276. Marchionne in concessionaria: sino all’ultimo minuto.

è raro trovare tanta chiarezza nell’esposizione del nucleo dei problemi economici e sociali attuali dell’Occidente: infatti l’autore non è un addetto ai lavori e scrive senza il complesso di molti giornalisti attuali, che devono dimostrare al lettore di avere fatto l’università.

è il presidente dei concessionari d’auto italiani e ovviamente scrive (in una lettera a Repubblica) per portare acqua al mulino del suo lavoro, però secondo me coglie l’essenziale, e io riassumerò e commenterò, come è mio uso.

però contemporaneamente proverò a dimostrare che ha torto.

* * *

“In Europa Occidentale produrre non conviene più.
Questo è la madre di tutti i problemi.
I fattori sono molteplici.
Prima di tutto vi è il costo del lavoro; se paragonato a quello di Cina e India, non c’è match.
Battuti in partenza.
Ma anche verso i paesi dell’Europa dell’Est, o della ex-Jugoslavia, c’è un abisso”.

insomma, prima di tutto, al cuore dei nostri problemi ci sta la globalizzazione, oppure, se preferite chiamarla in un modo un poco meno scontato, il fatto che le scoperte tecnologiche compiute dall’Occidente, che sono state la base del suo successo negli ultimi due secoli di schiacciante superiorità tecnica e scientifica e di conseguenza del suo benessere di massa, sono diventate patrimonio anche di altri popoli, dal reddito molto meno sviluppato, non ancora abituati al benessere occidentale e quindi propensi a lavorare a salari più bassi.

ma la questione è pochino più complessa di come la fa il concessionario, e non è affatto vero che la soluzione possibile è una sola, come implicitamente suggerisce lui, e cioè di ridurre i salari, con ciò impoverendoci tutti, sia coloro che i salari se li guadagnano, sia i commercianti che sul consumo del salario fanno i loro affari, sia coloro che producono merci perché i commercianti le vendano agli operai.

le soluzioni possibili sono diverse: o ridurre i salari nostri ai livelli dei concorrenti producendo merci dello stesso tipo e valore, oppure realizzare una produzione di livello migliore e di costi più alti, che abbia quote di mercato anche nelle élites dei paesi emergenti, oppure infine continuare a mantenere un gap tecnologico e ridurre i costi di produzione sulla base di una produttività migliore o produrre merci molto nuove e concorrenziali che non abbiano ancora concorrenza.

visto che parliamo di auto, possiamo dire che in questo settore, ad esempio, ci sono tre strade, che anche il concessionario potrebbe capire: produrre auto uguali a quelle coreane e domani indiane o cinesi, riducendo i salari al livello di quesi paesi; oppure produrre Mercedes e Porsche che siano status simbol anche per i nuovi ricchi coreani, cinesi e indiani; oppure essere i primi a produrre auto elettriche al mondo e battere la concorrenza su questo terreno.

se non si pongono queste alternative, il resto del discorso è artificiosamente limitato ad una ipotesi sola, la prima.

diventa così scontato che non sia possibile né la produzione di prodotti di più elevata qualità e costo né la realizzazione di una produzione innovativa e competitiva sul terreno della ricerca.

è quello che succede all’autore della lettera, che dà per scontato che l’Occidente continui a produrre auto di qualità standard, della stessa tipologia di quelle prodotte nei paesi emergenti.

ma ora che siamo consapevoli di un primo errore concettuale, seguiamo il discorso che viene proposto, provando ad assumerlo come fondato, e vediamo se esso non presenti altre incongruenze interne.

* * *

“Poi c’è l’aspetto della produttività.
Quei popoli hanno fame, anche di lavorare, per cui nel lavoro ci mettono l’anima e sono disponibili a sacrifici su turni notturni o festivi.
Come noi nel dopoguerra, per intenderci”.

già, però sfugge del tutto un aspetto: e cioè che una parte consistente della nuova forza lavoro occidentale è comunque formata da forza lavoro immigrata, da operai che provengono da paesi dove le condizioni estreme di povertà inducono ad accettare condizioni lavorative quasi impossibili secondo la nostra moderna mentalità occidentale.

