fa così caldo in Kerala, anche in novembre, che la sala d’aspetto dell’aeroporto è all’aperto, sotto una grande tettoia per proteggere dal monsone, quando c’è.
ci sono arrivato talmente in anticipo che mi sono buttato a leggere qualcosa, ma non chiedetemi di ricordare cosa dopo più di tre anni: probabilmente c’era ancora qualche passaggio della guida che era rimasto inesplorato, a giudicare da come è sgualcita.
un aereo locale ha dipinte sulla coda e sul muso le insegne stesse e simboli dello stato: una maschera per la danza katakali e uno scenario mitologico che ricorda gli oceani di storie e di miti da cui le danze stesse attingono.
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poi, dopo la solita lunga rincorsa, di colpo l’aereo si alza sulla fitta vegetazione che ricopre la regione: la foschia consente appena di scorgere l’alternarsi di lagune, fiume, laghi, che cercano di rendere complicata una linea di costa che è invece stranamente lineare.
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allontanandomi penso al mio amico Amrit, che mi aveva accompagnato per qualche giorno nel viaggio precedente, e che è stato impossibile re-incontrare perché non ha mai risposto al cellulare…
l’unico dis-piacere di questo viaggio troppo breve.