Wikileaks, il TISA, il sogno del default – 429.

usare i media per raccogliere frammenti di verità su cose che contano; Hegel diceva che la lettura del giornale era la preghiera quotidiana dell’uomo moderno (lo diceva due secoli fa, quando i giornali li leggeva soltanto una ristrettissima élite).
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oggi ogni giornata ci richiede, invece, un esercizio mentale di discriminazione del vero dal falso, del significante o significativo dall’insignificante, del portatore di senso o almeno di emozione dal noioso e dall’inconcludente.
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dove peraltro sono destinate a finire anche le nostre parole, troppo uguali a se stesse, per riuscire a risuonare e farsi strada fra menti indifferenti a se stesse.
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non è una preghiera da recitare, anche se nuova ogni mattina, sotto forma di rosario delle notizie che contano, ma un testo da scrivere mentalmente in proprio, un esercizio mentale di interpretazione della realtà: e col rischio costante di sbagliare.
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forse inutile, dunque, ma comunque obbligato, se vogliamo vivere a nostra vita nel mondo con consapevolezza.

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non credo ci sia bisogno di ricordare chi sia Wikileaks, l’organizzazione creata da Julian Assange; comunque chi ha bisogno di un ripasso, legga qui oppure qui: https://bortocal.wordpress.com/?s=wikileaks&submit=Cerca).

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giovedì scorso ha pubblicato dei materiali di lavoro predisposti a livello inter-governativo mondiale nella trattativa per la definizione del TISA (Trade in Services Agreement, Accordo di Commercio dei Servizi).
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i paesi che dovrebbero esserne coinvolti sono 50: Stati Uniti e Unione Europea Australia, Canada, Cile, Taiwan, Colombia, Costa Rica, Hong Kong, Islanda, Israele, Giappone, Liechtenstein, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Pakistan, Panama, Paraguay, Peru, Sud Korea, Svizzera, Turchia.
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esclusi, invece, i cosiddetti BRICS: Brasile, Russia, India e Cina, anche se quest’ultima in qualche modo presente per le trattative che riguardano Hong Kong, la City cinese.
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niente manifesta meglio il carattere assolutamente apparente e mistificatorio delle post-noderne democrazie parlamentari, come il fatto che “le trattative a cui fa riferimento la bozza vengono definite “riservate” e lo stesso trattato è indicato come “classificato”.
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Di più: secondo quanto riportato in calce al documento, il TISA dovrebbe rimanere segreto per 5 anni anche dopo il raggiungimento dell’accordo tra i Paesi aderenti; per lo stesso motivo “il TISA non è stato discusso in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), che prevede la pubblicità degli atti e una discussione più “trasparente””.

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un fatto assolutamente enorme che le decisioni veramente importanti per il nostro futuro siano prese in oscure stanze a totale nostra insaputa, che acquista tutto il suo significato se andiamo a vedere quale è il nucleo fondamentale di questo accordo segreto che punta a smantellare il ruolo dei governi nella finanza.
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infatti “il trattato ha contenuti simili al GATT (Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio) e al GATS (Accordo Generale sul Commercio dei Servizi), finiti al centro delle proteste a Seattle nel 1999 e al G8 di Genova del 2001.
Rispetto a questo, il TISA si muove su una sorta di “binario parallelo” (e segreto) che ne estende l’applicazione a un maggior numero di Paesi.
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l’obiettivo dell’accordo è chiaro: eliminare tutte le leggi nazionali che sono considerate come “ostacoli” al commercio dei servizi in ambito finanziario.

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Secondo Jane Kelsey, professoressa della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Auckland e autrice di un memorandum che Wikileaks pubblica a corredo della bozza, gli accordi di questo tipo utilizzano un sistema sanzionatorio che segue canali “paralleli” alla giustizia ordinaria.