quindi non è affatto vero che la classe operaia in Italia, ad esempio, non sia in una parte consistente disponibile a pesanti sacrifici sul lavoro, pur di guadagnarsi da vivere.

se torniamo alla analisi di prima, ci accorgiamo che, dove la produzione non è di qualità e neppure la forza lavoro deve essere particolarmente qualificata, là si crea – sulla base della globalizzazione e della presenza di vasi comunicanti internazionali sul piano sociale –  anche una disponibilità di manodopera pronta a lavorare a condizioni di Terzo Mondo.

e tuttavia non si può fare a meno di domandarsi quali sono le conseguenze sociali di un simile modello di lavoro, che diventa inevitabilmente anche un nuovo modello di società: stratificata in caste, e composta per una parte importante da lavoratori privi di diritti sindacali e civili.

appunto come è l’Italia di oggi, che, dove non riesca a qualificare la sua produzione in senso estetico ad esempio, sopravvive nelle sue produzioni poco qualificate grazie a questo nuovo proletariato frantumato e privo di coscienza di classe, disposto a lavorare in nero, senza assicurazione sociale, senza diritti, pagato male.

è evidente però che questo crea sacche di terzo mondo fra noi, i moderni ghetti urbani per immigrati nella migliore delle ipotesi, ma spesso qualcosa di peggio ancora: gli alloggiamenti precari dei clandestini stagionali, gli affitti in nero di case degradate, insomma il mercato parallelo della povertà e della discriminazione razziale, che diventa una economia parallela e perfino una forza politica parallela, la Lega e gli altri gruppi parafascisti, che alimentano il razzismo come atteggiamento volto a mantenere in stato di inferiorità una parte che si vuole precaria di chi lavora.

* * *

“Si passa poi agli aspetti sindacali.
I sindacati, da noi, sono stati importantissimi in passato per tutelare i lavoratori che non beneficiavano neppure dei diritti elementari.
Ora però si invertito il rapporto di forza.
I lavoratori sono iper-tutelati e licenziare qualcuno quando l’azienda naviga in cattive acque, o che: rema contro, non produce, si dà malato strumentalmente… è quasi impossibile.
E se un imprenditore ci prova il giudice del lavoro, molto spesso, reintegra il dipendente nel suo ruolo comminando all’azienda pesanti sanzioni.
Si aggiunga l’estrema facilità con cui si può venire in possesso di un certificato medico che esime il beneficiario dal presentarsi al lavoro e il gioco è fatto.
D’altronde questo è il Paese dei falsi invalidi”.

insomma, la linea Marchionne: per potere continuare a produrre in modo competitivo, bisogna ridurre le garanzie sindacali.

non voglio fare della demagogia a basso costo su questa linea, vorrei provare a ragionarci in un modo meno semplicistico.

* * *

al centro di questa linea ci sta la libertà di licenziamento.

licenziare chi non lavora abbastanza, chi è pigro, chi è conflittuale, chi non è disposto ad accompagnare la riduzione delle garanzie e dei diritti, oltre che di fatto dei salari.

senza false demagogie, potrei dire: affascinante e giusto, ragazzi; buttate fuori i lavativi dalle fabbriche e tutto funzionerà a meraviglia.

diciamo meglio: sostituite i lavativi del posto con immigrati disposti a tutto, e il gioco è fatto.

beh, già ponendo il problema in questi termini la soluzione comincia ad apparire meno brillante, vero?

già, perché a questo punto si vede subito il punto debole di questo ragionamento tipicamente aziendale.

per ragionamento aziendale intendo il modo di ragionare di chi, dovendo realizzare dei profitti con la propria attività economica, dimensiona il suo sguardo sui problemi a questa scala e semplicemente espelle dalla propria visuale, cioè dal quadro concettuale della propria azienda, i problemi che l’azienda non è in grado di risolvere.

che fine fanno i lavoratori licenziati perché poco compatibili con le nuove condizioni lavorative molto meno retribuite e molto meno garantite?

beh, all’azienda questo mica interessa: l’azienda sa solo che, se mantiene al proprio  interno i lavoratori migliori ed espelle quelli scadenti la produzione funzionerà meglio e i profitti saranno più facili.

elementare, Watson!

