8 febbraio 2013 venerdì 21:28
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nel giro di un secolo, alla società che nascondeva i vizi privati per esaltare le pubbliche virtù, si è sostituita la società che esalta i vizi privati trasformandoli in pubbliche virtù.
mi pare che questo abbia a che fare in qualche modo col trionfo dell’individualismo e con la disgregazione delle forme tradizionali della vita di gruppo.
in altri termini, siamo entrati in una società individualistica e narcisista, dove l’individuo è solo, con i suoi vizi: che può considerare anche virtù.
e, siccome la società non ha valori propri, se quell’individuo sale su un palcoscenico, il pubblico, che deve soltanto seguire lo spettacolo, semplicemente si adegua.
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(sembro Ratzinger, questa sera… :(.
comunque siccome lo spunto me l’ha dato redpoz, in un suo commento, potrei sempre cavarmela dicendo che è colpa sua :)).
Non so di chi sia la colpa, ma mi avete fatto ricordare un aforisma di Alvaro:
” Non esiste difetto che alla lunga, in una società corrotta, non diventi pregio, né vizio che la convenzione non riesca ad elevare a virtù”.
In questo caso la “corruzione” e la “convenzione” diventano i rimedi al vizio, anzi trasformano il vizio in virtù.
Non sarà che il vizionon è temuto perché fa schiavi? Non sarà che la virtù è temuta perché fa padroni? 🙂
dopo ognuno dei tuoi commenti mi sembra un peccato che tu non abbia un blog tuo, per raccogliere queste perle di saggezza; poi penso che saggezza è appunto non averne uno… 🙂
Alvaro indica saggiamente il relativismo assoluto dei valori morali, che hanno un carattere convenzionale e casuale: ciò che è etico in una cultura, ad esempio infibulare una bambina, è un delitto in un’altra.
questo significa però che nel giro di un secolo in Occidente è crollata una cultura e ne è nata un’altra: il punto di svolta è certamente da vedere nel Sessantotto, che fu fatto dai protagonisti pensando che fosse una rivoluzione politica tradizionale, ed era invece l’inizio del collasso della cultura tradizionale.
in Italia, paese cattolico, che fatica a costruire una nuova etica laica aperta e tollerante e resta succube del tradizionalismo clericale, questo passaggio è incompiuto e rimane allo stadio di disgregazione della vecchia cultura, mentre una cultura nuova fatica ad affermarsi.
ed ecco che si crea una morale assolutamente negativa, dove diventa morale l’assenza di una morale, sia vecchia sia nuova, e la crisi dei valori tradizionali diventa semplice trionfo della puttaneria e della corruzione.
del resto la Chiesa domina la vita civile e culturale ed impedisce attivamente la formazione di una morale laica, accusandola ogni giorno di relativismo e nichilismo; in questo modo la Chiesa impedisce l’aggregarsi di una nuova cultura e lascia il paese nella putrefazione amorale.
* * *
il vizio fa schiavi? dipende da che cosa si intende per vizio e schiavi di che cosa.
il vizio che ci fa schiavi di noi stessi in realtà ci libera.
la virtù rende padroni?
di noi stessi?
sono provocazioni intelligenti, ma che spazio hanno in un mondo dove il vizio è diventato virtù?
Facciamo che il vizio fa schiavi del vizio?
Facciamo che l’abitudine al vizio rende digeribili anche cose indigeste?
Facciamo che niente è più forte dell’abitudine al vizio?
Facciamo che, come dice il mistico tedesco, Tommaso Da Kempis, l’abitudine si vince con l’abitudine?
Ma siccome i vizi li ha inventati la chiesa, non dovremmo prendercela troppo. E siccome la ragione va data anche al diavolo, quando ha ragione, una guardatina ai sette vizi capitali dovremmo dargliela 🙂
Di questi sette alcuni sono magnifici 🙂 e credo che la chiesa li abbia chiamati vizi perché non ne trae vantaggio. Dipende. Da cosa dipende il vizio e la virtù? Dipende dai vantaggi procurano alla chiesa.
Bortocal, e per favore non mi chiedere qual’è il vizio capitale più bello 🙂
mica ho bisogno di chiederlo…, lo so già per conto mio…. 🙂 🙂 🙂
detta così sembra che il vizio sia fuori di noi, e non sia invece una parte di noi….
e con questo ti do però ragione sul centro del tuo ragionamento: attaccando i vizi che sono parte di noi, la Chiesa in realtà vuole staccarci da noi stessi.
Il vizio non ci appartiene quasi mai, la chiesa lo tesse e ce lo cuce addosso.
Pensa ai sette vizi. Pensa alla “gola”, a quella continenza a tavola che bisognava osservare. A proposito va ricordato Rousseau che aveva capito l’inganno ” ho sempre notato che la gente falsa e sobria, e la grande continenza a tavola annuncia abbastanza spesso costumi ingannevoli e doppiezza d’animo”.
dicendo in apparenza il contrario l’uno dell’altra, stiamo in realtà dicendo la stessa in modi diversi, congeniali a noi stessi.
certo che il vizio non ci appartiene quasi mai, a noi appartiene quello che viene definito vizio, ma occorre poi vedere davvero se merita questa definizione.
tu hai parlato bene dell’amore per il cibo, che viene definito golosità e giustamente male del suo contrario, lo spiluzzicare misurato, che è un sintomo di un generale rapporto risparmioso con la vita..
io vorrei dire qualcosa di simile a favore della cosiddetta iracondia: che è perfino una virtù quando si esprime rispetto alle azioni ingiuste.