I governi proponenti intendono eliminare alcune delle norme introdotte (o suggerite) in seguito alla crisi del 2008.
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in altre parole viene segretamente sancita la superiorità della finanza internazionale rispetto agli stati: se un’azienda ritiene che lo Stato estero in cui opera vìola in qualche modo il trattato, può fare ricorso a un tribunale speciale che agisce come organo arbitrale, nel quale non sono previste udienze pubbliche,
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lo Stato condannato a questo punto ha due scelte: cancellare la legge in questione o risarcire l’azienda.
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ma questa nuova visione giuridica è già parzialmente in atto: ad esempio nel 2011 l’Australia si è vista chiedere un risarcimento miliardario da parte della marca di sigarette Philip Morris.
Il motivo?
Il governo australiano aveva obbligato i produttori di tabacco a vendere le sigarette in pacchetti senza logo per ridurne il consumo.
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Per esempio diventerebbero contrari al trattato e quindi impugnabili i limiti alle dimensioni degli istituti finanziari, imposti in alcuni Paesi per evitare il ripetersi di operazioni di salvataggio obbligate nei confronti di quei soggetti “troppo grandi per fallire”.
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altre proposte presentate nella bozza prevedono la privatizzazione della previdenza e delle assicurazioni, l’eliminazione degli obblighi di divulgazione delle operazioni offshore nei paradisi fiscali, il divieto di imporre un sistema di autorizzazione per nuovi strumenti finanziari (come i derivati) o di regolamentare l’attività dei consulenti finanziari.
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in poche parole, all’oscuro e nell’inconsapevolezza di tutti noi viviamo da tempo oramai, senza accorgercene, in un mondo completamente post- democratico, dove le principali decisioni di politica economica non vengono prese dai governi, ma da strutture transnazionali al servizio della èlite degli iper-plutocrati senza nazione.
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gli stati nazionali e perfino i grandi complessi statali storici come gli USA e la mai nata completamente Unione Europea sono oramai completamente subordinati ad un potere più grande di loro, che è quello delle istituzioni finanziarie che danno loro gli ordini e che hanno di fatto costituito un livello supremo di decisione sottomettendo politicamente la maggior parte del genere umano esattamente come lo hanno sottomesso economicamente.

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e tuttavia questo potere diventa tanto più fragile quanto più cresce: è un gigante con i piedi d’argilla che pone le premesse del suo crollo per via del suo stesso insostenibile sviluppo.

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la crisi economica mondiale (il nome che diamo alla progressiva concentrazione della ricchezza umana nelle mani della ristretta èlite degli iper-plutocrati), assieme alla lacerazione prodotta fra i limiti fisici della sostenibilità planetaria e l’esigenza capitalistica di uno sviluppo infinito, ci sta portando verso un periodo probabilmente di grosse turbolenze sociali e di drammatici sconvolgimenti politici.
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dove l’opposizione al potere dei nuovi signori della guerra e della finanza è destinata a svilupparsi in forme caotiche e convulse, probabilmente estranee alla classica distinzione fra destra e sinistra, e ad assumere contemporaneamente aspetti francamente conservatori e addirittura neo-nazisti così come forme rivoluzionarie classiche.
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il dato comune che sottolineano gli osservatori imparziali è comunque che l’attuale quiete è solo apparente e che l’equilibrio rimane fortemente precario.

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un solo esempio, dal post di qualche giorno fa di Mario Seminerio: La casa di debito europea è a costante rischio crollo.