eppure chi riflette in una logica non aziendale, chi si pone il problema nella sua dimensione sociale complessa dovrebbe pur sapere dare una risposta.

poiché non credo che nessuno possa pensare alla soppressione fisica di inadatti e irriducibili, è chiaro che i lavoratori meno redditizi espulsi devono pur restare in qualche modo a carico della collettività: ci saranno ammortizzatori sociali, casse integrazione, assegni di disoccupazione, mantenimento da parte della famiglia: insomma, un mix di misure assistenziali sociale che mantengono comunque in vita anche gli espulsi dal mercato del lavoro.

che comunque, in qualche misura, anche precaria, dovranno pure rientrarvi da qualche parte, riportando dalla finestra quella che è stato espulso dalla porta.

oppure si ritiene che il licenziamento possa produrre una qualche forma di redenzione?

ma la logica aziendale, che scarica i problemi dell’azienda al di fuori del suo perimetro, sulla società tutta intera e se ne disinteressa, non si limita a questo aspetto.

* * *

Poi ci sono le regole per la sicurezza sul lavoro e contro l’inquinamento.
Sono sacrosante, ma in un mondo globalizzato o le adottano tutti i paesi, affrontandone i costi – che poi fanno salire i prezzi dei prodotti – oppure chi le applica è tagliato fuori dal Mercato.
E quindi molte leggi dovrebbero essere paradossalmente adottate a livello mondiale: tutela lavoratori, tutela ambiente, orario settimanale, straordinari, cuneo fiscale, lavoro minorile, donne e maternità.
Solo così si potrebbe competere ad armi pari.
Utopia, certo, ma così stanno le cose.

il sottinteso è chiaro, direi: tutela dell’ambiente e delle persone non sono più possibili: se si vuole sopravvivere alla concorrenza globale, occorre non avere scrupoli nel distruggere l’ambiente e nel ridurre i diritti delle persone.

* * *

E così le aziende produttrici che vogliono sopravvivere in questo mercato competitivo devono delocalizzare.
Si chiudono le fabbriche in Italia, licenziando centinaia di migliaia di lavoratori, e si riaprono in Polonia, Slovenia o, perché no, in Cina o Romania.
Quei paesi fanno ponti d’oro alle imprese perché gli insediamenti produttivi portano benessere e danno posti di lavoro.
E quindi via agli sgravi fiscali, ad aiuti di stato, a contratti per i lavoratori “light”, a occhi chiusi su molti aspetti, e chi più ne ha più ne metta.

 

e a questo punto la lettera prosegue con una lunga apologia di Marchionne, che a me interessa poco e che tralascerò, tanto non aggiunge nulla al nucleo del discorso fatto sin qui, e chi dei due o tre lettori che arriveranno a questo post abbia voglia di leggerselo (cosa della quale dubito molto) può andare sull’originale: ?ref=HREC2-1

il mio discorso a questo punto si conclude con una linea diversa.

* * *

se l’unica strada per l’economia e la società occidentale è di “cinesizzarsi” per sopravvivere, di ridurre i salari e la qualità della vita sociale, di distruggere l’ambiente per favorire l’attività ecomomica, di cancellare tutti i vincoli posti dalla consapevolezza dei problemi e dalla nostra tradizione culturale, al fondo di questa prospettiva ci sta la trasformazione dell’Europa in una variante locale del Terzo Mondo: un posto da Blad Runner, un posto di mutanti, dove la massa indistinta di immigrati rassegnati e poco qualificati sostituirà gradualmente i nostri figli, troppo colti (si fa per dire) e “viziati”: i “bamboccioni” di cui pare ci si debba liberare, che altro non sono che i nostri ragazzi che hanno studiato per fare un lavoro più qualificato e meno opprimente.

nel nome del profitto e della produzione crescente di merci per il consumo di massa lo stesso atteggiamento dovrà riguardare natura ed ambiente, che dovranno essere sottomessi all’avvelenamento progressivo e ad una distruzione sistematica delle condizioni vitali per l’essere umano in nome del profitto.

al fondo di questo modello ci sta l’imminente catastrofe sociale ed ambientale che ci sovrasta e che potremmo renderci conto che è già iniziata, col nome di crisi globale, se solo fossimo in grado di alzare lo sguardo oltre all’immediato.

