il rientro all’hotel per un riposino è obbligatorio al tramonto, ma, lungi dal riposare, ne segue una dura lite e prolungata con la gestione, alquanto menefreghista e assenteista, peraltro, dato che nella camera, un forno umido e irrespirabile, il ventilatore è guasto.
altre camere libere dello stesso tipo non ci sono più e mi tocca rassegnarmi ad una room con l’aria condizionata, in fondo al cortile dove una scimmia trascorre i sui giorni penosi rinchiusa in una gabbia da zoo di una volta, per niente politically correct nei suoi riguardi, non si capisce bene a che scopo.
la temperatura dell’aria condizionata non riesco a regolarla e nessun altro se ne occupa, il telecomando sembra guasto e neppure arrampicandomi ottengo qualcosa: e dev’essere sugli 8 gradi; per il momento mi avvolgo nelle lenzuola, rinunciando ad ulteriori piazzate, considerando che domani mattina comunque parto; ma sarà qui che mi ammalo, passando da dopodomani il resto della vacanza con una bronchite che peggiora via via e alla fine diventa tremenda (come quella che ho anche adesso: l’apparato respiratorio è il mio punto debole, fisicamente): mi durerà un mese con strascichi di antibiotici prolungati anche in Italia.
anche la sortita per un internet café non dà risultati: dovrebbe essere a circa un km dall’hotel e vorrei ricollegarmi col mondo (manco da tre giorni, mi pare), ma dopo avere fatto un paio di volte il viale dove teoricamente doveva essere, mi rassegno a proseguire verso Chinatown, per una cena in un baracchino di strada.
pessima, peraltro, e costosissima (ma queste cose, non so perché, mi pare di averle già raccontate…) e allietata da canzoni modeste dal vivo.
* * *
un senso all’uscita e al videoclip, che giustamente trascura quasi del tutto questi dettagli, sta nella visita notturna al tempio cinese (il terzo che incontro in questo viaggio, dopo quelli di Cirebon e Semarang), piccolo, ma fascinoso, immerso com’è nelle ombre notturne: il suo nome incredibilmente lungo lo avete già letto nel titolo: Kong Co Kong Tik Cun Ong.
gli stili e le ricorrenze ovviamente si richiamano da un tempio cinese all’altro, ma questo ha un carattere più aspro e guerriero.
del resto, dice la guida, non è un luogo di culto esclusivamente buddista, ma contiene anche altari confuciani e taoisti.
l’incenso accomuna le tre religioni, ma la mitezza no.
per questo colpiscono, come una novità, le statue di guerrieri minacciosi, con le spade sguainate, più adatte da un luogo che funziona come punto di riferimento di una intera comunità etnica assediata, che come luogo di culto specifico della religione del nirvana o nibbana.
spero che il breve percorso della videocamera fra questi altari spesso raffinati e straordinariamente decorati non vi dispiaccia, come non è dispiaciuto a me.
commento via mail:
Non mi è dispiaciuto il percorso della tua videocamera.
Visualizzo le variopinte foto in sequenza e mi chiedo come mai fino a questo momento del viaggio non ho mai visto ne hai mai parlato di una libreria o un luogo di aggregazione culturale. Forse arriverà ?
E poi, quali sono i prodotti artigianali locali di questo paese?
1.10 cosa saranno quelle sfere gialle in tanto rosso?
Che domanda inutile e banale …tanto per.
Bella foto finale , per spezzare il rosso, con una bella pianta.
le “sfere gialle” sono fiori che sporgono da un vaso sottostante, forse crisantemi.
l’osservazione sulla mancanza di librerie e di luoghi di aggregazione culturale è acuta, e non ci avevo badato: gli unici libri che si vedono in giro sono quelli di tema religioso, oppure nei musei qualche guida per turisti.
interpreterei questa assenza come un effetto della feroce dittatura durata più di trent’anni e solo parzialmente superata: non dimentico che essa fu instaurata passando attraverso il massacro degli intellettuali forse più feroce e sistematico della storia.
i prodotti di artigianato li abbiamo visti a Cirebon o a fianco di un piccolo tempio dei dintorni di Borobudur: marionette e maschere: ovviamente non avrebbero senso in questi luoghi un po’ particolari e per niente turistici dove mi sono recato io.
a Surabaya c’era un’ampia vendita di artigianato locale, a cominciare dal batik, nella House of Sampoerna, ma non ho fatto riprese, perché l’artigianato fuori dal suo contesto mi rattrista sempre un po’.