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È ormai palese che noi occidentali siamo imprigionati in un mondo ad alto debito e bassa crescita, destinata ad alimentare il primo in un circolo vizioso che porta con sé il mancato riassorbimento della disoccupazione e di conseguenza implica forti e crescenti tensioni sociali, con un costante rischio di dissesto, pubblico e privato. (…)
In Europa il movimento di riduzione del rapporto di indebitamento, sia pubblico che privato, è appena iniziato e sarà lungo e doloroso, impedendo di fatto per molto tempo la crescita e ponendo i governi di fronte al tradeoff tra instabilità sociale ed instabilità finanziaria.
Negli Stati Uniti, più che di credit crunch, cioè di restrizione dell’offerta di credito da parte delle banche, siamo di fronte ad una balance sheet recession, cioè una recessione patrimoniale in cui è soprattutto la domanda di credito ad essere debole, perché le famiglie (ed in minor grado le imprese) vogliono solo sbarazzarsi dall’eccesso di debito accumulato negli ultimi anni.
In Eurozona, oltre al credit crunch bancario, abbiamo un eccesso di debito privato che di fatto non è ancora neppure stato scalfito.
Anzi, la profondità della recessione ha messo pressione a questi rapporti di indebitamento. 
Non solo: sempre in modalità “è nato prima l’uovo o la gallina?”, l’alto rapporto di indebitamento contribuisce a tenere depressa la crescita, che a sua volta mette pressione al rialzo all’indebitamento medesimo, almeno sin quando non si giunge al punto di rottura e scoppiano i default, personali ed aziendali.
Secondo Münchau – del Financial Times – (ed anche secondo il buonsenso), il rischio che si giunga a default per evitare sollevazioni popolari ed esiti elettorali “irrazionali” è destinato a crescere.

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questa affermazione di Seminerio è tanto più interessante, in quanto finora si era espresso sempre contro questa ipotesi, che invece, più tempo passa e più diventa ragionevole e sta cominciando a farsi strada anche negli ambienti più ortodossi.

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chiaramente la rinegoziazione del debito sul piano economico non può che andare di pari passo ad un forte ridimensionamento politico del potere della finanza, e dunque trattative segrete tra i governi come quelle rivelate da wikileaks sono assolutamente incompatibili con la prospettiva tracciata qui sopra.
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insomma, la confusione è grande sotto il cielo, e dunque – secondo i vecchi dettami maoisti, la situazione dovrebbe essere considerata eccellente.

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non è affatto così: la situazione è confusa, ma anche molto pericolosa.

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e tuttavia si avvicina sempre di più il momento della decisione: quello nel quale le grandi istituzioni politiche come l’Unione Europea dovranno fare definitivamente a loro scelta di campo.
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ancora a favore della finanza mondiale oppure contro.
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nel frattempo apprendo, sempre dal blog di Seninerio, che però l’Unione Europea ha recentemente cambiato le regole sui rimborsi finanziari in caso di default, prevedendo che id iritti delle istituzioni finanziarie precedano su quelli dei singoli e delle imprese, al contrario di quanto era sinora.
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eppure nessun’altra entità statale che quella globale europea (possibilmente liberata dalla presenza della Gran Bretagna, che è troppo condizionata dalla finanza mondiale che ha una delle sue capitali nella City di Londra) potrà gestire un simile scontro.
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e dunque solo per questo la prospettiva della unificazione degli stati europei in una confederazione vera e propria è quella da mantenere a tutti i costi.

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lo scontro tra la Gran Bretagna di Cameron e il resto dell’Europa sulla scelta di Juncker come Presidente dell’Unione Europea non ha altro che questo significato.

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la Gran Bretagna dei Conservatori inglesi, cioè la City, vuole un’Unione priva di rilievo politico, semplice cassa di risonanza di decisioni prese nei suoi uffici.
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vitale diventa invece avere una realtà politica vera, capace di prendere delle decisioni e anche di opporsi.
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ma, ancora più sullo sfondo, essenziale è una Unione Europea capace di decidere politicamente anche di tagliare le ali al mondo della finanza e a ridimensionarne il potere.
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(sia detto per divertito inciso: e Grillo ha proposto ai suoi, come terza opzione, quella di aderire al gruppo dei Conservatori inglesi nel Parlamento Europeo: quanto è grande la confusione nella sua testa?).

Una risposta a “Wikileaks, il TISA, il sogno del default – 429.

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