il fatto che negli ultimi mesi di calo della produzione occidentale sia in atto una inflazione crescente dei prezzi, cioè che i prezzi aumentino anche se diminuisce la disponibilità di denaro per acquistare le merci, dimostra che stiamo entrando nel tempo delle risorse calanti per una umanità che continua a crescere.

disastri climatici che cominciano a intaccare pericolosamente le disponibilità di cibo sono un segnale di allarme che rimane sottovalutato da un apparato di propaganda molto più impegnato a nascondere che ad analizzare la crisi: la perdita di un quarto del grano russo a seguito degli incendi dovuti al surriscaldamento, che inquinano pesantemente l’atmosfera e pongono le premesse di un ulteriore riscaldamento, l’inizio della riduzione della produzione di riso in Asia per l’innalzamento delle temperature nella stagione germinale, le alluvioni di un monsone potenziato per gli stessi motivi che cancellano le culture, cominciano a prefigurare un mondo dove la disponibilità del cibo (oltre che di altre risorse come gli idrocarburi) appare per la prima volta decrescente.

insomma, l’impossibilità di cambiare il modello di sviluppo prefigura lo scenario della catastrofe della società industriale.

questo tipo di economia ha davanti al massimo pochi decenni ancora, ad essere veramente ottimisti un paio, e quanto più si diffonde nel mondo, tanto più la sua catastrofe si avvicina a ritmi più serrati.

ma se il mondo è diventato a termine, per quale motivo dovrei rifiutare lussi e benessere oggi?

se al fondo di un percorso autodistruttivo ci sta la miseria per tutti, cioè per i sopravvissuti, perché si dovrebbe oggi rinunciare a quello che c’è fino a che c’è e prima che scompaia per sempre?

non c’è salvezza dentro questo modello economico e sociale, occorre pensare a qualcosa di diverso.

* * *

per tardi che sia provarci, per vago che sia pensarci, solo una nuova economia sociale potrebbe indurre gli uomini a rinunciare a qualcosa di esistente in vista di risultati concretamente possibili: per un nuovo modello di sviluppo di una economia avanzata che produca innovazione scientifica e che ci consenta, con l’ausilio della ricerca, una economia sostenibile.

se questa sia una utopia io non lo so, so solo che abbiamo il dovere di cercarla, e so solo che non ha senso chiedere sacrifici in nome di un modello di sviluppo che ha davanti a se come unico sbocco l’autodistruzione entro pochi anni.

se l’idea di società che abbiamo in mente è quest’altra, tanto vale che ciascuno si dia da fare a godersela fin che può fino all’ultimo minuto.

15 risposte a “276. Marchionne in concessionaria: sino all’ultimo minuto.

    • caro andrea, fa piacere reincrociarsi ogni tanto fra caminesi, come stai?

      lo so che ti ho promesso quella recensione, vorrei giustificarmi dicendo: sai quanto sono pigro…

      però capisco che non sembra una scusa credibile, guardando al blog… 😉

      diciamo che mi affido molto all’ispirazione del momento, però abbi fede, il momento arriverà.

      (abbi fede? ah giá, tu ce l’hai già, beato te!) 😉

      • Ok, aspetterò… siccome sfrutto ogni occasione per promuovere il libro, se prima o poi entri nel sito Anobii e lo aggiungi alla tua libreria virtuale te ne sarò grato. Alla prossima!

    • caro Andrea,

      su quel sito sono finito per l’invito di un carissimo amico, che lo usa molto, ma poi – sai come succede – non lo frequento affatto e non so neppure bene come funziona.

      ci proverò a inserire il tuo libro (anche se mi sa tanto di auto-promozione!), però se vedi che non lo faccio in tempo ragionevole, mandami le istruzioni via mail… 😉

  1. http://bertolauro.blogs.it/2010/08/13/86-che-cosa-succede-a-nominare-marchionne-9175473/

    86. che cosa succede a nominare Marchionne…… nel tuo blog.

    alle prime luci di un’alba insonne torturata da uno squallidissimo “colpo della strega”, ho scritto un post nel cui titolo ho spiritosamente citato Marchionne: questo.

