarebbe come una nuova religione del nulla assoluto, e invece la caratteristica del nichilismo è di relativizzare tutto, compreso se stesso.

in questo senso esatto il cerchio si chiude e il nichilismo diventa una terapia della depressione.

9 risposte a “tre paradossi su nichilismo e depressione. [borforismi 41]

  1. varrebbe la pena codificare i termini:
    – nichilismo …
    – depressione …
    perché è difficile solo percepire figurarsi capire (sono in ritardo di un annetto vero!?)

    saluti, Pippo.

    • be’, indubbiamente il topic è di un anno fa, ma è anche vero che sei l’unico commentatore, e quindi tanto più gradito, anche se ritardatario, in base al santo principio: meglio tardi che mai. 🙂

      cercando di essere sintetico direi che la depressione è il SENTIMENTO dell’assenza di significato di ogni cosa e della nostra stessa vita: si traduce in un malessere psoicologico percepibile e avvelena la vita.

      il nichilismo è la CONVINZIONE (se non vuoi chiamarla fede) corrispondente.

      in questo senso riuscire a trasformare un sentimento doloroso in una convinzione razionale è certamente una terapia che migliora le condizioni di esistenza.

      non chiedermi però come si possa restare sereni anche con questa convinzione addosso: aiuta forse l’orgoglio di avere raggiuntola verità e di provare a sostenerla, rispetto ai tanti che per sopravvivere hanno bisogno delle favole, come i bambini piccoli…

      • ipotizziamo per il momento che le Tue assunzioni interpretative siano corrette, ma “l’orgoglio di avere raggiunto la verità e di provare a sostenerla” non credi che rispetto ad un approccio nichilista sia tutto sommato da ritenersi cosa che potrebbe lasciare indifferenti? quindi una sorta di contraddizione in termini?

        Pippo.

        • la tua critica è acuta, e sottolinea una possibile contraddizione rispetto a quanto scritto nel topic originario nel terzo punto.

          anzi, siccome il mio commento riprende il secondo punto, in sostanza, la contraddizione si estende al topic stesso.

          ma nel secondo punto si parla del nichilismo come sistema di interpretazione globale del mondo nel suo aspetto soggettivo; nel terzo punto si dice che “un nichilismo assoluto sarebbe una contraddizione in termini: sarebbe come una nuova religione del nulla assoluto, e invece la caratteristica del nichilismo è di relativizzare tutto, compreso se stesso”; in altre parole si nega che il nichilismo possa darci una verità assoluta.

          in una recente discussione con un altro blogger siamo arrivati alla constatazione che il nulla non è una sostanza, è un processo: l’essere è, ma il non essere nega.

          in questa natura dinamica del nulla sta la mia risposta alla tua fondata obiezione: la verità non esiste, ma esiste la negazione della menzogna; questa negazione noi la chiamiamo verità e può dare a chi la conquista la stessa soddisfazione della verità assoluta in cui credono altri…

          spero di essermela cavata dignitosamente, almeno… 🙂

          • Si, te la cavi più che dignitosamente, fosse solo perché l’oggetto di cui parliamo è ostico e di difficile determinazione, poi ci metti del tuo e quindi è più che sufficiente per per congratularmi.
            Visto che la cosa ci piace, mi permetto di sottoporti queste riflessioni sempre sul tema che mi hai evidenziato:
            che il nichilismo possa essere assunto come un modello di approccio interpretativo degli eventi mi sta bene, che in verità relativizza le cose ma.. non sono proprio convinto, credo in verità che determini in maniera aprioristica una non finalità degli eventi, da cui la inconsistenza dell’essere! Quindi più che relativizzare destrutturizza ontologicamente le prospettive dell’essere.
            Il nulla potrebbe essere uno stato (=valore) associato ad una entità, valore assunto a seguito di un processo. Da cui, se l’essere è una entità, il nulla è il valore che pone allo stato del non essere tale entità a seguito di un processo che lo coinvolge, ad esempio un’esperienza negativa di tipo nichilistica (o peggio depressiva).
            Che ne dici di questo approccio come metodo di analisi e descrizione?

            • è un concorso a premi, vero? poi mi dirai, più avanti, che cosa c’è in palio… 😉

              allora tu dici che il nichilismo come metodo di indagine (“modello di approccio interpretativo degli eventi”, dici tu) “determina in maniera aprioristica una non finalità degli eventi”,

              non ne sono convinto: a mio parere nega semplicemente che la finalità degli eventi possa avere un valore assoluto, e quindi, ad esempio, che tutti gli eventi abbiano la stessa finalità, non nega a eventi particolari finalità particolarie, transitorie e prive di validità assoluta.

              in altre parole sto sostenendo che nichilismo ontologico e relatività dei valori hanno la stessa radice e lo stesso fondamento filosofico.