bhè, mi piace come mi scarichi la responsabilità del borforisma! grazie 😉
comunque, mi sembra interessante il passaggio ricostruttivo che fai: a me, per lo più, non piace fare riferimenti a valori sociali perchè temo sempre che dietro di essi si nasconda chi li vuole imporre.
però, in
in altri termini, siamo entrati in una società individualistica e narcisista, dove l’individuo è solo, con i suoi vizi: che può considerare anche virtù.
e, siccome la società non ha valori propri, se quell’individuo sale su un palcoscenico, il pubblico, che deve soltanto seguire lo spettacolo, semplicemente si adegua.
il commento è stato postato mentre ancora riflettevo sul testo….
qui di seguito la conclusione:
comunque, mi sembra interessante il passaggio ricostruttivo che fai: a me, per lo più, non piace fare riferimenti a valori sociali perchè temo sempre che dietro di essi si nasconda chi li vuole imporre.
però, in questo caso, una certa “colpa” del nichilismo la possiamo ritrovare. ovvero: se scompaiono le virtù sociali, cioè comuni e condivise, quelle individuali possono anche essere affermate dal singolo che ne abbia la forza come modelli di riferimento per tutti (mi fa un pò pensare allo Zaire di Mobuto…)
questo commento è per me illuminante su di un punto che forse non era neppure centrale per te.
io faccio fatica a capire che siamo entrati davvero in questa nuova società narcisista, dove è fondamentale coccolare l’interlocutore, dato che non ha altri orizzonti che se stesso.
non si capirebbero i centri sociali o le liste Ingroia, se non si capisse questo.
la perdita del senso sociale, o se vuoi anche civico,è tale da vanificare la stessa idea di politica tradizionale.
la politica non è più l’attività attraverso la quale un gruppo cerca delle linee di azione utili per il proprio futuro, ma l’attività attraverso la quale un individuo narciso si rispecchia in un gruppo.
questa è del resto la nuova idea di politica fatta affermare da Berlusconi, che da questo punto di vista è molto più “moderno” della vecchia idea politica democratica.
mah, io mi sentirei di condividere l’idea di Pasolini sulla società contemporanea, plasmata sull’edonismo.
e la cosa potrebbe benissimo essersi accentuata dagli anni ’80 in poi con la fine dei miti politici e di partecipazione dei decenni precedenti.
non a caso, il periodo coincide con l’ascesa politico-economica del liberlismo estremo e con la fine del modello keynesiano.
Berlusconi, come Reagan, incarna bene il modello spettacolare. come d’altronde lo stesso Bush sulla portaerei con lo striscione “missione compiuta” e persino Obama con la sua retorica che “scalda il cuore”.
(e questo solo per citare i principali, ma il modello ha funzionato anche in Europa).
in generale, la destra ha avuto gioco facile nel contrapporre un individualismo edonistico ad una partecipazione sociale delusa.
secondo me, una via d’uscita politico culturale da questa situazione può essere rappresentata dal modello dei “beni comuni”…. ma è un modello ancora da coltivare.
se Pasolini sentiva il consumismo negli anni Settanta, possiamo ben immaginare che cosa direbbe oggi.
chi si lamenta della crisi non sono i disoccupati, la gente che non sa come pagare l’affitto, chi patisce davvero degli stenti, a cui magari era già abituato nei luoghi dai quali è venuto tra noi, ma sono coloro che devono rinunciare a lussi superflui.
davvero avere più di sessant’anni ed essere cresciuto in case poco riscaldate tenendo la stufa accesa col carbone in una stanza sola è oggi una risorsa mentale, perché dà l’immagine concreta del mondo frugale degli anni Cinquanta, concreta alternativa al mondo di oggi se solo sapessimo imporre un minimo di giustizia sociale.
non condivido troppo il rimpianto per il keynesismo che era di fatto già morto prima dell’ascesa del neoliberismo, secondo me.
l’elemento centrale delle politiche keynesiane era infatti un poco di deficit pubblico destinato agli investimenti, anche sociali, per rilanciare l’economia: per intenderci sarebbe oggi per esempio indebitarsi per fare le TAV.
la politica economica affermatasi già dagli anni Sessanta prevedeva invece l’indebitamento pubblico quasi per sostenere i consumi e con esso ilpotere della finanza.
credo che Keynes si rivolterebbe nella tomba a sentire definire keynesismo questo tipo di politica.
rispetto alla quale il neoliberismo non ha cambiato l’impostazione di fondo, ma soltanto la destinazione all’elite dei super-ricchi dei relativi guadagni, cercando di limitare lo stato sociale.
concordo completamente sul resto.
allora occorre solo una precisazione sul keynesismo: con esso non penso e non vorrei riprendere l’idea dell’indebitamento statale -che come dici non è cambiata neanche oggi-.
solo quella di un controllo sull’attività economica.
oggi si parla di neokeynesismo solo per sostenere che lo stato non dovrebbe avere troppa preoccupazione di ridurre il debito, ma dovrebbe tenere viva la domanda.
c’è qualcosa di profondamente malsano in tutto questo, a mio parere.
malsana non è l’idea di non pagare i debiti, che anzi penso si dovrebbe a livello mondiale affrontare il toro per le corna e azzerare il debito degli stati verso la finanza mondiale.
malsano è pensare di tenere viva la domanda con strumenti monetari e senza la minima riflessione sulla necessità politica di azzerare il debito pubblico, che è una scelta soltanto politica.
L’ha ripubblicato su cor-pus-zero.