    eccomi finito di colpo in un metablog, che – probabilmente grazie a qualche miracoloso motore di ricerca esclusivo – raccoglie in tempo reale tutti i post di tutti i blog d’Italia che hanno nominato Marchionne.

    http://www.wikio.it/economia/autoveicoli/fiat/sergio_marchionne

    se lo sapevo, scrivevo Marchione: con una enne sola, suona persino meglio…

    e adesso sono curioso di vedere se anche questo post farà la stessa fine…

  2. Voglio consigliarti due video… considerando che tra poco andrò al Politecnico di Torino:

    Guardalo dal minuto 5 in poi e vedi come prendono in giro gli studenti.

    (il secondo video che ti voglio far vedere)Poi nessuna compagnia europea e disposta a rischiare di produrre qualcosa di completamente innovativo… hanno semplicemente paura. Non hanno capito che l’economia mondiale è diventata un tavolo da poker. Chi rischia può vincere tutto o perdere tutto. Però se non ci provi resti nel limbo per sempre (non curo molto la sintassi… però mi han rotto questi politici)

    Insomma… o trasformiamo il nostro mondo in un mondo di schiavi… o tiriamo un colpo deciso alla concorrenza. La genialità e le idee non mancano… bisogna trovare le persone disposte a investire…rischiare tutto… insomma… un pazza direbbero i nostri politici ed economisti.

    • la Opel inizia la produzione di serie della prima auto elettrica a fine 2011.

      in Italia Santoro sbeffeggia la ricerca scientifica degli studenti di Torino, per fortuna che c’è Castelli a difenderli; del resto, caro afo, questa è l’Italia: io al tuo posto avrei studiato altrove.

      la crisi dell’Occidente si vede prima di tutto da questa mancanza di coraggio e di creatività di chi ha il potere, sono d’accordo con te, e sono contento che il mio post abbia fatto da spunto per sollevare il problema.

      fino a che avremo come leader i Marchionne che pensano di uscire dalla cirsi impoverendo gli operai, non mi pare che avremo un grande futuro… nè noi nè gli americani…

      grazie dei due video molto interessanti per la parte dedicata al Politecnico e per l’ulteriore testimonianza sul ruolo negativo e qualunquista esercitato da Santoro sull’opinione pubblica italiana.

    • si… però sta a guardare che la Opel farà la prima auto elettrica di serie e fisserà il prezzo oltre 100 000 euro… vedrai che se la permetteranno solo gli sceicchi arabi.

      Diciamo che l’Italia è molto ma molto meglio del mio paese. Lì tutti si laureano al giorno d’oggi… quasi tutti hanno una laurea… altri anche più lauree. Però non sanno niente di quello che dovrebbero sapere. L’università si paga… lo sanno tutti… lo accettano tutti. Nel senso che tu paghi gli esami. Dai i soldi al prof e passi… non gli dai non passi l’esame. E non puoi fare nulla… a nessuno interessa… la considerano tutti una cosa normale. Non c’è legge… dopo la rivoluzione del 1989 la Romania altro che liberarsi dai comunisti… è caduta nelle mani di quei “comunisti moderni”. L’anno derubata completamente… ora è in una situazione disastrosa. E ad essere privilegiati sono sempre quelli che lo erano anche prima del 1989 (molti si sono dichiarati vittime della rivoluzione mentre invece lavoravano per la polizia segreta per mettere le mani sulle indennità che venivano date per chi aveva combattuto “per” la patria)

      Diciamo che riuscire a studiare in Italia è già un traguarda importantissimo per me. Visto che la mia è una famiglia povera e i miei hanno fatto infiniti sforzi per permettermi di arrivare il più in alto possibile. Diciamo che oltre la mia testa… non possiedo nessun altro bene materiale (oltre al computer naturalmente :D).