              “Il nulla -scrivi – potrebbe essere uno stato (=valore) associato ad una entità, assunto a seguito di un processo”.

              mi pare che stai dicendo in altro modo quel che avevo detto anche io: il nulla non è una qualche controsostanza che si oppone all’essere, ma un processo: è il principio che sta alla base del tempo, che impedisce alle cose di esistere ontologicamente come dati in sé, e consente loro di vivere, cioè di realizzare il processo della vita.

              tuttavia la tua conclusione è in qualche modo manichea, se mi passi il termine, perché hai ancora bisogno di credere a una qualche sostanza, manifestazione dell’essere, cui il non essere si oppone.

              io continuo invece a pensare che quello che chiamiamo essere sia il bisogno immaginativo di una mente duale che deve contrapporre al non essere la sua negazione per spaccare il mondo in due bit elementari in base ai quali calcolarlo.

              ma quel che noi chiamamo essere non è altro che la necessaria manifestazione del non essere come processo.

              a parte questa ultima precisazione, mi pare che le tue definizioni abbiano dato una dignità filosofica un poco più ufficiale alle mie riflessioni… 🙂

              • caro Amico,
                attendevo che Tu fossi a dirmi cosa si potesse vincere, visto tra l’altro che ho riattivato la discussione dopo un anno, oserei dire che sono un resuscitatore.
                Ciò nonostante, ove nulla si dovesse vincere, sappi che per essere il marginale viaggiatore del web che sono, mi è sufficiente partecipare. Sempre col Tuo consenso.

                Tornado al merito delle nostre elucubrazioni; se ti ho dato l’impressione di essere un po’ manicheo e quindi di avere un approccio binario, ti dico fin da subito che sono portatore del pensiero applicativo discendente dalla teoria degli insiemi sfuocati (in gergo Fuzzy Set).
                Attraverso questo approccio, non so se conosci questa teoria, il problema del Tertium non datur è superato, con tutti i paradossi ad esso associati.
                In soldoni, l’approccio non è più vero/falso, ma definire una funzione che misura l’appartenenza di una entità ad un concetto (o diversamente grado di verità), tieni conto che è un approccio oramai codificato in termini matematici e non è solo una teoria ma è praticamente applicato anche in casi operativi e quotidiani anche a nostra insaputa da banalissimi elettrodomestici.
                Quindi, non mi sognerei mai di essere manicheo e solo l’esigenza di sintesi che mi ha obbligato a parlare dei due valori limiti assumibili dalla funzione di appartenenza che descrive lo stato dell’essere, che più in dettaglio va ad esempio dal valore limite 1 che indicherebbe uno stato dell’essere al valore 0 che non è l’opposto di 1, ma semplicemente l’altro limite del’intervallo degli infiniti valori tra 0 e 1 ad ess. ( 0.1; 0.2; 0.3; ecc.) ma questa a sua volta non è che una rappresentazione artatamente insiemistica e funzionale dello stato dell’essere, che può anche rappresentarsi in altro modo. Quello che dobbiamo necessariamente fare è ricorrere a strumenti che siamo in grado di gestire per rappresentare l’oggettività anche dell’essere, con tutti gli errori e limitazioni che ciò comporta, l’importante avere consapevolezza dell’errore.

                Qua la cosa si sta complicando, che dici?

                • direi che, pur limitando la tua risposta alla replica al dubbio che mi era venuto sulla tua posizione, hai dato un contributo molto importante a chiarire la questione.

                  quando scrivi che “solo l’esigenza di sintesi” ti “ha obbligato a parlare dei due valori limiti – o meglio: limite – assumibili dalla funzione di appartenenza che descrive lo stato dell’essere” entri d’un balzo al centro del problema che stavo ponendo.

                  la dicotomia essere/non essere che è fondativa della filosofia occidentale assolutizza una “esigenza di sintesi” della mente umana, che ha una struttura troppo elementare per gestire la complessità della realtà.

                  essere e non esseresono solo valori limite, mai concretamente raggiungibili, di diversi stati di probabilità che attraversano le esperienze.

                  è interessante sapere che ci sono precise teorie matematiche che danno sostanza a questa intuizione, che resta lontana dal pensiero comune, alla quale ero arrivato per mio conto tre decenni fa, ma ovviamente a livello di semplice intuizione.

                  non sono in grado di entrare più a fondo nella teoria matematica che è sottesa, non è il mio campo.

                  d’altra parte questi mi paiono concetti matematici che andrebbero estrapolati e applicati ad un continuum di probabilità 0/1 che ha come valori limite “essere” e “non essere”.

                  ma una percezione immediata di quella che chiamiamo realtà come somma di gradi di probabilità differenti mi pare per sempre interdetta a noi umani.

                  vedo che, tuttavia, allafine, pur negando di essere manicheo tu continui a parlare di “oggettività anche dell’essere”, il che continua ad apparirmi una contraddizione i termini col, resto del tuo discorso. 🙂

                  grazie del commento, tuttavia, che ho letto con autentico interesse e che allarga i miei orizzonti.

non accontentarti di leggere e scuotere la testa, lascia un commento, se ti va :-)

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