      Ora vediamo come va il Poli… spero bene… sarebbe un bel salto di qualità 😀

    • in questo campo, ovviamente, l’esperto sei tu! 😉

      ho fatto un giretto su google tedesco e ho trovato questa anticipazione ufficiosa sul prezzo della Opel Ampera:

      ich habe von knapp über 30.000 € gelesen, das sind aber alles Spekulationen.

      qualcosa sopra i 30.000 euro.

      ho letto con molto interesse il tuo ritratto spietato della Romania, che sembra quasi un’Italia più avanti, visto che almeno da noi ancora qualcuno si ribella alla corruzione.

      per il resto direi che la testa è il bene più prezioso e me la terrei molto cara.

      io non posso dire di venire da una famiglia propriamente povera, visto che mio padre era ufficiale dell’esercito, per quanto precario, però ricordo la mia infanzia negli anni Cinquanta in Süd Tirol come un periodo di felici e benedette ristrettezze (non c’era riscaldamento in camera, per dirne una).

    • diciamo che 30 000 non sono pochi ma nemmeno troppo esagerati come prezzo. Sarebbe come comprarsi una Mercedes nuova ultimo modello 😀 . Va beh… non penso qualcuno la compri… ma anche perché sarebbe difficile ricaricarla se si decidesse di fare un lunghissimo viaggio per mancanza di centri specifici.

      Penso si debba partire dalle piccole auto da città. Tipo le Smart. L’idea sarebbe di elettrizzare prima le città Contemporaneamente bisognerebbe portare avanti anche il progetto delle auto ibride (elettrico + benzina o gasolio). In questo intervallo bisogna dotare almeno le autostrade di centri per ricaricare le “pile” delle auto ibride ed elettriche.

      Naturalmente bisogna accompagnare questa nuova era elettrica con uno sviluppo della rete elettrica. Il che porta ulteriori costi… che dovrebbero pesare soprattutto sulle casse degli stati… (già che fanno nulla e il debito cresce… meglio che facciano qualcosa tanto cresce lo stesso 😀 )

      Più che un’auto da 30 000 euro io preferirei una panda modello ’90 con un cuore elettrico e ben verniciata con 4 finestrini un parabrezza e un volante economico… 😀 che non superi 7000 euro.

      -riduzione inquinamento
      -famiglie che si permetteranno un’auto
      -tanti posti lavoro industria auto
      -sviluppo delle centrali elettriche… altri posti lavoro; con possibile sviluppo del sistema fotovoltaico (immagina pannelli solari su tutte le case… che ricaricano le pile delle nostre auto gratis 😀

      va beh… è utopia questo 😦

    • bello che la tua auto ideale assomigli così da vicino alla mia Hyundai a GPL anche nel prezzo (6.700 euro, con gli incentivi)!

      per il resto, come sai già, io sono un iscritto virtuale del movimento “oer una Decrescita Felice” (che non so bene che cosa voglia dire, ma bisogna almeno provarci…).

      vedo che il modello autodistruttivo “crescete e moltiplicatevi” è difficile da superare, soprattutto per un futuro ingegnere. 😉

      a proposito: non giro il coltello nella piaga di quest’altra bella invenzione dell’etica biblica!

    • pare che Smart abbia già pensato a quello a cui pensavo io circa 1 anno fa :D.
      (ps: ignora il tizio che parla all’inizio e alla fine)

      Secondo me sbagliano nel creare vetture con costi altissimi… dovrebbero farla più economica possibile. Farle raggiungere una velocità massima si 80-90 km/h (ridurrebbero anche gli incidenti)

    • se vai al museo della Mercedes qui a Stoccarda (dove è stata inventata l’automobile da Benz e Daimler) scoprirai che le prime automobili erano dei prodotti incredibilmente lussuosi e costavano capitali, avevano un mercato ristrettissimo ed erano riservati a privilegiati come quel giovinastro ricco di cui mi raccontò mio padre (scena vista da lui) che scese da una di quelle automobili e diede fuoco a una casa di contadini per semplice divertimento…

      (poi dicono dell’Italia berlusconiana, mah! a me pare l’Italia di sempre).

      tu lascia tempo ai costruttori e i prezzi caleranno.

      ´partire con modelli economici può non essere una buona idea commerciale: occorre che siano i ricchi a finanziare la ricerca iniziale…

      e infatti la Smart di cui si parla nel video è solo un prototipo, in produzione finiscono solo i modelli più costosi, per il momento.

  3. Pingback: he cosa succede a nominare Marchionne… – cor-pus 86 [bortoblog 73] – 13 agosto 2010 – 691 – cor-pus-zero·

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